( articolo del dott. Ferdinando Fontanella )
Da qualche tempo durante le mie passeggiate mi capita di soffermarmi a pensare agli alberi, non tanto alla loro essenza biologica, quanto all’aspetto culturale. Un tempo tanto preziosi da essere considerati divinità, oggi invece quasi del tutto ignorati. Una domanda frulla spesso nella mia testa, è possibile considerare un albero al pari di un amico, ed è lecito soffrire per la sua morte o provare collera per il suo assassinio?
Voglio raccontarvi la storia vera di un vecchio albero che per anni è stato uno dei simboli della mia città. Leggete e poi rispondete, in cuor vostro, alle domande che pocanzi vi ho posto.
Con la sua possente chioma il vecchio platano della villa comunale ha protetto dal sole cocente intere generazioni, i rami nodosi hanno ispirato pittori e poeti, le ferite che portava sul tronco raccontavano un pezzo della storia d’Italia.
A prima vista poteva sembrare un platano come tanti altri, era vecchio e maestoso ma rientrava nella normalità della specie (Platanus ibrida) aveva un diametro del tronco che superava il metro con circonferenza di tre metri e sessantacinque.
In Italia però ne esistono esemplari molto più grossi ad Avella in provincia di Avellino vive un platano che ha una circonferenza di circa dodici metri, mentre ad Alessandria è famoso il platano di Napoleone con circonferenza che supera i sette metri.
Era un albero secolare, ma anche l’età non era eccezionale considerando che i platani superano tranquillamente la soglia dei cento anni arrivando anche a cinquecento.
La cosa veramente importante che lo caratterizzava era il valore simbolico, la storia che portava sulla sua maestosa chioma. L’età stessa non era casuale, era stato piantato all’incirca nel 1880 nella zona interessata dal prolungamento della villa comunale (per chi conosce Castellammare è lo spiazzo antistante palazzo Spagnuolo) realizzato sul finire del XIX secolo con l’abbattimento del muraglione difensivo della città e l’interramento di un tratto di mare con i materiali di risulta. In sostanza l’albero piantava le radici in una terra nuova, nata da tutto quello che era stata la città prima dell’unità d’Italia, infatti, solo in seguito alle vicende risorgimentali il muraglione difensivo non ha più motivo d’esistere ed è abbattuto.
Il platano dunque ha accompagnato la città verso il futuro, ha visto la società cambiare: i carretti trainati dai ciucci sostituiti dalle automobili, così come i velieri ancorati nel porto dalle navi a motore, ha sentito i primi aerei sfrecciare sulla sua testa. È stato il testimone degli orrori e delle sofferenze di due guerre mondiali, come un reduce orgoglioso portava un’ampia cicatrice, causata da un taglio fatto dai soldati alleati durante la seconda guerra mondiale. Sopravvissuto alla guerra ha visto la nascita della repubblica parlamentare, la ripresa economica, la corruzione della politica, il boom edilizio, l’inquinamento che ha trasformato il mare limpido e pescoso del golfo di Napoli in un’immensa fogna, ha avvertito il tremolio del terremoto, ed ha assistito ad un’altra guerra quella della camorra.
Poi, come capita a tanti vecchietti, si è ammalato. La fibra forte e le radici affondate nella storia gli hanno consentito di resistere per molto tempo. Infine, accompagnato dall’indifferenza di chi poteva curarlo, o almeno tentare e non lo ha fatto, è morto.
Oggi dove cresceva il vecchio platano non c’è un giovane albero, che in un certo senso poteva raccoglierne l’eredità, una spessa colata di cemento ha colmato quella voragine nel terreno e ha lasciato un enorme vuoto nella nostra coscienza.
Ferdinando Fontanella
Twitter: @nandofnt