‘A Casciarmonica ‘e Castiellammare
di Catello Nastro
Sono nato settanta anni fa a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, in Vicolo Mantiello, una delle tante strade cittadine che confluivano e confluiscono “Ammiezz’‘o llargo ‘e Fusco”. Una piazza piena di vita sempre affollata di carrette, carrozze e carrozzelle, qualche automobile, come le Balilla, qualche camioncino rumoroso e sgangherato ed una infinità di pedoni. Si, perché nella antica Stabia sono vissuto fino a dieci anni e cioè dal 1941 al 1951, quando mio padre, buonanima, decise di trasferirsi nel Cilento. I miei ricordi del paese natìo si fermano al 21 ottobre del 1951. Sono nato in un basso, sono cresciuto in mezzo alla strada. Com’era diversa la vita di allora. Qualcuno si vergogna di essere nato “scugnizzo”. Addirittura qualcuno ha comperato, e compera ancora titoli nobiliari, naturalmente fasulli, per evidenziare nobili origini. La vita del vicolo è stata la prima mia grande maestra. Mi ha insegnato cosa significano appetito, sacrificio, ristrettezze, sofferenza, ma anche amore, fratellanza, comprensione, solidarietà. Ho il grande merito di ricordare, della mia esistenza, solo le cose belle e di dimenticare, anzi voler dimenticare, le mortificazioni ed i soprusi subiti anche dopo il fatidico 1968, che mi trovava alla Federico II° di Napoli e fresco laureato in lettere moderne, con una bella nomina a tempo indeterminato mi avviavo ad insegnare in una scuola media della provincia di Torino. Ancora mortificazioni in questa terza tappa del mio meraviglioso viaggio su questa terra che si chiama “vita”. Era il periodo di “Non si fitta ai meridionali”. Ma passarono pochi mesi che la mia caparbietà ed il mio impegno sempre costante mi fece guadagnare la fiducia e la stima nell’ambiente di lavoro. Opero anche nel campo culturale ed artistico in genere con risultati soddisfacenti. Nell’82 sono candidato alle comunali e risulto tra i primi trenta su ottanta. Non sono eletto, ma ho avuto la fiducia di molte persone che mi conoscevano. Nel 1983 decido di ritornare nel Cilento, ad Agropoli, nella mia casetta di campagna, continuando a fare il professore fino a quando, all’ombra dei templi di Paestum, vedo la meritata pensione. Con gli amici del Centro Sociale Polivalente, circa cinquecento (attualmente sono tra i dirigenti!), decidiamo di fare un pellegrinaggio a Pompei. Dopo pranzo visita al paese natìo del Presidente a grande richiesta. Uscita Castellammare, lungo il fiume fino al mare. Com’è cambiato il mio paese… Ma rimane il fascino di una vecchia signora uscita da un dipinto della Belle Epoque, del periodo dello splendore, dell’operetta, del grande teatro, del Liberty creativo. Il lungomare è ancora tutto da ammirare. Molti lavori in corso ci fanno deviare. Ma se ci sono i lavori in corso significa che il mio paese è vivo, ha voglia di riscattarsi dallo scurore di nubi basse e portatrici di tempesta. Il pullman procede lentamente anche per permettere agli amici anziani di godere del paesaggio. Ma ecco che si pone in lontananza, davanti al mio sguardo, il monumento che più degli altri è rimasto impresso nella mia mente: “‘a casciarmonica”.
Nel suo splendore, nella sua armonia. E pur nel silenzio mi sembrava di ascoltare in lontananza i concerti bandistici in cui primeggiavano i rullanti e gli ottoni, mentre noi, ragazzi di quartiere, ballavamo disordinatamente al suono della banda chiedendoci perché c’era un signore col cappotto nero a due punte che si agitava freneticamente con una bacchetta in mano quasi volesse minacciare i musicisti che non tenevano il tempo. Il nostro mezzo di locomozione procede oltre lentamente lasciandosi la cassa armonica alle spalle mentre i compagni di viaggio commentano la bellezza dei giardini pubblici e dei circostanti edifici di epoca liberty, la vista dei mastodontici cantieri navali, e poi verso la collina. Mi commuovo. Per un attimo sono ritornato bambino, che non conosceva le tabelline a memoria, ma che era felice. Anche se era la felicità della incoscienza infantile. Forse un giorno ritornerò a Castellammare di Stabia, mio paese natìo, salirò sul palco, e raccoglierò le briciole dei miei ricordi.
Catello Nastro