articolo di Maurizio Cuomo
La tradizione del “dare la voce”, è senza dubbio, una delle pratiche più antiche e caratteristiche, alle quali ancor oggi è possibile assistere. Prettamente stabiese, la voce di “Fratièlle e surélle”, echeggia alle prime ore del mattino, nel periodo della cosiddetta “Dodicina”, cioè, nei dodici giorni che precedono l’otto di dicembre in cui ricorre la festa dell’Immacolata Concezione.
Il periodo di origine di questa tradizione popolana (non ancora precisato), dovrebbe, risalire alla fine del ‘700, o quanto meno alla metà dell’800, quando le coste di una Castellammare di pescatori e marinai, furono palcoscenico di una tragedia marinaresca, della quale si tramanda, fu protagonista un pescatore stabiese, unico superstite di un naufragio.
Per maggiore precisione descrittiva, inseriamo il magistrale racconto della sciagura, tratto dall’opuscolo “Fratièlle e surélle” di Alminni, nel quale l’autore scrive: “Una barca o un “paranziello” come lo vogliamo chiamare, una volta fu sorpreso da una forte tempesta. La barca si dibatteva in balìa delle onde e, a causa del forte vento di scirocco, si spezzarono tutte le sartìe, il timone non resse più perché la barra che lo manovrava s’era spezzata e quindi l’imbarcazione era ingovernabile. Un colpo di vento più forte preso appieno nella randa, spezzò l’albero di maestra. Un colpo di mare spazzò via i marinai dalla coperta e poco dopo la barca fu inghiottita dal mare. È superfluo dire che a bordo l’equipaggio non era dotato della benché minima misura di sicurezza quali salvagente o cose del genere. Uno dell’equipaggio era appunto il marinaio della nostra storia; egli si dibatteva tra le onde, aggrappato ad un pezzo del pennone. La tempesta imperversava malignamente, accanendosi in malo modo contro questo povero naufrago. Con ritmo cadenzato, nel buio della notte, il cielo nero e nuvoloso mandava scrosci d’acqua, mentre veniva di tanto in tanto squarciato dai fulmini, producendo accecanti bagliori e, contemporaneamente, si udirono dei tuoni così fragorosi e assordanti da far scoppiar il cervello. Un vero inferno! La riva era quasi vicina, ma il marinaio non se ne rendeva conto per il buio e perché stremato dalla grande fatica per nuotare tra le onde burrascose. Si dibatteva tra le mareggiate, aggrappato ad un tronco dell’albero maestro, spezzatosi durante la tempesta; intorno c’erano lampi, tuoni e saette e l’uomo, stanco com’era, lanciò un urlo quasi bestiale e, stringendo nella mano “l’abetiello” che aveva appeso al collo, invocava: “Mamma, Mamma ‘e tutt’‘e Mmamme, aiutame tu!” Improvvisamente gli apparve una luce così forte e accecante che la notte gli sembrò giorno. Un fascio di luce si sprigionò da una finestra, comparsa d’improvviso sul mare. Dalle onde gli sembrava che salisse una musica celestiale, come suonata da mille angeli. Un’improvvisa calma lo sorprese, inspiegabilmente non sentì più tutta la stanchezza dovuta alla lotta con le onde restando attonito a quello spettacolo meraviglioso. Nel chiarore della finestra all’improvviso si stagliò la sagoma maestosa di una grande Signora dal volto delicato e pietoso, con gli occhi luccicanti rivolti verso il cielo, come per implorare lassù l’Onnipotente; aveva le braccia protese verso il basso, come se fossero stanche e le mani rivolte verso il mare, come a proteggere e ad accogliere sotto il suo manto il figlio in pericolo. La bella Signora era tutta vestita di un bianco immacolato e aveva sulle spalle un grosso manto celeste, trapuntato di stelle. Era la grande Mamma; il naufrago la riconobbe dall’aureola di stelle che le cingeva il capo. Non c’erano dubbi, era l’Immacolata Concezione che gli tendeva le braccia per trarlo in salvo! L’emozione fu tanta che perdette i sensi. Quando si svegliò, era sull’arenile della “California”, adiacente la banchina di “zì Catiello” tra le assi e i rottami della sua barca sparsi un po’ dovunque e che, con lui, il mare aveva spinto verso la spiaggia. Fradicio d’acqua, anche se stremato e privo di forze, si rese conto che era l’alba. La prima luce del giorno, i primi raggi del sole, lo sorpresero riverso sulla spiaggia, tutto infreddolito e dolorante. Intanto il mare si era quasi calmato e soffiava un leggero vento fresco di ponente che gli scompigliava i capelli, e gli sollevava un lembo della camicia. Era ancora confuso e non capiva se ciò che vedeva era un sogno o la realtà. Di tanto in tanto emetteva qualche lamento e si toccava con le mani le parti doloranti del corpo, senza rendersi ancora conto di quanto era successo. Finalmente fu avvistato da gente del posto, uomini, donne e bambini, riconosciutolo, gli facevano festa a gran voce. Ma egli non riusciva ancora a capire il perché tanto era intontito. Di minuto in minuto si riprendeva rapidamente, perché aveva un fisico abbastanza robusto e, così, incominciò a dare qualche risposta alle varie domande che gli venivano rivolte. All’improvviso tutto gli fu chiaro, rivide ciò che gli era capitato: “L’ho vista affacciata alla finestra, che mi tendeva le braccia! Era la Madonna ! Era la Madonna !” e continuava a ripeterlo come a se stesso e, alla fine, cadde in ginocchio con le mani giunte, invitando tutti i presenti con l’appellativo di fratelli e sorelle ad imitare il suo gesto. “E mò, tutti insieme, diciamo il Rosario alla Madonna, incominciando “dall’AUMMARIA!” Esortò l’uomo salvato e così il primo Rosario del marinaio venne recitato sull’arenile, intorno ad un grande falò, per potersi riscaldare. E forse, in ricordo di questo straordinario evento la vigilia della festa dell’Immacolata si usa ancora accendere i falò nelle strade…”.
Precisiamo che la suggestiva storia (in alcuni tratti arricchita dall’autore per la cosiddetta “licenza poetica”), gli è stata raccontata dalla sua bisnonna Carolina.
Ancor oggi, il motivo del “dare la voce” è di natura religiosa, per cui, chi si dedica a tale pratica, lo fa per assolvere ad un voto per grazia ricevuta; un particolare significativo, poco considerato, che la dice lunga sulla devozione alla Madonna di chi si dedica al “dare la voce”, è caratterizzato dalla costante presenza che egli offre vita natural durante per assolvere questo compito, svolto tra l’altro, anche in cattive condizioni meteorologiche (pioggia, freddo e vento) e in periodi di malattia. Come vuole la tradizione, quindi, “Fratièlle e surélle” esegue la cantilena per l’intera “dodicina”, per esortare i fedeli a recarsi in chiesa, al fine di recitare il Rosario alla Madonna. Chi dà “la voce” identificato con l’appellativo di “Fratièlle e surélle”, oggi, è presente quasi in tutti i quartieri di Castellammare.