Pillole di cultura: Caso

a cura del prof. Luigi Casale

Il Libero Ricercatore, allo scopo di avvicinare gli studenti ai problemi della lingua e in particolare della nostra (quella italiana o napoletana) asseconda da tempo la curiosità dei suoi giovani lettori col proporre tra le “pillole di cultura” alcuni lemmi da mettere a loro disposizione per una eventuale ricerca. E anche degli insegnanti che volessero aiutarli in una sistemazione teorica più consona alla metodologia didattica propria della disciplina scolastica.
Già precedentemente nel trattare alcuni argomenti mi è capitato di segnalare la necessità di analizzare sul piano semantico i termini tecnici della grammatica, in una prospettiva diacronica (alias: storica, o meglio, nella loro trasformazione evolutiva). E tra questi, ho cercato di spiegarne qualcuno col recuperare la motivazione che lo lega al significato originario della parola. Sarebbe ugualmente bello illustrare tutte le parole che ricorrono nello studio della grammatica italiana e scoprirne il significato più generale, considerato che le stesse parole le troviamo usate come vocaboli comuni del linguaggio quotidiano, utilizzate con la loro prima e più vera accezione, allorché molto spesso – erroneamente – le crediamo invece metafora proprio di quei termini tecnici in uso nelle grammatiche.
Se il processo si mostra facilmente accessibile per parole come “congiunzione” o “imperativo” (parole di per sé già trasparenti), esso diviene più complicato per quelle come “copula” o “declinazione” o “casi, ”oppure “participio” (indubbiamente parole molto più opache). Parole che cercheremo di riprendere se questo approccio metodologico avrà successo.

Intanto oggi esamineremo la parola “caso” nella sua definizione più generale e nell’accezione di termine tecnico dello studio della grammatica.
Che cosa sono i casi quando si studia la grammatica di una lingua?
In altre parole, che cosa significa la parola “casi” nel linguaggio delle grammatiche?
E che significato ha la parola caso al di fuori del linguaggio grammaticale, e quindi nella sua origine etimologica?
Nel primo “caso” (… ecco una situazione comunicativa in cui ricorre la parola che stiamo esaminando, usata non come termine tecnico, ma come parola comune), la parola significa (e indica) una delle forme (voci) di una parola flessiva (cioè che cambia la sua parte finale) esistenti nella lingua, diverse a seconda del suo rapporto col verbo (per quelle lingue che hanno conservato la declinazione, come la tedesca oggi, e il greco e il latino tra le lingue antiche). Si sa, infatti, che nelle lingue classiche (greco e latino) il nome, l’aggettivo, il pronome hanno varie forme (morfemi) cioè modificano la desinenza (la parte finale della parola). Questa capacità o possibilità si chiama “declinazione” e l’insieme di tutte le forme della stessa parola si chiama “paradigma”. Cosicché il nome, l’aggettivo, il pronome si definiscono “parole declinabili” in quanto, a seconda della situazione comunicativa in cui sono inseriti, essi possono assumere forme diverse (cioè, cambiano la parte finale).

Ma “caso” (come ho evidenziato di sopra in una parentesi) è anche “una situazione particolare unica e originale”, da cui nasce poi la parola casistica (= insieme dei casi: le situazioni, o constatate o possibili).
E “caso” è anche il caso: “ciò che capita in maniera imprevista”, cioè “ciò che accade”, o meglio “che cade” (dal cielo?).
Oppure è “il fatto eccezionale che diventa in maniera emblematica simbolo di un avvenimento”, di un fenomeno, di un comportamento.
E può essere anche “l’avvenimento aleatorio”, o addirittura l’imprevedibilità del destino, o il destino stesso. Vedete? Quante cose?

Allora sollecitati da questa gamma di accezioni (cioè la serie di possibili significati) cerchiamo di vedere se è possibile ricondurli ad un unico significato di base riconoscibile nella parola latina da cui deriva “caso”(etimo).
La parola latina è casus che significa caduta (dal verbo cado/càdere); e quindi: caso, accidente, evento, eventualità, circostanza, occasione.

Prima di procedere oltre, vi ricordo che il verbo latino viene rappresentato attraverso le forme che ne formano il “paradigma” (modello), evidenziandone solo quelle che sono alla base di tutte le altre possibili. Esse sono quelle del Presente, del Perfetto, del Supino e dell’Infinito. Quelle insomma che ci fanno capire se il verbo appartiene alla 1^, alla 2^. alla 3^, o alla 4^ coniugazione. Per fare un esempio in italiano, è come se noi il verbo leggere lo chiamassimo: leggo/lessi/letto; o se il verbo fare lo nominassimo: faccio/feci/fatto; e così, vedere: vedo/vidi/visto. E via di seguito.

Quindi il paradigma di cado (= cadere) è: cad-o; cè-cid-i; casum; càd-er-e.
I suoi composti sono:
Ad+cado Áccid-o Áccid-i ———- Accìd-er-e (cadere verso)
In+cado Íncid-o Íncid-i ———– Incìd-er-e (cadere dentro)
Ob+cado Óccid-o Óccid-i Occàsum Occìd-er-e (cadere in avanti)

Osserviamo che i tre temi: cad- cid-, cas-, sono tre diversi temi originati dall’unico tema verbale. Così da cad- proviene cid- per trasformazione apofonica della vocale “a”; mentre il tema cas- si forma per normale fenomeno fonetico conseguente all’incontro delle consonanti “d” (del tema) e “t” (della caratteristica del supino) [cad+tum > casum].

Un verbo simile a cado, e che – specialmente nei composti – si confonde con cado è il verbo caedo (tagliare), il cui paradigma è : caed-o ; ce-cìd-i; caesum; caed-er-e .
I suoi composti sono :
Ad+caedo Accìd-o Accìd-i Accìsum Accìd-er-e (tagliare,ferire)
In+caedo Incìd-o Incìd-i Incìsum Incìd-er-e (tagliare, incidere)
Ob+caedo Occìd-o Occìd-i Occìsum Occìd-er-e (uccidere)

Per completezza del discorso devo dire che al perfetto (vedi la forma senza preposizione iniziale) i due verbi presentano il raddoppiamento (che poi scompare nei verbi composti col preverbio).
Si tratta di una sillaba iniziale aggiunta, formata dalla consonante iniziale del tema seguita dalla vocale “e”. Anticamente questa caratteristica indicava una azione già fatta (perfetta) o nel passato, o nel presente, oppure nel futuro.
Inoltre la differenza tra cècidi (da cado) e cecìdi (da caedo) dipende dal fatto che nel primo verbo la i è una vocale breve, mentre nel secondo essa è lunga. Infatti le due “i” sono forme apofoniche (cambiamento di suono della vocale) rispettivamente di una vocale breve (la “a” di cado) e di una vocale lunga (la “ae” di caedo).

C’è ancora un altro verbo che rischia di confondersi con i due che abbiamo esaminato fino adesso, ed è il verbo: cedo; cessi; cessum; cèdere (avanzare, muoversi).
Dal confronto dei tre modelli – e dei verbi composti da essi, rispettivamente, dipendenti – vediamo alcune parole della lingua italiana (quelle più comuni) appartenenti alle tre famiglie (aree semantiche).

Così da cado derivano:
– caso (dal sostantivo casus; “caduta”), come abbiamo visto.
– accadere ( “cadere verso”)
– accidente (participio presente: significa “che cade verso di me”)
– incidente (participio presente: che cade dentro [un tempo o un luogo])
– occidente (participio presente: significa “che cade in avanti”)
– occaso (parola poetica per dire tramonto: “caduta in avanti”)

Mentre da caedo (col dittongo):
– accidere, occidere, incidere (rispettivamente: tagliare verso, tagliare contro, e tagliare dentro). Uccidere (che per gli antichi era essenzialmente un tagliare: lacerare il corpo).
– decidere (metaforico: “tagliar corto”)
– ceduo (destinato ad essere tagliato); lo si dice del bosco
– cesura (taglio)
– cesoie (forbici)
– cesareo (dall’espressione “caeso utero” = col taglio dell’utero); lo si dice di una certa tecnica di parto.

Dal verbo cedo (senza dittongo) [camminare, andare avanti, andare indietro] invece derivano:
– incedere (avanzare)
– concedere (andare in contro a qualcuno)
– accedere (andare avanti)
– accesso (entrata)
– decedere (tornare indietro, venir meno)
– decesso (metaforico: eufemismo per dire morte)

Come compito estivo, vi lascio alle vostre esercitazioni di approfondimento semantico; invitandovi alla ricerca di tutte quelle parole che possono entrare nelle tre sfere lessicali del “cadere”, del “tagliare”, o del “procedere”.
Buona estate e buon lavoro di ripetizione.

L.C.

 

 

 

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