Don Raffaele Longobardi

Santi peregrini e Sarti improvvisati

Santi peregrini e Sarti improvvisati

di Giuseppe Zingone

Articolo pubblicato il 6 Aprile 2014

Eravamo rimasti orfani di Sant’Antonio, al civico 72 di via San Bartolomeo, ‘o Zelluso ci lasciò sospesi in una sorta di limbo indefinibile; ci assalirono un dolore e una malinconia tali, che anche le campane decisero di andare in pensione. Insieme al quadro, si dileguarono anche quei volti che per 365 giorni l’anno raggiungevano la chiesetta, inarcandosi e piegandosi sulle ginocchia, orando sino al terzo piano alla ricerca di un insperato perdono, di una grazia o di un impercettibile pezzo di Paradiso. Di certo scomparvero gli uomini e le donne, che ogni martedì si assicuravano gratuitamente un “filone” di pane condito di preghiere ed ex voto. Capitò spesso di dover rispondere alle domande incredule di coloro che smarriti ci chiedevano dove fosse finito il santo padovano. Quante volte avremmo voluto trattenerli in ostaggio, per ricattare in tal modo il santo ed indurlo al pentimento ed al ritorno nel nostro, oramai infelice, palazzo. Opera un prodigio! – gli dicevamo – Nun ce lassà!
Ostentavamo la nostra sofferenza ed imparammo col tempo a sostenerci del solo odore del pane, proveniente dal forno dei fratelli Maresca, lo spirito capitolò dovendo far a meno delle ostie consacrate, ripiegammo tutti o quasi nella Parrocchia della Pace, la quale divenne per me una seconda casa di cui conobbi tutti gli angoli e gli spigoli.
Intanto il quadro del Santo condusse una vita errabonda, un insolito pellegrinaggio, finché non approdò incagliandosi definitivamente, prima della crociera a sinistra nella parrocchia dello Spirito Santo.
Dopo diversi mesi di penoso silenzio e qualche cambio di condomino, prese corpo fra noi “‘On Rafele re’ cani” al secolo Raffaele Longobardi accompagnato dalla propria consorte, di questa anziana donna (forse di lui più grande, almeno così pareva) diremo niente o quasi, poiché quando la vedemmo ci sembrò aleatoria come un fantasma e il più delle volte rimase celata nella propria abitazione, come la sibilla nel suo antro. Delle compere giornaliere si occupò a mia memoria sempre il marito, latte e pane. Con un po’ di nostalgia, scrivo di questo singolare stabiese, che escogitò un modo del tutto originale per far parlare di sé, per essere notato, e forse è proprio per questo che a distanza di anni sto ora scrivendo. Complimenti! – mi verrebbe da dire, – Ci siete riuscito Rafè!

Don Raffaele Longobardi

Don Raffaele Longobardi. foto Giuseppe Zingone

Spero di non offendervi carissimo ovunque siate adesso, descrivendovi così: fascino antico, bei lineamenti, carnagione non particolarmente bruna, capello brizzolato e brillantinato, una vaga somiglianza con Vittorio De Sica, baffetti ben curati, acqua di colonia vaporizzata a damigiane, le vostre movenze erano studiate all’inverosimile, come un giovinetto parla allo specchio, fingendo di interloquire con la propria amata. Immagino le ore che passavate a contemplare la vostra figura nel vostro laboratorio e “Chi può misurarsi con me?”, vi sarete detto mille volte. L’incedere ritmato delle spalle, il busto lievemente piegato in avanti e la camminata sicura legata a quei bastoni da passeggio con pomi decorati e intercambiabili, che erano quasi un prolungamento del braccio.
Ma quanti bastoni da passeggio avevate? Neanche tutti i santi della nostra città potevano superarvi. Ma la vostra, per così dire, peculiarità era l’arte del vestire con colori chiassosi e sgargianti tali da far impallidire persino l’arcobaleno o gli svolazzanti panni stesi ad asciugare senza fine, alle finestre del nostro Rione. Gli abiti ben rappresentavano il vostro animo ed ai miei occhi eravate un uomo diviso equamente al trentatré virgola trentatré per cento, tra un Lord Inglese, un modello parigino attempato e un guappo napoletano d’altri tempi.
Noi che negli ottanta avevamo tutti le televisioni a colori, cercavamo la nostra Hollywood a Castellammare, proprio in questi particolarissimi personaggi. Don Raffaele siete stato la nostra star popolare anticipando di trent’anni i tempi odierni ridondanti di personaggi apatici, maleducati e indefiniti.
La Villa Comunale la domenica era il vostro sicuro palcoscenico, mentre nei giorni della settimana eravate esposto come un San Giuseppe nella campana di vetro sul comò, a Piazza Quartuccio, all’altezza del negozio della Perugina, vestito di tutto punto.
La mia città, come un po’ tutto il napoletano è irriverente e maleducata nei confronti di questi particolarissimi uomini e donne capaci di far sorridere alcuni e di ingenerare un moto d’invidia in altri, nei vicoli si chiacchiera, in villa si commenta, ma al nostro don Raffaele non mancò, nel bene e nel male la pazienza e l’ironia per sopportare tali fardelli.
La domenica mattina d’estate o d’inverno, tutti noi stabiesi ci riversavamo in Villa comunale, ed eccovi apparire, come dal sipario di un teatro, commedia in cui l’attore principale eravate sicuramente voi, penso alle vostre bretelle tese a protezione di sfolgoranti camicie dirette a sorreggere vivaci pantaloni. Il vostro capo adornato di cappello mai fuori tema con il resto dell’abbigliamento, per non parlare della moda da Voi lanciata (anche se non vi fu seguito) di farvi accompagnare da scimmiette, galletti e chissà quali altri animali del buon Dio. Che bellezza, che gioia, che ilarità, che tempi!!!
Nei nostri discorsi mi avevate parlato di quando eravate tornato dalla Russia a piedi (sembrava di vedere Totò o Eduardo), non so se crederci o meno; l’occasione se non erro, fu l’arrivo a Castellammare di quegli sfortunati che dopo la caduta del muro di Berlino si riversarono a migliaia in Italia, e così anche il lungomare conobbe un po’ di “Perestrojka”, ciò mi diede l’occasione di comprare la mia prima reflex, una ZENIT con esposimetro digitale.

La Kodak Pony 135

La Kodak Pony 135, proprietà Giuseppe Zingone

Ma il regalo più bello me lo faceste voi una Kodak Pony 135, – Con macchine come questa – mi diceste – sono venuti gli americani in Italia dopo la guerra, completa di fodero in pelle che faceste restaurare a vostre spese in via Padre Kolbe dov’era l’ultimo artigiano di questo nobile materiale e le cui selle da cavallo da bambino mi raccontavano storie di Far West e di indiani.
Quante volte vi ho chiesto di posare per un si breve scatto fotografico e voi non nascondevate mai la vostra soddisfazione.
Vi ricordate i luoghi che avevate adibito a sartoria dove confezionavate personalmente molti dei vostri capi e dei vostri accessori? E le vostre caleidoscopiche scarpe rifinite dalle vostre mani? Che fine ha fatto la vostra divisa da marinaio, bardata con decine di decorazioni che avrebbero fatto impallidire oggi diversi ufficiali. Ma ditemi erano tutte vostre? O appartenevano a diversi militi e a diverse guerre? Nelle mani di chi è finita la vostra sciabola e i vostri vaporizzatori di profumo?

Raffaele Longobardi, in Villa Comunale

Raffaele Longobardi, in Villa Comunale, foto Giuseppe Zingone

Certo che la nostra città avrebbe ancora bisogno della vostra gaia presenza, è un paese dove non si ride più di cuore, il nostro. Troppi problemi e nessuno capace di risolverli, ma solo di annotarli verrebbe da dire: “Ma a fa’ chesto so’ bravo pur’‘io!”. Non ci sono più neanche le idee istrioniche come le vostre, almeno potevamo andare all’altro mondo con gli occhi sazi.

Ora che vi ho rivisto, vi ossequio e vi saluto con questa margheritina, ho ancora qualche pratica da sbrigare quaggiù, avremo modo prima o poi di chiacchierare di nuovo insieme, la calura nel cimitero impazza e via Napoli è  una  pignatta, il cielo mi schiaffeggia col suo bollore. Signore liberaci da questa calura! Mentre cammino rivedo i colori dei vostri vestiti che s’affacciano nella mia memoria come un museo di capi firmati dove i cartigli ivi apposti magnificano le vostre gesta.

Lo spaghetto del Capitano

Ricetta del sig. Catello Di Vuolo

Spaghetto del Capitano

Spaghetto del Capitano

Lo stabiese Catello Di Vuolo, si pregia di condividere con noi di liberoricercatore.it questa inedita ricetta di sua invenzione, frutto di anni di prove dettate dall’esperienza maturata lavorando sulle navi mercantili, con le quali ha girovagato per i mari di tutto il mondo.
Nello specifico il sig. Catello era solito preparare questo piatto allorquando aveva nelle sue disponibilità tutti gli ingredienti per prepararlo. Inutile dire che nell’apprezzare il sapore e la bontà di questi spaghetti, i commensali suoi ospiti, finita la già abbondante porzione a loro servita, ne richiedevano solitamente un’altra ad attestarne l’assoluto gradimento. Continua a leggere

Passaggio delle consegne militari alla Capitaneria di Porto

Oggi 11 luglio si è svolta la cerimonia di passaggio di consegne per il Comando della Capitaneria di porto di Castellammare di Stabia. Autorità civili e militari, Associazioni d’Arma e del Territorio hanno partecipato alla manifestazione sobria e lineare come nelle cose di Marina.

Report completo passaggio di consegne Capitaneria di Porto

Il Capitano di Fregata Rosamarina Sardella, ha ceduto il comando al Capitano di Fregata Andrea Pellegrino Proveniente dal CINCNAV di Roma. Il Capitano di Fregata Rosamarina Sardella invece dopo l’incarico di Comandante del Compartimento Marittimo di Castellammare di Stabia sarà assegnata al Primo reparto del Comando generale del corpo delle capitanerie di porto – ufficio ordinamento

Giovanbattista Di Martino (Poetica stabiese)

‘A sora grossa

è comme  ‘na mamma,

è ‘o ricorde ‘e mammete.

È chella ca te chiamme

ogni juorne pe’ sape’

si te serve quaccose,

si staje buone.

È chella ca nun caccia lacrime

ma ‘nsieme a te soffre dinte ‘o core.

T’è cunsigliére ‘ncoppe a ogni cosa

e te sta sempre vicine, …’e vote forse

troppo vicina.

Ma è fatte accussì, semplice,

verace, genuina, nun lascia

niente ca cammine,

si nun vede a luce da matine.

‘O scure ll’he sempre fatte paura,

si mancava ‘a luce, ‘e notte se scetave,

pure ‘o suonne insomma nun ‘a cummanava.

Qualcuno potrà pensare e ‘na rannate…

no è sule ‘na sore e ringrazio o padreterno

che me ll’ha data.

Il gioco delle tre carte

Il gioco delle tre carte
– istruzioni per l’uso –

Tutti voi conoscete il gioco delle tre carte.
Scelta la carta da puntare, le tre carte vengono adagiate sul tavolo capovolte, lasciando al centro la carta designata. Il giocatore con abile movimento delle mani le sposta velocemente cambiandole di posto. Ma, mentre la persona che conduce il gioco ripete più volte questa operazione, chi guarda è convinto di seguire, senza perderla di vista, la carta vincente, cioè quella che è stata indicata e che dovrà essere riconosciuta al momento in cui il giocatore lascia cadere di nuovo, immobili, le tre carte sul tavolo, sempre capovolte. A questo punto tutti credono, convinti come sono di non averla mai perduta di vista, di poterla indicare con sicurezza. Ma – sorpresa generale! – la quasi totalità delle volte nessuno la indovina. Potrebbe indovinarla solo chi, puntando a casaccio una delle tre carte, in maniera aleatoria e per avventura, avesse la sorte di individuarla; ma la posta in gioco – a parte la somma di denaro, cioè la puntata della scommessa, soprattutto il fatto di mettere in discussione la propria sicurezza di fronte ad una apparente certezza – è alta e nessuno vuole rischiare quello che crede il certo in cambio di ciò che ritiene fortuito. Così, per la stragrande quantità dei casi, nessuno indovina e nessuno vince. Evidentemente il giocatore di mestiere alla sua abilità manuale di prestidigitazione aggiunge la sua capacità di manipolatore delle coscienze attraverso questo meccanismo psicologico che guida la scelta degli avventori. Prontezza di mani ed astuzia sono le sue armi per turlupinare i poveri gonzi.
Fin qui, se volete, è tutta abilità; anche se cattiveria ed inganno stanno alla base delle intenzioni di chi pratica questa attività facendola diventare criminale. Ciò, spesso, ha fatto sentenziare alla giurisprudenza che nella fattispecie non sono ipotizzabili l’inganno e la truffa. Al massimo la circonvenzione di incapace, se dal gioco, specialmente quando diviene coatto, dovesse venire un rilevante danno economico al malcapitato.
Sta di fatto però che di fronte all’ingenuo malcapitato si trova il pervertito malintenzionato. E, cosa più grave, in assenza di un regolamento condiviso ed, eventualmente, di un arbitro. Allora tutto diviene possibile al giocatore delle tre carte: trucchi e inganni fino alla prevaricazione e alla violenza, specialmente, come sempre capita, quando è spalleggiato da complici sodali. Talché possiamo parlare, in ogni caso, di vere bande di malintenzionati e – di conseguenza – anche di associazione a delinquere.

tre carte coperte

tre carte coperte

Un anno mi toccò di accompagnare a Napoli in gita scolastica, il cosiddetto viaggio d’istruzione, un gruppo di studenti di una città del Nord dove insegnavo. Non era una delle mie classi, ma fui scelto perché favorito probabilmente dal fatto di essere io originario di quelle parti, per sostituire un collega ammalatosi all’ultimo momento. Intimamente la cosa non poteva che farmi piacere, soprattutto perché mi offriva l’occasione di salutare mia madre che a quell’epoca, date le distanze geografiche, vedevo non più di una volta all’anno. Tuttavia mi creava qualche disagio l’incertezza, il rischio, lo stress di passare una settimana con una scolaresca (non mia) fuori dall’ambiente scolastico in una città a più di mille chilometri di distanza dalla nostra abituale residenza. Anche se con i ragazzi mi sono trovato sempre bene sia dentro che fuori dalla scuola, anche quando da parte loro tendevano a mostrare qualche atteggiamento di intemperanza giovanile.

Così, per rispetto all’altro insegnante accompagnatore cui era affidata la responsabilità maggiore del viaggio d’istruzione, e anche per essere presentato ai ragazzi, che pure, nella piccola città dove tutti si conoscono, di me sapevano pressoché tutto e con i quali già mi era capitato altre volte di fermarmi a parlare, la settimana precedente alla data della partenza volli passare in quella classe per essere presentato ufficialmente come secondo insegnante nominato loro accompagnatore per quella uscita culturale.
Nel programmare la visita alla classe mi ero preoccupato di chiedere preventivamente al collega se a parer suo avesse qualche motivo di preoccupazione circa il comportamento che i ragazzi potessero avere durante il viaggio e il soggiorno a Napoli. Il collega me li presentò come ragazzi affidabili, solo mi segnalò che aveva sentito dire in qualche crocicchio che i ragazzi avevano intenzione di fermarsi a giocare al banchetto delle tre carte, nella sosta a Roma, dove l’anno precedente alcuni di essi erano stati “spennati”, oppure direttamente a Napoli, per rifarsi delle perdite “incassate” l’anno prima.
“Bene, dissi al collega, hai fatto bene a dirmelo”.

Così la mattina che entrai in classe per presentarmi e fare le mie raccomandazioni e mettere in chiaro i nostri rapporti, questa fu l’essenza del discorso:

Cari studenti, voi mi conoscete, e sapete che la Preside mi ha designato come secondo accompagnatore in sostituzione del collega venuto meno per motivi personali. Sono sicuro che andremo d’accordo. Il viaggio che è una vacanza dalla scuola, non sospende l’impegno dell’attenzione, lo spirito di ricerca e l’interesse culturale, perciò richiede la stessa tensione morale che manteniamo durante le giornate di normale attività didattica.
Poi anche se comporta un po’ di stanchezza, ci riserva tuttavia il legittimo piacere della vacanza e dell’evasione. Perciò esso potrà anche essere divertente, senza perdere però la sua valenza educativa e la finalità di apprendimento. Vedrete che andremo d’accordo. Voi sarete liberi di fate tutto quello che volete …… di quello che si può fare, però. Basta essere chiari nelle intenzioni e aperti nelle comunicazioni. Cerchiamo di stare insieme senza perderci di vista! di avvertire sempre quando ci allontaniamo! di guardarci a vicenda negli spostamenti! e di non rimanere mai isolati! in particolare le ragazze e, se ve ne sono, i minorenni.
Così, o a Roma, oppure quando saremo arrivati a Napoli, andremo a giocare al gioco delle tre carte. Mi raccomando, non portate molti soldi. Perché potremo vincerli giocando. Infatti, la mattina presto, quei signori che intrattengono i viaggiatori col gioco delle tre carte, prima di partire da casa si fanno consegnare dalle rispettive mogli una borsa piena di soldi, allo scopo di poter trascorrere la giornata al loro “posto di lavoro” e poter soddisfare tutte le vincite che i viaggiatori dovessero fare. Anzi se qualcuno di loro se ne dimentica – può capitare, no? – è la moglie stessa che lo richiama ricordandoli di prendere i soldi:
“Pasqua’, non ti dimenticare di prendere i soldi, perché se vengono gli studenti dal Nord Italia, e vincono al gioco delle tre carte, come fai a pagargli la vincita? Ecco, prenditi questi tre o quattro milioni, sperando che ti bastino. Poi domani, ci penseremo”.
E così tutti i giorni. Vedete come sono diverse dalle altre mogli! Invece di chiedere soldi ai mariti, glieli offrono per fare il gioco delle tre carte.
I ragazzi cominciavano a guardarsi l’un l’altro. E io a chiedergli: “Perché? Non mi credete?”
“Ma come? questi vanno a lavorare e devono portarsi da casa tre o quattro milioni di lire (all’epoca contavano ancora le lire) da dare ai vincitori? E le mogli glielo permettono e gli danno pure i soldi? E fino a quando potranno resistere?” Questi erano, all’incirca, i pensieri di quei studenti. O in tutto simili a questi. Mentre io continuavo la mia parodia.
Ma quando mi resi conto che erano maturi abbastanza, cotti nel loro brodo, gli chiesi: “Ma perché, voi che cosa credevate?” A questo punto dovetti dirgli chiaramente che questa era una delle cose di cui avevo parlato prima, che non si potevano fare. E che comunque anche se in futuro avessero voluto tentare la fortuna in questo modo, che stessero bene attenti alla loro incolumità perché quelle bande sono bande di delinquenti.

tre carte scoperte

tre carte scoperte

Venuto il giorno, anzi la sera, della partenza, salutati i parenti che li avevano accompagnati alla stazione, prendemmo posto sul treno che in mezz’ora ci avrebbe portati alla stazione centrale del Capoluogo, dove ci aspettavano le cuccette riservate sul treno diretto a Napoli. I ragazzi, distribuiti a quattro a quattro nei piccoli scomparti accostati ai finestrini, per passare il tempo cacciarono dagli zaini mazzetti di carte da gioco. Così si intrattenevano giocando a briscola o a tressette, mentre io con discrezione mi aggiravo a salutare i vari gruppi. Tra una “mano” e l’altra, mentre si raccoglievano le carte dal piano di uno zainetto che fungeva da tavolo da gioco, ne prendevo tre per improvvisare nella breve pausa il gioco delle tre carte, con somma curiosità e partecipazione da parte dei ragazzi. Intanto arrivammo al Capoluogo e ci sistemammo nel treno che ci avrebbe portati a Napoli. La maggior parte dei ragazzi che mi avevano visto fare il gioco delle tre carte ne aveva imparato la tecnica.. L’abilità l’avrebbero acquisita in seguito. Ma la cosa più importante fu che apprezzarono la bellezza del gioco senza dover ricorrere all’utilizzo del denaro. L’indomani, all’arrivo alla stazione di Napoli, tutti erano in grado, anche se da principianti, di muovere mani e dita e praticare con sicurezza il gioco. Il viaggio a Napoli fu di grande successo. I ragazzi visitarono luoghi di cultura, ammirarono bellezze naturali, gustarono prelibatezze culinarie, apprezzarono il clima e l’umore della vita della metropoli, sperimentarono l’umanità della popolazione. Visitarono Capri e Sorrento, Pompei ed altre belle cittadine del circondario.

Luigi Casale