Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )
( nei ricordi di un bimbo di allora )
Avrò avuto 6 o 7 anni, quindi siamo nel 1929/30. Abitavamo nel palazzo dell’Acqua della Madonna (da tempo abbattuto). Si trovava poco oltre la Chiesa della Madonna di Porto Salvo, proprio di fronte all’Acqua Acidula. Dai suoi balconi si vedeva la fonte dell’Acqua della Madonna che scorreva proprio sulla banchina; ed in lontananza il molo del Cantiere Navale.
Al fondo della strada, proprio adiacente agli stabilimenti delle Vecchie Terme, vi era un orto-giardino curato da un certo don Alfonso. Oltre ad ortaggi e fiori questo contadino cittadino allevava anche qualche maialino e qualche gallina. Quando si entrava in questo recinto sembrava di essere proprio in campagna: odore di stallatico, di terra bagnata e predominava su tutto il profumo delle rose. Ah! Che profumo!! Dopo quasi ottanta anni, quando ci penso, questo profumo lo sento ancora nelle narici e nel cuore: indimenticabile! Invade i miei ricordi, il mio animo. Forse perché da bambini certe sensazioni restano a segnare le tappe del trascorrere del tempo e quindi incancellabili.
Quando era la stagione dei piselli e delle fave, mia mamma, dopo aver sbucciato questi ortaggi, mi incaricava di portare a don Alfonso i baccelli. Il compenso erano tre/quattro rose gialle o rosse che io poi portavo a casa. Nel breve tragitto da percorrere per raggiungere la mia abitazione io quelle rose me le stringevo al petto aspirandone appieno il loro profumo. Forse per questo quel profumo è ancora con me!
In quel ortus conclusus, in quella oasi di pace, la vita di fuori ti veniva ricordata dal ta-ta-ta-ta dei martelli pneumatici degli operai calafati, che lavoravano all’assemblaggio delle fiancate delle navi in costruzione nel vicino Cantiere. Il rumore era assordante e incessante; cadenzava la vita del rione e nel contempo dava rassicurazione. Si, perché significava che il lavoro c’era e quindi anche la paga. E con la paga quindi il mangiare, il vestirsi, il vivere. Difatti , nell’intercorrere fra l’impostazione di una nave all’altra, qualche volta si era licenziati e si rimaneva per qualche tempo disoccupati. Allora si rivelava la solidarietà in famiglia: ci si aiutava tra parenti per quel che si poteva.
A casa mia, per fortuna, il rischio della disoccupazione non si è mai corso perché mio padre era ferroviere e quindi non soggetto a questa evenienza. Ciò nonostante le condizioni economiche della mia famiglia non erano delle più floride. Con quattro figli da mantenere e con la sola paga da operaio i salti mortali per tirare avanti erano esercizi quasi quotidiani. Noi bimbi piccoli si aveva sempre appetito: nulla bastava a sfamarci. Ricordo quindi con nostalgia e con l’acquolina in bocca certe semplici, povere e saporite colazioni o merende che la mia cara mamma ci preparava. Ecco di cosa si trattava: in un pentolino faceva bollire dell’acqua con dentro due o tre foglie di lauro. Il tutto veniva poi versato su delle fette di pane raffermo, duro, avanzato da qualche giorno. Poi un poco d’olio e un poco di sale: che delizia! Ma che nutella, che merendine! Nulla poteva competere con quel sapore di pane, di olio, di lauro in un misto inconfondibile. Sarà perché avevamo sempre fame, o perché le cose e i ricordi lontani acquistano una dimensione e un valore forse più esagerati di quelle che in realtà erano, ma io quel sapore di pane, acqua e olio non l’ho mai più provato!
La ringrazio per le continue testimonianze di una Stabia che non c’è più. Ma che sopravvive nei ricordi di persone come Lei
Elio Esposito
Mi apre il cuore leggere questi ricordi, sapere come si viveva negli anni trenta. Come avrebbe vissuto mio Padre Stabiese, che io non ho potuto interrogare. Mi porto i ricordi dei pochi giorni trascorsi insieme e le memorie dei Suoi Fratelli e Sorelle, quando tornavo nella Sua Città nativa.
Grazie
Umberto Castellano