‘A zuffrìtta

di Raffaela Rosato & Ferdinando Fontanella

‘A zuffrìtta in cottura (foto Ferdinando Fontanella)

Per la povera gente di Castellammare la stagione invernale è sempre stata dura da sopportare. Una sofferenza causata non solo dall’umidità e dal freddo, in cui piomba naturalmente il centro antico, ma anche e soprattutto dalla carenza di cibo e, come testimonia un antico adagio popolare, in città «Passato ‘o Natale sulo friddo e famma». Pochi erano, infatti, i prodotti a buon mercato ricavabili dal mare, con la pesca, e dalla terra, con l’agricoltura, destinati a riempire gli stomaci famelici degli stabiesi.

Ottenere un piatto saporito, caldo, nutriente e in abbondanza che facesse da companatico al pane che mai, per fortuna o grazia di Dio, mancava era un sogno che tormentava le notti di tutti i “vasciaiuoli”, gli abitanti dei bassi.

Questa cronica miseria si attenuava solo con l’avvicinarsi della primavera e precisamente con l’entrare del mese di febbraio, ovvero il tempo in cui, per tradizione, si ammazzano i maiali.

Ovviamente le carni pregiate: costate, capicolli, filetti, prosciutti, pancette, salami e salsicce erano ad uso e consumo di chi poteva permettersele. Al popolino restavano “gli scarti”, ma come tutti sanno: del maiale non si butta niente, e anche il rimasuglio nelle mani delle massaie diventava piatto prelibato.

Sangue, frattaglie, cotiche, coda, muso, orecchie, zampe, ossa… insomma tutto era buono e saporito una volta salato, speziato e arrostito, fritto o bollito.

La ricetta che meglio soddisfaceva i requisiti desiderati dagli affamati: saporita, calda, nutriente e abbondante, era una minestra piccante a base di pomodoro con pezzi di polmone, trachea, lingua, cuore e milza di maiale, detta ‘a zuffrìtta.

Preparata questa zuppa forte il modo migliore per consumarla era prendere un buon pezzo di pane, l’ideale è quello che in dialetto chiamano ‘o cazzotto, tagliarne l’apice, svuotarlo della mollica, riempirlo con alcuni mestoli della pietanza e richiuderlo con la stessa mollica poc’anzi asportata e precedentemente intinta nel sugo della zuffrìtta.

La capa ‘e pane cu’ ‘a zuffrìtta così servita era spesso venduta, a poco prezzo, anche nelle locande e in strada, da ambulanti che cucinavano la zuppa in enormi calderoni sostenuti da cucine montate su carretti mobili e traballanti.

Questo piatto sostanzioso era spesso l’unico pasto della giornata e, in base all’ora in cui veniva consumato, diventava: colazione, pranzo, cena e persino spuntino.

Nella consapevolezza che oggigiorno sono in pochi a cucinare con coscienza la zuffrìtta e che molti giovani non l’hanno mai assaggiata, riportiamo la ricetta e la preparazione per farla.


‘A zuffrìtta: la ricetta

Ingredienti:

  • Un polmone, una lingua, una trachea, un cuore e una milza di maiale
  • Una lattina di concentrato di pomodoro
  • 750 ml di passata di pomodoro
  • 750 ml di acqua
  • 150 ml di vino bianco
  • 150 ml di olio extravergine d’oliva
  • 1 spicchio grande d’aglio
  • 2-3 foglie d’alloro
  • 1 o 2 peperoncini piccantissimi
  • Sale quanto basta

Preparazione:
Tagliate a pezzetti il polmone, la lingua, la trachea, il cuore, la milza e poi sciacquateli bene. In un tegame capiente mettete l’olio, l’aglio e il peperoncino. Quando l’olio sarà caldo aggiungete il “trito di maiale” e le foglie di alloro. Lasciate soffriggere bene gli ingredienti e, solo quando tutta l’acqua sarà evaporata, fate sfumare col vino bianco. Evaporato il vino aggiungete il concentrato di pomodoro, la bottiglia di sugo e l’acqua. Quindi salate e mescolate accuratamente. Portate a ebollizione su fiamma vivace, poi riducete l’intensità del fuoco e fate bollire per lungo tempo. Lasciate “pippiare” la zuppa finché apparirà bella corposa e solo a questo punto spegnetela. Servite ‘a zuffrìtta caldissima, riempendo un pezzo di pane “cazzotto” svuotato della mollica.

Ascolta: ‘A zuffrìtta  (versione audio per i non vedenti)

Caldarroste al sale grosso

 articolo di Ferdinando Fontanella

Caldarroste (immagine tratta dal web)

Caldarroste (immagine tratta dal web)

La parola caldarrosta evoca gustosi sapori e antichi riti. Non molto tempo fa, nelle giornate d’autunno, quando l’aria frizzante è pregna di odori deliziosi, era consuetudine fermarsi all’angolo della strada e comprare il caldo e fumante cartoccio, camminare e sgranocchiare una castagna dopo l’altra, c’era magia in quei pochi e saporitissimi frutti, che ci riscaldavano le mani e ci deliziavano il palato. Oggi i tradizionali venditori di caldarroste sono quasi del tutto scomparsi e i pochi che sono rimasti generalmente non rispettano più la tradizione, volgari fornelli a gas hanno sostituito il braciere con i carboni ardenti e cosa più triste ancora, le caldarroste sono vendute a “peso d’oro”. Continua a leggere

Etichetta bottiglie “Acqua Acetosella”

Tiempe belle ‘e ‘na vota

“Tiempe belle ‘e ‘na vota, tiempe belle addó’ state? Vuje nce avite lassate, ma pecché nun turnate?”, parafrasando per intero il ritornello di una vecchia canzone di Aniello Califano, rimettiamo all’attenzione degli affezionati lettori la presente rubrica in cui vengono raccolti, numerosi documenti che testimoniano in modo semplice ed affascinante un passato stabiese non molto remoto. Un passato che sembra essere distante anni luce dai giorni nostri e dal nostro moderno modo di vivere (o sopravvivere) in una società sempre più frenetica e opprimente, che impone un modus vivendi affannoso e alla continua ricerca della modernità o di una acclamata effimera moda del momento. Al fine di salvaguardare, in una vera e propria “banca del ricordo”, il passato tracciato dai nostri padri (il cui solco, purtroppo, per i motivi di cui sopra, sembra svanire e perdersi come le tracce sulla sabbia di un bagnasciuga battuto dalle onde di un incontrollabile burrascoso progresso), verranno qui raccolte e proposte delle rare immagini, locandine d’epoca e quant’altro possa testimoniare l’indiscutibile e fervente attività economica svolta a Castellammare di Stabia, nei bei tempi che furono…

Maurizio Cuomo

etichetta acqua acetosella

Etichetta “Acqua Acetosella” (coll. Maurizio Cuomo)

Etichetta bottiglia: Acetosella (acqua minerale naturale)
( collezione privata Maurizio Cuomo )

Il Castello

articolo di Maurizio Cuomo

In uno degli scorci più suggestivi offerti dal territorio stabiese, incastonato ai piedi del Faito a circa 100 metri di altitudine dal livello del mare, nel tratto di strada Panoramica ove confluiscono l’antica salita Visanola e strada Fratte, giganteggia, in posizione dominante sull’intera città il celeberrimo castello medioevale.

Il Castello (27)

Il Castello visto dalle Fratte (cartolina)

Di antichissima e nobile origine, questo castello ha subito nei secoli diverse trasformazioni strutturali (messe in opera per soddisfare le esigenze difensive del territorio), per cui oggi resta ben poco del suo aspetto originario.
Per le suddette motivazioni, dalla sola documentazione storica (vecchi manoscritti d’epoca) riesce difficile definire con certezza il periodo della sua fondazione.

Nel corso dei secoli, diversi illustri storici, nell’intento di arricchire l’oggettiva penuria di informazioni, hanno formulato le proprie teorie (frutto di anni di studio), nelle quali, alla luce delle più recenti scoperte storiche, è possibile riscontrare varie inesattezze.
Tra le diverse teorie fino ad oggi avanzate, vanno menzionate le ricostruzioni storiche del Parisi e del Milante, nelle quali entrambi gli autori, asseriscono che il castello fu fatto costruire per volere di Carlo I d’Angiò (1266-1285), da ciò si spiega l’erronea definizione “Castello angioino”, ormai di uso comune. Continua a leggere

Antonio Bulifon, libraro all'insegna della Sirena, MDCLXXIV

Né ammice né compare

A Castiello a Mare né ammice né compare

di Giuseppe Zingone

Antonio Bulifon, libraro all'insegna della Sirena, MDCLXXIV

Antonio Bulifon, libraro all’insegna della Sirena, MDCLXXIV

Ѐ Giangrazio a proferire le parole “A Castiello a Mare né ammice né compare”, si tratta di un affermazione tratta da “Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille” opera di Giambattista Basile del 1634. IL Pentamerone del Basile scritto in dialetto napoletano, ebbe in Europa grande successo, tanto da essere un punto di riferimento per le fiabe riscritte nei secoli successivi, come la gatta Cenerentola, (Cenerentola) rivisitate da Perrault e dai fratelli Grimm, oltre all’opera teatrale di Roberto De Simone.

Continua a leggere