28 ottobre 1922: La marcia su Roma da Castellammare di Stabia
(Fatti, protagonisti e comparse di una tragedia annunciata che nessuno ha evitato)
articolo del dott. Raffaele Scala
Premessa – Cento anni fa qualche decina di migliaia di camice nere provenienti da tutta Italia, male in arnese, peggio armati, su mezzi di fortuna, molti fanatici, arrivisti di ogni risma e una moltitudine di avventurieri in cerca di facile fortuna viaggiarono verso Roma.[1] Certo non mancavano gli idealisti, patrioti nazionalisti, ex repubblicani ed ex socialisti convinti di marciare per costruire una Italia migliore, come promesso dal fascismo delle origini, quello nato in Piazza San Sepolcro, a Milano il 23 marzo 1919, dando vita ai Fasci di combattimento, anche se, ormai, nulla era rimasto di quel primitivo idealismo, sepolto dalla feroce violenza degli ultimi due anni, con gli assassinii di migliaia di antifascisti, gli assalti e la distruzione delle sedi politiche dei socialisti e dei comunisti, delle Camere del Lavoro, delle redazioni dei giornali di sinistra. Una violenza continuata anche dopo la marcia su Roma, mietendo tante altre vittime innocenti, fino all’omicidio eccellente di Giacomo Matteotti nel 1924. Ma anche questo non sarà l’ultimo. Seguiranno, tra tante altre, le morti, in seguito ai brutali pestaggi, di Piero Gobetti (1901 – 1926) e di Giovanni Amendola (1882 – 1926), a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, per finire con il brutale doppio assassinio dei fratelli, Carlo e Nello Rosselli, sequestrati e massacrati il 9 giugno 1937 in Francia da una squadra di estrema destra su possibile ordine del fascismo italiano.
Probabilmente la maggioranza di questi squadristi in viaggio verso la capitale d’Italia fin dal giorno prima, era consapevole che tutto si sarebbe risolto come in una sorta di gita fuori porta da concludere con una bicchierata e tanto baccano, e se andava male con qualche scontro con le forze dell’ordine, tanti feriti, forse qualche morto, alcuni arresti e addio fascismo. Il loro stesso capo, Benito Mussolini ne era convinto, non a caso non si era mosso da Milano e aveva le valige pronte per fuggire nella vicina Svizzera, dove molto probabilmente avrebbe concluso la sua carriera come maestro elementare, o, nei migliori dei casi, come giornalista. Lo stesso Badoglio, non ancora convertito al fascismo, appena pochi giorni prima, il 14 ottobre, aveva dichiarato sicuro di sé di essere pronto ad affogare nel sangue il nascente fascismo italiano, predicendo che al primo fuoco tutto il fascismo sarebbe crollato.[2]
Il 24 ottobre 1922 vi erano stati a Napoli i lavori del Consiglio Nazionale fascista, una grande manifestazione nazionale, come una sorta di prova di forza alla vigilia dell’ora fatale, prima di rientrare a Milano. Infine la marcia: se il Presidente del Consiglio, Luigi Facta, vittima del suo indecisionismo, non avesse dimostrato tutta la sua vigliaccheria e se l’inetto re Vittorio Emanuele, privo di spina dorsale, avesse firmato lo stato d’assedio a protezione della capitale, Mussolini e il fascismo sarebbero evaporati nel giro di poche ore, ma così non fu, trasformando una pagliacciata in tragedia. La tragedia di un Paese intero precipitato in una dittatura ventennale, pagata con licenziamenti, anni di carcere, di confino ed emigrazione forzata di migliaia di oppositori; bagnata dal sangue di inutili guerre imperialiste e di un conflitto mondiale perso malamente, con la sua coda di guerra civile e gli orrori dei massacri nazisti di inerme popolazioni e delle feroci deportazioni di militari e civili, molti dei quali non fecero più ritorno a casa.
Castellammare di Stabia. La vigilia – La Città delle Acque, incredibile a dirsi, si era trasformata negli ultimi anni in una vera e propria cittadella rossa. Qui, a differenza della vicina Torre Annunziata, il movimento operaio organizzato aveva faticato non poco ad attecchire, circondata com’era da chiese e monasteri, preti, monaci, francescani e suore, una varia umanità retrograda al servizio del potere costituito contro i diavoli rossi e a difesa dei suoi piccoli e grandi privilegi di casta. A renderla ancora più complicata, non poteva mancare la presenza di un antico Palazzo Reale nella dolce, salubre collina di Quisisana dove Re e Regine, che avevano governato il Paese nei diversi secoli venivano a distrarsi e a curarsi fin dal 1268, con positive ricadute sull’economia cittadina e sulla popolazione, fedele più di altre alla monarchia. Qualunque fosse la provenienza del Re, dai D’Angiò agli Svevi, dai Borboni ai Savoia, passando per i Farnese di Parma e il francese Gioacchino Murat.
È pur vero che fin dal novembre 1869 si era insediato un nucleo rivoluzionario capitanato da Luigi Maresca, riuscendo a costituire una sezione della Prima Internazionale, di fede anarchica, ma fu solo un fuoco di paglia spento con poche energiche azioni delle forze dell’ordine. Altrettanto accadde agli sparuti anarchici, ben presto costretti ad emigrare, alcuni nella vicina Francia, altri oltre oceano facendo perdere tracce e ideali. Non ebbero miglior fortuna i tanti repubblicani, in verità più dediti a onorare periodicamente Mazzini e Garibaldi che a far sentire la loro presenza, sempre poco ingombrante e per nulla preoccupante per i sottoprefetti e delegati di polizia. Bisogna attendere il 1897 per far emergere un esile gruppo di giovani socialisti, ex repubblicani del circolo Aurelio Saffi, sorto nel 1892, stanchi di sentire le tante troppe chiacchiere dei loro più anziani compagni. E si fecero sentire e vedere partecipando ai tumulti del maggio 1898, pagando con il carcere il loro ardire, costituendo la prima sezione del Partito Socialista il 19 luglio 1900, provando a costruire una prima timida Camera del Lavoro nel 1903, poi nel 1907, ancora nel 1910, senza molta fortuna. Forse mancò loro il coraggio necessario, l’ardire indispensabile, quel pizzico di follia nelle loro azioni troppe moderate, esageratamente ponderate per riuscire a convincere le migliaia di operai del Regio Cantiere Navale, della Cattori, dei tanti pastifici e aziende tessili presenti sul territorio stabiese. Operai quieti, fedeli alla chiesa e alla monarchia, troppo impauriti per esporsi, troppo deboli per scioperare in assenza di capi incapaci di osare oltre il necessario, di sacrificarsi pagando, magari con il confino o carcere la fede politica professata. Certo, erano riusciti a conquistare il governo del comune nel 1906, pur in coabitazione con altre forze democratiche e borghesi, a esprimere un assessore con Raffaele Gaeta, un antico repubblicano passato al socialismo, ma rimasto tendenzialmente moderato nelle azioni e nelle parole, un avvocato, un uomo di penna e di scartoffie più che di azioni rivoluzionarie, ma comunque rimasto fedele alle sue idee fino alla fine, pur nel chiuso del suo privato.
Bisogna attendere il 1912, quando un gruppo di ragazzi sposerà le idee della sinistra rivoluzionaria di Amadeo Bordiga, formandosi nella lotta contro la guerra di conquista della Libia, lottando contro la degenerazione di una socialismo moderato, infeudato dalla massoneria e incline al sottopotere del governo locale, municipale e provinciale, alleandosi con altre forze borghesi. Erano pochi, una ventina in tutto, ma si fecero classe dirigente appena tornati da una guerra mondiale contro la quale si erano tenacemente opposti, ma dimostrando anche il coraggio necessario nelle trincee dove furono mandati.
Tornando dal fronte ricostituirono la sezione adulta e giovanile del Partito Socialista con Oscar, Guido e Nino Gaeta, rifondarono la Camera Confederale del Lavoro nell’aprile 1919, con Antonio Cecchi, trascinando migliaia di operai sulla strada delle conquiste sindacali, indicando la via della conquista del potere, sognando di fare come in Russia, fino a conquistare il comune il 31 ottobre 1920, eleggendo sindaco il socialcomunista, Pietro Carrese, trasformando l’antica cittadella fedele alla monarchia nell’isola rossa dell’intera provincia, con Torre Annunziata e Ponticelli, allora comune autonomo.
Forse il pensiero della Rivoluzione passò per la mente dei dirigenti socialisti, forse qualcuno cominciò a crederci sul serio, con qualche articolo di giornale, oppure, come dimostrerebbe la diversa organizzazione che il Partito si diede, dividendo, per esempio la provincia di Napoli in zone di competenza e così a Castellammare, inquadrata come Gruppo 5, venivano assegnati le sezioni socialiste di Gragnano, Sorrento e penisola sorrentina, a capo e responsabile della Zona vi era Francesco Misiano. Questi era capo anche della Zona sei che comprendeva Torre Annunziata e il boschese.
Nelle intenzioni dei dirigenti le Zone così assegnate non restano così distribuite soltanto per la propaganda, ma saranno definitivamente campo di azione e di lotta in una eventuale sommossa rivoluzionaria.[3]
La realtà dei fatti la descrive molto bene, già nel 1921, l’antifascista non marxista, Adriano Tilgher, un filosofo originario di Resina, odierna Ercolano:
I socialisti inseguivano il miraggio di una rivoluzione alla russa, che, ogni qualvolta se ne presentava l’occasione, rimandavano all’indomani, e che non fecero mai, sia per lo scarso spirito rivoluzionario dei capi, sia per la forza ancora grande della borghesia, sia per il lealismo ancora saldo dell’esercito e della marina (…). Incapaci di fare la rivoluzione se la presero tra di loro accusandosi di tradimento, e si scissero in molte frazioni.[4]
Il fascismo a Castellammare di Stabia – Nella città fedele da sempre al potere costituito, alla Chiesa retrograda asservita da sempre ai potenti, alla famiglia Fusco capace di esprimere sindaci, consiglieri provinciali e deputati nell’ultimo mezzo secolo, si poteva sopportare l’onta di una ideologia che parlava di eguaglianza, di diritti dei poveri, di governo del popolo? Si poteva sopportare l’idea di operai che parlavano della conquista delle otto ore, di miglioramenti salariali, di governare la produzione nelle fabbriche con le Commissioni Interne, addirittura di costituire i famigerati Soviet?
L’intero Paese era scosso dalla vittoria mutilata gridata da Gabriele D’Annunzio per la mancata annessione di alcuni territori, primi fra tutti la Dalmazia, dalle migliaia di soldati tornati dal fronte, diventati improvvisamente un peso per la società, dimenticando gli enormi sacrifici cui si erano sottoposti, le ferite, le mutilazioni trasformate in umiliazioni, lo spettro della disoccupazione, della fame e della miseria per sé e le proprie famiglie. Su tutto questo vi era chi soffiava sul fuoco. E non mancarono gli stabiesi pronti a rispondere all’appello dannunziano per Fiume italiana, dal marinaio Alfredo Aprea, ad Agostino Cascone, da Cosimo Cellamare ad Alfredo Esposito, da Umberto Patalano al tenente Flavio Perrelli, da Raffaele Petruolo a Vincenzo Piantarosa.[5] Un periodico stabiese del 1919 fa altri interessanti nomi, probabilmente di stabiesi pronti a partire a chiacchiere ma di fatto rimasti a Castellammare, tra questi baldi legionari ricordiamo solo alcuni nomi, tra cui ex socialisti, e qualche noto repubblicano di antica fede, passati armi e bagagli al nazionalismo e successivamente al fascismo: il tenente di fanteria, Vincenzo Somma, avvocato e sensale di pasta di Gragnano, Gaetano Celotto (1874 – 1940), impiegato comunale e fanatico giornalista de Il Mattino, un Libero D’Orsi, glorioso Cacciatore delle Alpi, nonché fondatore e direttore del giornale satirico, Vaco e Pressa, Nicola Girace, Umberto Fedeli, Umberto Paroli e Catello Rega (1887 – 1959), fratello maggiore di Francesco, Ulderico Degli Uberti, Giovanni, Guglielmo ed Ernesto Vanacore, Giorgio Gaeta, Salvatore e Oreste Fatta, il tenente Alfonso D’Orsi, antico Segretario del circolo giovanile del PSI e Segretario, seppure per pochi mesi, della Camera del Lavoro stabiese, Melchiorre Landolfi, anch’egli ex giovane socialista, tutti al comando del tenente Vincenzo Somma.[6]
Negli anni a venire reduci reali e finti dell’avventura di Fiume fonderanno un associazione diretta dal Tenente Flavio Perrelli (1896 – 1956), Croce di guerra al merito e volontario della milizia fiumana, Catello Monti e Arnaldo Fusco. Quest’ultima una figura dai numerosi interessi, infatti fu, tra le altre attività in cui si impegnò, il primo socio stabiese del Club Alpino Italiano e responsabile negli anni Trenta della scuola di roccia del CAI di Napoli, nonché primo scalatore del Pistillo, caratteristica e impegnativa guglia rocciosa dei Monti Lattari.[7]
Non solo D’Annunzio. Erano sorti a Milano, il 23 marzo 1919, i Fasci di Combattimento voluti da Benito Mussolini, ben presto trasformati in squadre fasciste pronte ad usare la violenza contro il pericolo rosso, mazzieri al servizio degli agrari e degli industriali per fermare l’ondata di scioperi nelle quali era precipitato il Paese, il leggendario biennio rosso, culminato nell’occupazione delle fabbriche, dal quale poteva nascere quella rivoluzione predetta per l’Italia da Lenin, ma ben presto soffocata nel sangue, dando vita al biennio nero, propedeutico al colpo di Stato fascista.
Il primo, innocuo Fascio di combattimento a Castellammare di Stabia fu fondato da due ex socialisti, diventati ferventi nazionalisti alla vigilia del primo conflitto mondiale, Catello Langella e il tenente dei bersaglieri, Umberto Paroli, un mutilato di guerra che aveva una benda nera sopra un occhio, il vecchio e il giovane avevano entrambi soffocato gli antichi ideali rivoluzionari per sposare il nuovo vento reazionario, ma di cui forse non erano pienamente consapevoli.[8] Con loro un altro ufficiale, il tenente Francesco Rega (1890 – 1959), figlio del negoziante Alfonso e di Giovanna Luciani. Francesco aveva perso un fratello minore in guerra, lo studente Vincenzo (1895 – 1917), caduto in combattimento. Ma i tre furono soltanto degli strumenti nelle mani di chi giocava pericolosamente con il futuro prossimo venturo dell’Italia. Dopo Napoli, dove fu costituito il 30 marzo 1919 dall’ex repubblicano Ernesto De Angelis, venne Castellammare di Stabia, dove il Fascio di Combattimento fu fondato il successivo 10 maggio con l’intento di assistere le famiglie dei reduci, senza esprimere un indirizzo dichiaratamente politico. L’associazione usufruiva dell’assistenza comunale e della protezione dei vari commissari regi chiamati ad amministrare il comune prima della vittoria socialista. Langella, Rega e Paroli furono promotori di varie manifestazioni patriottiche, soprattutto nell’anniversario della vittoria. Poca cosa insomma, nulla a che vedere con il Fascio voluto dai fascisti della prima ora, squadristi che si misero in mostra con l’arroganza e la violenza mostrata con l’assalto di Palazzo Farnese il 20 gennaio 1921, provocando la strage passata alla storia come l’eccidio di Piazza Spartaco. Non a caso la maggior parte degli iscritti al nuovo Fascio stabiese, nato negli stessi giorni del massacro, porta la data del 20 gennaio 1921 sulla loro nera tessera.[9] E non era ancora giunta l’ora della marcia su Roma.
I fascisti di Castellammare di Stabia – Chi sono i fascisti della prima ora stabiesi? Abbiamo già visto che tra loro non mancavano ex socialisti: Catello Langella, considerato dalle forze dell’ordine il primo sovversivo di Castellammare, già noto fin dal 1897, corrispondente locale dell’Avanti!, protagonista dei moti popolari del maggio 1898, tra i fondatori della prima sezione socialista nel 1900 e della Camera del Lavoro nel 1907 e di cui fu il Segretario, prima della partenza per l’Australia, dalla quale ritornò alla vigilia del primo conflitto mondiale, pieno di amor patrio, fondando il fortunato periodico, Il Risveglio di Stabia. Espulso dal Fascio per le sue dure prese di posizione contro il Podestà, Francesco Monti, ritenuto un pessimo amministratore, Catello Langella fu riammesso nel Partito nell’ottobre 1929 con il suo grande amico, Pasquale Muscogiuri, con il quale condivideva le idee sul futuro delle Terme Stabiane; Umberto Paroli (1897 – ?), originario di Resina, l’odierna Ercolano ma residente a Castellammare, figlio di Andrea, maresciallo dei carabinieri e di Concetta Aprea, fu tra quanti nell’aprile 1913 ricostituirono il circolo giovanile socialista, così come Mariano Carrese (1896 – 1966), Giorgio Gaeta, Gaspare Meloro (1894 – 1980), diventato fervente fascista, fino a guadagnarsi la sciarpa littoria, Segretario del sindacato arsenalotti, rimase fedele al fascismo anche dopo la caduta del regime e Landolfi Meloro, mentre Alfonso D’Orsi aveva addirittura ricostituita il circolo giovanile stabiese già nel settembre 1910 dopo la chiusura di quello risalente al 1907, ed era perfino stato eletto Segretario della Camera del Lavoro nel 1911 a soli diciotto anni. Addirittura il 26 luglio 1914 fu candidato nella lista della sinistra socialista nelle ultime elezioni amministrative prima del conflitto mondiale. Pochi anni dopo, come altri voltagabbana, era in prima fila nel corteo nazionalista che diede l’assalto a Palazzo Farnese.
La guerra aveva spaccato il Partito Socialista tra neutralisti e interventisti, trasformando in nazionalisti accaniti quanti si dichiararono favorevoli all’entrata in guerra dell’Italia, fino all’adesione incondizionata al fascismo, ripudiando l’antica fede rivoluzionaria, seguendo il loro leader, Benito Mussolini. Altri, come Catello Marano (1888 – 1971) pur dichiarandosi interventisti, rimasero socialisti abbandonando il Partito. Non mancarono varie espulsioni per essersi schierati a favore della guerra libica nel 1912, come Raffaele Gaeta, Andrea Luise e Luigi Fusco. Ed infine ricordiamo Ignazio Esposito (1883 – ?) che ruppe con il Partito e con la politica per i forti dissidi sulla guerra, pur rimanendo fedele all’Idea.
Tra coloro che fondarono il Fascio, successivo a quello costituito da Langella, con le famigerate squadre d’azione, per un opera purificatrice e altamente patriottica di igiene sociale, troviamo l’avvocato Alfonso Imperati (1882 – ?), uomo violento, aggressivo e prepotente, nato a Napoli ma con famiglia originaria di Agerola, residente a Castellammare, futuro deputato del PNF nel 1921, espulso dal Fascio nel 1922, poi assassino del camerata e consigliere comunale, Andrea Cosenza nel novembre 1924 a seguito di una discussione politica degenerata nel sangue. Condannato dal Tribunale penale di Napoli a ventuno anni in contumacia, era riuscito a scappare in Francia e poi negli Stati Uniti dai primi mesi del 1938, prendendo la residenza a New York. Nel maggio 1940 fece domanda di grazia indirizzandola al Re e al Duce, chiedendo di combattere per la Patria in guerra. Di lui non si hanno ulteriori notizie.[10]
La prima sede del Fascio di Combattimento voluto da Imperati si trovava al numero 20 del Corso Garibaldi, un terraneo a cinque compresi. Dava sul lungo mare e sul Corso Vittorio Emanuele. Pareti nude, costellate qua e là di grandi macchie di salnitro. Il vento del mare entrava da padrone nelle sale e l’aria umida, salmastra, corrodeva gli intonachi (…).Poca suppellettile vi era in quelle sale. Alcune sedie più o meno sgangherate, qualche sgabello ed una scrivania (…) Nella Santabarbara , ch’era poi uno stipetto a muro, un’abbondante riserva di armi:Mauser, doppiette, fucili, bastoni, pugnali e bombe;[11] poi si spostò nel Palazzo Cardone, in Piazza Principe Umberto 11, successivamente nell’edificio attualmente occupato dal Banco di Napoli, ed infine, agli inizi degli anni Quaranta, nel Palazzetto del Fascio del Corso Garibaldi, appositamente costruito e oggi, anno 2022, ancora in attesa di destinazione.
Non meno violento e fanatico si rivelò Luigi Musolino, considerato lo squadrista più pericoloso, nato a Campo Calabro nel 1880, residente a Castellammare fin dalla giovane età, dove si era sposato a ventuno anni, commesso, fu tra quanti assaltarono Palazzo Farnese il 20 gennaio 1921 rimanendo ferito e per questo premiato dal PNF col distintivo d’onore per ferita fascista. Con lui lo stabiese Romolo De Luca, ferito a sua volta in un precedente scontro il 13 gennaio con i socialisti. Nel 1927 ritroviamo Musolino cassiere del ricostituito Circolo Nazionale, già Indipendente, poi nuovamente richiuso dal sottoprefetto perché vi si giocava d’azzardo. All’indomani della caduta del fascismo, non esitò a lasciare Castellammare nell’agosto 1943 per arruolarsi nella Guardia Repubblicana di Salò, dove ebbe il grado di maresciallo. Rientrato nella città stabiese rischiò di essere linciato da un gruppo di comunisti locali, ma fu preventivamente fermato. a Castellammare dai carabinieri, proponendolo per l’assegnazione al campo di concentramento, nonostante avesse ormai 65 anni.[12] Ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana fu anche Vincenzo De Simone, figlio di Pasquale, benestante, proprietario del locale cinema, Verdi. Sottufficiale del Regio Esercito, con l’istituzione della GIL ( Gioventù Italiana del Littorio) ottenne di essere ammesso col grado di capomanipolo. Nominato sottotenente fu inviato a combattere sul fronte greco nel corso della seconda guerra mondiale, dove rimase ferito. Dopo l’8 settembre non esitò a aderire alla RSI, sembra senza aver partecipato ad azioni di terrorismo e di sevizie.[13]
Altrettanto fanatico e pericoloso si dimostrò Catello Avvisano (1888 – 1955), figlio di Domenico, un produttore di sapone, originario di Scafati e a sua volta commerciante poi adattatosi a custode del cimitero, iscritto al fascio fin dalla sua fondazione nel gennaio 1921, comandante della squadra d’azione denominata, Impavida, partecipò a numerose spedizioni punitive nell’intero circondario. Queste squadre punitive, composte ognuna di circa venti uomini, si macchiarono di innumerevoli violenze, non esitando a sparare e ad uccidere con assalti finalizzati a creare il terrore nelle fila avverse, come dimostrarono i numerosi raid anche nei comuni limitrofi, da Torre Annunziata a Pompei. Oltre alla Impavida si contavano altre due squadre: la Francesco Belfiore, capitanata da Mario Fiume e la Terremoto – secondo altre fonti l’esatta denominazione di questa squadra d’azione dovrebbe essere Terranova – considerata la più pericolosa e sanguinaria e di cui fece parte anche lo scrittore e critico d’arte, Piero Girace (1904 – 1970), allora poco più che un ragazzo, studente liceale, ma già fanaticamente fascista e tale resterà per il resto della sua esistenza.[14] La Terremoto era capeggiata da Mariano Carrese.
Non poteva mancare uno squadrista membro della famigerata polizia segreta fascista, OVRA (Opera Vigilanza Repressione Antifascismo), Giulio Dell’Oro, fatto commendatore e un industriale importante come Gioacchino Rosa Rosa (1895 – 1958), commerciante e industriale del legno con iniziale deposito di legnami lungo la banchina portuale di via Bonito, ereditato dal padre, Domenico, fino a realizzare filiali in diverse città del Sud, da Napoli a Manfredonia, da Foggia ad Atripalda. Gioacchino fu Podestà a Sant’Antonio Abate e nella stessa Castellammare, seppure per pochi mesi nella bollente estate del 1943. Essere un Podestà non fu comunque sufficiente a salvare tre dei suoi figli dal rastrellamento e dalla deportazione in Germania. Un iscrizione al Fascio tardiva la sua ma non per questo meno proficua, risultando iscritto soltanto dal 21 settembre 1925.
Tra quanti bisogna ricordare per aver fondato il Fascio locale e aver fatto la fatidica marcia su Roma, troviamo Giuseppe Monti (1907 – ?), fratello minore del futuro sindaco e successivamente Podestà, Francesco Monti (1894 – 1980) e finanche il più piccolo tra i fratelli, Catello, nonostante la sua giovane età (1909 – 1980) si ritrovò la nomina di squadrista, fino ad ottenere la sciarpa littoria, grazie alle manovre del fratello Giuseppe, un individuo capace di servirsi di qualsiasi mezzo, anche se poco onesto e lecito pur di raggiungere i suoi scopi.[15] Il più giovane dei tre fratelli, Catello, si ritrovò una carriera fulminante all’ombra della potente famiglia: fu a capo dell’organizzazione dei balilla stabiesi dal 1925 al 1927, membro del direttorio del locale Fascio, fiduciario locale gruppo studenti medici, poi, seguendo le orme fraterne Fiduciario del sindacato Credito ed Assicurazioni. E non poteva mancargli anche la vice presidenza della sezione, Azzurri di Dalmazia. Rimase fedele al fascismo anche dopo la sua caduta al punto da essere schedato nel casellario politico centrale fino agli anni Sessanta. Francesco Monti, non fu molto fortunato: sindaco tra il 1921 e il 1926, poi Podestà fino al 12 settembre 1928.Nel giro di pochi mesi perse tutto: fu destituito dal ruolo con decreto dell’Alto Commissariato della Provincia di Napoli, per le gravi e numerose deficienze ed irregolarità nel funzionamento di quella civica amministrazione, revocato da Agente generale dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni e finanche espulso dal PNF a seguito di una inchiesta condotta dal Prefetto Ispettore, Ettore Zanconato. Questi nella sua relazione lo definì: di svegliata intelligenza, attivo, non ritenuto capace di reggere l’amministrazione di Castellammare se non sorretto validamente dagli uffici comunali. Non ha carattere per guadagnarsi la simpatia, non facilmente accessibile al pubblico, facile nella promessa e facile a non mantenerla.[16] Ricordiamo inoltre Paolo Scognamiglio (1898 – 1974), un giovane bruno, un poco scontroso, figlio di negoziante e a sua volta ricco proprietario, iscritto fin dal 20 gennaio 1921, capomanipolo, comandante delle tre famigerate squadre d’azione, partecipò a tutte le azioni squadristiche effettuate a Castellammare e nei comuni vicinori, Gaetano D’Auria (1883 – 1955), agente assicurativo dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, che tra l’altro aveva per cognato l’antico socialista Vito Lucatuorto, non iscritto al PNF ma al sindacato dei dottori in scienze economiche e commerciali, pur non mancando di dimostrare l’obbligatoria simpatia per il regime di Benito Mussolini, fino ad entrare nella lista degli aspiranti candidati alla Consulta municipale nel 1928. Chiudiamo questa breve carrellata con Filippo Ziino (1900 – 1981), un giovane bruno che funzionava spesso da segretario amministrativo, compilava gli elenchi degli iscritti, scrive con certosina precisione Girace nel suo citato, Diario di uno squadrista. Figlio di Antonio, un attempato sottufficiale di Marina e di Marianna Di Capua, aveva partecipato a tutte le azioni di carattere squadristico effettuate in città e negli altri comuni, applicato di segreteria nel comune stabiese, fino a diventare Capo settore nel 1940, poi sospeso dal servizio il 25 novembre 1943, Ziino si rivelò un fascista fanatico e continuò ad esserlo anche dopo la caduta del fascismo, tanto da essere schedato e politicamente sorvegliato negli anni successivi, almeno fino al 1946.[17] Arrestato nella notte tra il 13 e il 14 novembre 1943 dagli anglo americani, fu rinchiuso nel locale carcere mandamentale fino all’8 dicembre, sospeso dal servizio, ma successivamente riammesso.
Una menzione la meritano anche i fratelli Luise, Pasquale (1897 – 1952) e Giovanni (1895 – 1956) , figli del negoziante Catello e di Maria Carmela Malafronte, entrambi iscritti fin dal 20 gennaio 1921, tra quanti parteciparono alla marcia su Roma e a tutte le azioni squadristiche che si svolsero a Castellammare e nei comuni limitrofi. Giovanni, impiegato presso la Cooperativa Casalino (scaricanti del porto), fu nominato diverse volte segretario amministrativo, non esitando a tramare contro Giovanni Vollono, il suo segretario politico, con il quale collaborava. Accusato di attività illecite e di vari abusi, non si hanno notizie di prese di posizione da parte del PNF. Il fratello Pasquale, ragioniere e cassiere presso la filiale di Napoli della Banca Nazionale del Lavoro. Anche contro di lui varie accuse di illeciti nel suo ruolo di membro del locale direttorio del fascio. Ricordiamo, infine, Uliano Stanislao, tra i primi scritti al fascio nonostante la giovane età, era nato nel 1902, salariato comunale, poi nominato per meriti fascisti, Capo custode del locale carcere mandamentale commettendo abusi di ogni genere. Non a caso dopo la caduta del fascismo fu immediatamente sostituito[18] e Paolo De Fusco (1897 – 1970), iscrittosi, sotto la spinta del sacro fuoco nazionalista, il 20 gennaio 1921, già tenente di cavalleria, aveva partecipato come volontario alla prima guerra mondiale, fu poi consigliere comunale nella prima amministrazione fascista, fece parte delle famigerate squadre d’azione e alla marcia su Roma, venne nominato fiduciario dei sindacati locali, partecipò infine anche al secondo conflitto mondiale col grado di capitano e inviato sul fronte greco.[19]
Piazza Spartaco e la marcia su Roma – Nella serata del 27 ottobre di quel fatidico 1922 – una serata umida, il cielo quasi tutto coperto dalle nuvole – la sede del Fascio era particolarmente animata, un via vai continuo di militanti, mentre alcuni squadristi erano andati a requisire, alcuni, gli autocarri dei Cantieri metallurgici, altri si erano preoccupati di impossessarsi delle auto nelle diverse autorimesse, con le buone o con le cattive. Quanti non avevano trovato posto nelle auto e negli autocarri, requisiti con la forza, rimasero di guardia alla sede del fascio per evitare un possibile assalto da parte dei comunisti. Secondo lo storico stabiese, Antonio Barone, furono circa duecento i partecipanti stabiesi alla marcia su Roma, agli ordini del Segretario del Fascio, Andrea Esposito (1888 – 1938).[20] Tra quanti parteciparono chi scrive ne segnala alcuni tra quelli ritenuti più pericolosi, al punto da essere schedati e sorvegliati dalla polizia politica, qualcuno fino al 1960, la maggioranza fino al 1946. L’amnistia del 22 giugno 1946, fortemente voluta dal Ministro di Grazia e Giustizia, Palmiro Togliatti, lavò peccati e reati consentendo il ritorno al lavoro di quanti erano stati sospesi e alla vita sociale e politica, anche di gente che si era macchiata di diverse atrocità con tutti i guasti che questo produsse negli anni a venire, non ultimi le deviazioni istituzionali di quanti continuarono a tramare nell’ombra contro la Repubblica nata dalla Resistenza, fino a coprire le stragi fasciste che insanguinarono l’Italia dal dicembre 1969 in poi. A Castellammare più di uno, tra quanti avevano tramato dopo l’8 settembre 1943, divenne consigliere comunale. Ma questa è già un altra storia di cui abbiamo scritto e pubblicato alcuni appunti.[21]
Tra i tanti fascisti della marcia su Roma, oltre quelli già ricordati, bisogna citare lo squadrista Pasquale Amato (1898 – 1985), ragioniere presso la sede di Napoli della Banca di Calabria, Umberto Mattone, Mariano Gaeta (1893 – 1973), un vago passato da giovane socialista (1897 – 1970), il quale congedatosi con grado di Tenente di Cavalleria, si iscrisse al PNF fin da gennaio 1920, consigliere, divenendo poi Fiduciario del sindacato locale comunale, fece parte delle squadre d’azione, Onofrio Mirabile, operaio del Regio Cantiere e successivamente bidello della locale scuola media, Vincenzo Zembrini, iscritto fin dalla fondazione consegnatario delle Terme Stabiane, dopo la caduta del fascismo fu arrestato dagli anglo americani la sera del 13 novembre e rinchiuso nel carcere mandamentale, prima di essere liberato il successivo 9 n dicembre, Filiberto Mirra, applicato di segreteria , Paolo Esposito, impiegato presso la Mostra d’Oltremare, con gli altri sopra citati prese parte a tutte le azioni di carattere squadristico, membro del primo direttorio del locale fascio, Salvatore Scibilia, impiegato presso la locale Capitaneria di Porto, era iscritto al fascio dal 7 maggio 1921, Raffaele Russo, tra quanti fecero parte delle famigerate squadre d’azione, assistente tecnico edile, poi dipendente della Navalmeccanica, fascista incallito al punto da essere politicamente schedato e sorvegliato dalla polizia politica almeno fino al 1949 e chiudiamo con la partecipazione di un giovanissimo, Francesco Paolo Buonocore (1907 – 1963), figlio di un negoziante di tessuti, ne ereditò il mestiere dopo la morte prematura del padre scomparso nel 1924. Non ricoprì mai cariche politiche, ma la sua condotta morale, pericolosa e sospetta lo portò ad essere politicamente schedato e sorvegliato fino al 1950, quando fu definitivamente radiato dallo schedario, non ritenendolo più elemento pericoloso per l’ordinamento democratico dello Stato.[22]
Tra i segretari del fascio, il già ricordato Gaetano D’Auria, attivissimo propagandista fin dal gennaio 1921, fu il primo Seniore della Milizia, comandante interinale della 145° legione e sciarpa littoria, più volte segretario del fascio tra il 1925 e il 1938, Ispettore federale addetto alla GIL, una struttura sorta nel 1937 in sostituzione degli antichi Fasci giovanili di combattimento; Gioacchino Longobardi, Giovanni Vollono, commerciante in grano, sollevato dalla carica nell’aprile 1932 a seguito di una inchiesta amministrativa che aveva accertato una serie di irregolarità nella contabilità relativa ai refettori popolari tenuta dal Fascio e sostituito con Umberto Mattone, originario di Battipaglia, Capo stazione in Gragnano, Ispettore di Zona. A sua volta il Mattone fu sostituito dal giovane e spietato dottore in Lettere Arnaldo Fusco (1907 – ?), considerato l’anima nera del fascismo locale. In realtà, proprio in considerazione della sua giovane età, da molti non fu ritenuto sufficientemente preparato ed inoltre considerato eccessivamente amico del suo predecessore. Gli successe nel marzo 1936 il notaio Giuseppe D’Alessandro, tenente di complemento di fanteria in congedo, iscritto al PNF dal 1923, persone ben vista dalla popolazione. La sua carica non durò molto, dando le dimissioni alcuni mesi dopo per ragioni di salute. Tra le figure illustri non bisogna dimenticare l’emerito professor Raffaele Calvanico (1893 – 1968), fascista della prima ora che non esitò a fregiarsi, da buon squadrista, della fascia littoria, feroce avversario dei bolscevichi stabiesi, segretario politico del Fascio nel 1924, Ispettore di Zona, membro del direttorio provinciale, direttore responsabile maternità, professore con cattedra di Patologia speciale chirurgica e di ostetricia presso l’Università di Napoli.
Non mancò a Castellammare il fascio femminile, costituito nell’agosto 1925, con alla testa la professoressa della Scuola complementare pareggiata, Francescaa Vanacore (1878 – 1932), donna energica ed estremamente impegnata nelle diverse attività sociali che il ruolo le consentiva, non a caso già nel giugno 1919 aveva fondato una Associazione Femminile Stabiese, di cui divenne, naturalmente, Presidentessa. Una donna che meriterebbe un approfondimento biografico.[23] Dopo la sua morte, avvenuta il 2 luglio 1932, a soli 54 anni, le succedettero Maria Assunta Totino, insegnante nella Regia Scuola di Avviamento e la maestra di scuola elementare, Immacolata Cola Casilli.
Insomma di fascisti impegnati a Castellammare ce ne furono molti, anche troppi, e tra loro non mancarono mazzieri e assassini, gente che non esitò a picchiare duro e a sparare contro chiunque fosse contrario al nuovo regime, anche solo a parole. A dimostrarlo basterebbe la loro prima feroce uscita pubblica con l’assalto a Palazzo Farnese con sei morti, una cinquantina di feriti e 150 arresti, svuotando in un colpo solo le due sezioni, socialista e comunista. Ma mentre i comunisti si ripresero immediatamente, aprendo subito dopo il Congresso di Livorno la loro sezione con Vincenzo Di Capua Segretario, per i socialisti fu più complicato, dovuto alla scissione che aveva portato gran parte dei militanti socialisti nelle fila comuniste e una sessantina in carcere per diversi mesi. Infatti solo nella prima metà di marzo la sezione riuscì a riaprire i battenti, pur utilizzando come sede la Camera del Lavoro ed eleggendo come segretario Catello Esposito, poi sostituito da Francesco Nobili.[24] Corrispondente locale per l’Avanti! fu nominato Luigi Esposito, poi sostituito da Andrea Vanacore nel giugno del 1922.
Un processo falsato dalle false testimonianze, spinte dal Commissario Antonio Vignali e dal suo vice Attilio Grassi e avallate dal sottoprefetto Francesco Farina, determinati a far condannare a qualunque costo i quindici imputati rimasti in carcere, ciononostante la giuria popolare riuscì a separare il grano dal loglio e assolse con formula piena i militanti socialcomunisti.[25]
Violenze che continuarono anche durante le elezioni amministrative del 10 aprile 1921, dopo lo scioglimento del precedente consiglio comunale retto dal socialista Pietro Carrese, impedendo a molti elettori di sinistra di poter liberamente votare. Violenze successivamente, stranamente smentite da uno dei segretari della Camera del Lavoro stabiese, il socialista sardo, Rodolfo Serpi, tra l’altro consigliere provinciale.[26] Ci fossero state o meno le violenze il primo maggio fu festeggiato con una grande manifestazione operaia senza nessuna provocazione fascista. Evidentemente al Fascio locale bastò la clamorosa e inaspettata vittoria alle amministrative.
Violenze, omicidi e confino politico – Quanto fossero pericolosi i fascisti lo capì troppo tardi l’operaio Liberato Capasso (1879 – 1924), un 45enne sposato e padre di sette figli, colpevole di essersi rifiutato di gridare viva il duce, e per questo mortalmente ferito da un capraio il 10 aprile 1924 e morto il giorno dopo in ospedale. Prima di lui, a cadere sotto il fuoco dei mazzieri fascisti erano stati i fratelli Vanacore, Michele (1892 – 1920) e Amedeo (1895 – 1920), caduti in un conflitto a fuoco nel tardo pomeriggio del 20 luglio 1920, colpevoli di essersi distinti nelle furiose lotte di quell’estate senza fine nella fabbrica Cirio. Probabilmente altri morti potevano esserci il 15 maggio 1921, giorno delle elezioni politiche generali, quando una quindicina di fanatici fascisti partiti da Napoli scorrazzarono su tre camion indisturbati fino a Castellammare seminando morte e terrore e se non riuscirono ad entrare nella città stabiese fu solo perché nel frattempo trovarono alle porte della città le forze dell’ordine ad attenderli.[27] Intanto a lasciarci la vita fu un giovane operaio di una fabbrica di vetri di Torre del Greco, il socialista di Resina (odierna Ercolano) Giordano Pellegrino. Aveva soltanto 24 anni.
Uno strano omicidio si ebbe ancora nell’agosto 1923 quando a rimanere ucciso in seguito a un diverbio fu un giovane operaio di 27 anni Francesco Russo, ammazzato mentre sedeva davanti casa sua dal camorrista Vincenzo Maresca. Entrambi lavoravano nella stessa azienda, ma il Russo non volle piegarsi a pagare la tangente imposta a tutti gli operai dal caporale Maresca, provocando la violenta, vendicativa reazione del camorrista. Non è chiaro se il suo fu un omicidio politico o semplice vendetta di un delinquente non disponibile ad accettare il rifiuto di piegarsi alla sua violenza.[28]
Nello stesso anno, il 20 marzo, sulla Castellammare Gragnano, era stato ritrovato il cadavere del contadino Bartolomeo Bruori ucciso con tre colpi di baionetta nel ventre dal fascista Pasquale Sabatino. Per lungo tempo il fatto fu occultato e solo l’arrivo a Gragnano del nuovo maresciallo fece riaprire le indagini ma intanto Sabatino si era dato alla latitanza.[29]
Tempi cupi in cui erano vietate le critiche e perfino le barzellette politiche, più che sufficiente per guadagnarsi ceffoni, olio di ricino e finanche una condanna al confino politico. Raffaele Longobardi (1894 – 1967), scanzanese, operaio analfabeta, padre di tre figli fu condannato a quattro anni perché conversando con alcuni compagni di lavoro aveva criticato Mussolini e il regime. Poi si resero conto dell’enormità commessa liberandolo dopo otto mesi e undici giorni, non senza averlo ammonito e sorvegliato fino alla caduta del fascismo. Il povero Catello Sicignano (1890 – 1955), stabiese residente a Latina si ritrovò condannato a cinque anni, poi ridotti a due ed infine a undici mesi e venti giorni perché in una osteria aveva osato dichiarare: Ci sta uccidendo di tasse quel fetente di Mussolini.
Antifascista incallito, una volta uscito non esitò a scrivere su alcuni muri: Viva la Russia e la Spagna Rossa, guadagnandosi altri cinque anni e stavolta non ci fu condono, trovando la libertà solo dopo la caduta del fascismo.[30]
Altri si trovarono la casa devastata all’indomani dell’attentato a Mussolini nell’ottobre 1926, colpevoli di essere riconosciuti quali massimi dirigenti del locale movimento operaio. Ricordiamoli: da Oscar Gaeta ad Antonio Cecchi, distruggendo le case paterne con i quali convivevano, e fu assaltato l’Hotel Stabia dove risiedeva il proprietario, Achille Gaeta. Nel corso del ventennio decine di militanti antifascisti si ritrovarono soventi la casa messa sottosopra, da Pietro Carrese a Vincenzo Giordano, a Luigi Di Martino, giusto per citare i nomi più conosciuti, in cerca di documenti sovversivi, mai trovati. Lo stesso, naturalmente accadeva nella vicina Gragnano, a Scafati, Valle di Pompei e Torre Annunziata, dove a cadere sotto il piombo fascista il 25 febbraio 1921 era l’operaio delle Ferriere del Vesuvio, Diodato Bertone (1867 – 1921), colpevole di essere un militante socialista di antica data.
Mentre tutto questo accadeva socialisti e comunisti non trovavano di meglio che farsi una stupida guerra ideologica, stuzzicando le opposte fazioni e espellendo dalle rispettive sezioni chi veniva meno ai loro doveri di militanti. Capitò ai socialisti, Francesco D’Orsi e Raffaele Perna, espulsi per morosità ed assenteismo, mentre il comunista Oscar Gaeta li rimbeccava per mancato coraggio rivoluzionario.[31] Dal canto suo Antonio Cecchi, Segretario della Camera del Lavoro di Napoli e Primo Galassi litigavano con il nuovo Segretario della Camera del Lavoro, Giuseppe Forconi, sulla strategia del Fronte Unico, in realtà sabotato da entrambe le parti.[32] Contro la violenza fascista, su iniziativa del Sindacato nazionale Ferrovieri, seguito dalla Federazione Italiana Lavoratori del Porto, si era tentato di mettere in piedi un Alleanza del Lavoro e Comitati di difesa proletaria che alla fine si rivelarono scatole vuote, incapaci di reagire, anche militarmente, all’offensiva fascista per i troppi dissidi interni, fino a sciogliersi nell’agosto 1922 anche a seguito del fallito sciopero legalitario promosso il 31 luglio e stroncato nella più feroce violenza e nel sangue dalle milizie fasciste. Grande in questo caso fu la responsabilità di Bordiga e dei comunisti, chiusi nel loro cieco e ottuso settarismo. La loro ottusità l’avevano già dimostrata l’anno precedente, quando nel giugno 1921 anarchici e repubblicani avevano costituito l’organizzazione degli Arditi del Popolo, formazione para militare proletaria nata per fronteggiare le violenze e gli omicidi fascisti, al di fuori e al di sopra dei partiti.[33] Se il Partito Socialista si mostrava perplesso dimostrando tutta intera la propria inettitudine, incapace di rendersi conto di quanto stava realmente accadendo e a cosa stavano andando incontro, il PCd’I vietò addirittura ai propri militanti di aderirvi, proponendo la formazione di squadre armate composte di soli comunisti, nonostante la provata debolezza della sua organizzazione composta da poche migliaia di iscritti. Ciò non impedì a numerosi militanti dei due partiti di prendervi parte, formando squadre di Arditi Rossi in diverse regioni, anche del Mezzogiorno.[34] Inutile sottolineare che a fronte della tolleranza e complicità delle Autorità, delle forze dell’ordine, della stessa magistratura e dello stesso Governo alle violenze e agli omicidi fascisti, fermi ed arresti non si contavano nei confronti degli Arditi. Fino al paradosso del Governo Bonomi che diramò il 13 agosto una circolare con la quale si autorizzava l’arresto degli Arditi del Popolo in quanto tali e non per aver commesso reati.
Nell’area torrese stabiese non si hanno notizie di costituzione di questi organismi, anche se a livello napoletano nella mattinata del due aprile si era avuto un grande comizio nella vasta Piazza di Largo Regina per annunciare la costituzione del Fronte Unico. A nome della Camera Confederale del Lavoro era intervenuto Antonio Cecchi, in uno dei suoi ultimi interventi, due settimane prima delle sue dimissioni forzate da ogni incarico nel Partito e nella Camera Confederale del Lavoro.[35] Direzione poi affidata alla stessa Segreteria napoletana dei Ferrovieri. Alleanze del Lavoro si erano costituite a Salerno e Benevento e rispettive province. La Camera del Lavoro stabiese, in mano ai socialisti riformisti, era ormai troppo debole per proporre qualsiasi iniziativa e troppo impegnati a offendersi le sezioni comunista e socialista per qualsiasi iniziativa unitaria. Probabilmente si inserì, timidamente, pro forma, in quella provinciale con sede a Napoli.[36] Dal versante comunista, organizzazione per sua natura più rigida, le espulsioni non si contavano. Troppi per enumerali. Quanti interessati possono spulciare le pagine del Soviet dal 17 luglio 1921.[37] Intanto non ci fu nessuna protesta quando il proprietario della sede della Camera del Lavoro, il fascista Andrea Esposito, già presidente del Club Canottieri, un tipo tra il signore di campagna ed il mercante di cavalli, alto robusto, di carattere rumoroso e guascone, il quale vestiva sempre alla cacciatore, stivaloni gialli, frustino e cappello sulle ventitré – il probabile uccisore del maresciallo Carlino il 20 gennaio 1921 – li sfrattò, limitandosi ad una debole protesta tramite il quotidiano nazionale e lanciando una inutile, sterile minaccia:
Non si illuda tanto la borghesia di Stabia. Ricordi che pochi anni fa i socialisti a Castellammare erano quattordici, neanche uno in più. La buona (o cattiva per loro) sementa è stata gettata, ha trovato il terreno fertile. La pianticella è diventata un tronco solido che sfida le ire dell’uragano. Crede la borghesia di piegarla con un soffio?[38]
Costretti a trasferirsi momentaneamente nella piccola sede dei gassisti in via Coppola 33, riuscirono pochi giorni dopo a trovare una sede più adeguata in via Rispoli, nel rione popolare più rosso di Castellammare socialista.[39] Non vi rimarranno molto, probabilmente per le scarse risorse finanziarie, tornando mestamente in via Coppola. È interessante annotare che Andrea Esposito era il cugino di Ignazio (1883 – ?), militante della sinistra socialista, amico di Bordiga, corrispondente locale dell’Avanti! e redattore del settimanale della sezione, La Voce. Di carattere violento, fu l’anima di tutti i movimenti sovversivi che si verificarono in questa città fino al 1915. Ignazio abbandonò il Partito in quello stesso anno, dopo la rottura sulla linea politica, a seguito dell’entrata in guerra dell’Italia, senza mai più rientrarvi e trasferendosi definitivamente a Napoli, dove lavorava come agente generale dell’Istituto di Assicurazione Marittima.[40] Da sottolineare che anche sotto il regime, benché strettamente sorvegliato, non mutò i suoi sentimenti antifascisti, rimanendo fedele alle sue idee socialiste.
Paura delle violenze fasciste, continue intimidazioni, sopraffazioni nei luoghi di lavoro, meschine vendette, controlli asfissianti delle squadre politiche, rottura tra comunisti e socialisti impegnati più a litigare che a dirigere il movimento operaio, portarono lentamente a svuotare la Camera del Lavoro, sempre più l’ombra di se stessa.
Non casualmente Piero Girace poté scrivere nel suo tragicomico Diario: Passammo davanti alla Camera del lavoro. Pochi sfaccendati sostavano sulla soglia. Volti stanchi, sfiduciati. Non avevano più l’aria provocatoria di un tempo (…). Quel tale professore – il riferimento era a Michelangelo Pappalardi, sfortunato Segretario della Camera del Lavoro stabiese succeduto a Antonio Cecchi nella primavera del 1920 – che dalla Cassa Armonica aveva dettato, sarcastico e tracotante, l’epitaffio per la borghesia, si era dato alla fuga. I propagandisti anch’essi scomparsi.[41]
Nonostante le mille avversità, ancora nel Regio Cantiere, la Commissione interna affrontava e vinceva nel gennaio 1922 la sfida eleggendo tutti e tre componenti con Astarita, Loiacono e Vincenzo Porzio, quest’ultimo uscito dal carcere in ottobre per i noti fatti del 20 gennaio 1921, affondando i rivali allineati col Partito Popolare e alcuni Indipendenti, in realtà fascisti. Ai fascisti non era servita la costituzione di una seconda, raffazzonata Camera del Lavoro alternativa alla sempre più debole organizzazione camerale confederale guidata dal socialista unitario, Giuseppe Forconi, originario della provincia di Arezzo. La risposta padronale non si fece attendere trasferendo in febbraio il povero Astarita alla Maddalena, provocando la reazione degli altri due membri che per protesta si dimisero, pensando in questo modo di aver risolto il problema dei sovversivi nel Regio Cantiere, ma così non fu. Le nuove elezioni per il rinnovo della Commissione Interna confermò la stragrande maggioranza agli esponenti della Camera del Lavoro con 1.238 voti contro i 328 degli indipendenti, chiamandosi tali forse perché si vergognavano di dirsi fascisti.[42]
Il 1° maggio 1922 fu l’ultimo, prima della fine, che Castellammare riuscì in qualche modo a festeggiare, con oratori l’avvocato socialista, Giuseppe Benvenuto, il professore comunista, Giovanni Sanna e il ragionier Bruno, un repubblicano non altrimenti identificato.
L’ultima offesa alla cittadella rossa arriverà con la cittadinanza onoraria concessa dall’amministrazione comunale fascista guidata dal sindaco Francesco Monti a Benito Mussolini il 28 ottobre 1923. Offesa lavata, ventuno anni dopo, dall’amministrazione democratica retta dal socialista Raffaele Perna (1880 – 1953), con delibera del 13 settembre 1944.[43] Castellammare fu una delle primissime amministrazioni a revocare la cittadinanza all’ex dittatore, quando ancora infuriava la guerra civile nel Nord del Paese e Benito Mussolini era ancora saldamente alla guida della cosiddetta, famigerata, Repubblica di Salò.
Il Movimento Operaio pagò a caro prezzo la sua Caporetto. Per la sua Vittorio Veneto bisognerà aspettare venti lunghi anni, versando altro sangue innocente per mano dei nazifascisti in fuga. A Castellammare non mancarono atti di eroismo, di resistenza contro gli occupanti, guadagnandosi come città la medaglia d’oro al valor civile, ma di questo abbiamo ampiamente parlato in altre nostre pubblicazioni e alle quali rimandiamo per chi volesse approfondire.[44]
Note:
[1]Stando ad un resoconto dello storico fascista, Angelo Alberto Chiurco, ad accerchiare Roma furono almeno 70mila fascisti armati, secondo Angelo Tasca invece, questi non superavano i 14mila uomini armati o di fucile o di moschetto, di rivoltella, di pugnale o, a volte, solo di bastone, quasi senza mitragliatrici, senza un solo cannone. Ad essi il governo avrebbe potuto opporre i 12.000 uomini della guarnigione di Roma che disponevano di tutte le risorse della tecnica difensiva moderna. alcuni carri armati e pochi aeroplani avrebbero facilmente disperso queste formazioni che non disponevano né di un serio armamento, ne di viveri, né di acqua, malgrado i furiosi acquazzoni che continuavano ad inzupparli. Cfr. il sempre attuale Angelo Tasca: Nascita e avvento del fascismo, vol. II, Universale Laterza, settima edizione, 1982, pag 473. Per le fonti utilizzate da Tasca vedi, nello stesso volume, la nota 290 a pag. 513.
[2]Renzo De Felice: Mussolini il fascista. La conquista del potere. 1921-1925, Einaudi tascabili, 1995, pag. 325.
[3]Avanti! 6 giugno 1920: Federazione socialista provinciale napoletana; 26 settembre 1920: Le necessità della rivoluzione. Il Comitato di Zona fu composto da tre stabiesi, uno di Gragnano ed uno della Penisola sorrentina. Non si conoscono i nomi.
[4]Adriano Tilgher: La crisi mondiale, Bologna Zanichelli, 1921, ma tratto da Angelo Tasca: Nascita e avvento del fascismo, cit, nota a pag. 205.
[5]Elenco ufficiale dei legionari fiumani depositato presso la Fondazione del Vittoriale degli Italiani in data 24 giugno 1939.
[6]Vaco e Pressa, anno I, n. 7, periodico diretto da Libero D’Orsi, Tipografia fedeli, 21 settembre 1919: La partenza dei nostri volontari per Fiume.
Per la consultazione di Vaco e Pressa si ringrazia Libero Ricercatore per la sua formidabile e preziosa emeroteca e in particolare il suo curatore, l’amico Gaetano Fontana.
[7]Dal sitoweb, Club Alpino Italiano, sezione di Castellammare di Stabia, fondata nel 1935.
[8]La descrizione di Umberto Paroli, così come le altre che seguiranno anche se non citate, sono tratte dal volume di Piero Girace: Diario di uno squadrista, Editrice Rispoli Anonima, Napoli 1941, seconda edizione.
Colgo qui l’occasione per ringraziare l’amico Lino Di Capua, storico stabiese, autore di diverse pubblicazioni, per avermi consentito di consultare l’ormai introvabile libro di Girace, in suo possesso
[9]Il Mattino, 23-24 gennaio 1921: Castellammare di Stabia. Si fa cenno ad un costituendo Fascio di Combattimento ad opera di uno dei principali organizzatori della manifestazione patriottica di giovedì, l’avvocato Imperato, firmatario del manifesto (…).
Secondo Girace, la costituzione del Fascio Stabiese fortemente voluto da Imperati, porta la data del 19 gennaio 1921. pag. 18
[10]ASN Sovversivi, Imperati Alfonso, busta 50
Alfonso Imperati era un uomo molto energico. Di statura bassa, giovane, elastico. Cosi lo descrive Piero Girace nel suo, Diario di uno squadrista, cit, pag. 16
[11]P. Girace: Diario di uno squadrista, cit. pag 30/31
[12] ASN Prefettura Gabinetto, defascistizzazione, Musolino Luigi, arresto, busta 90
In Campania vi erano almeno tre degli oltre venti campi di concentramenti per fascisti presenti in Italia, i cosiddetti, famigerati, Civilian Internee Camps gestiti dagli anglo americani e aperti in Italia tra il 1943 e il 1945, il più importante era quello di Padula, dove furono rinchiusi oltre 2500 fascisti, gli altri due erano ad Afragola e Aversa.
[13]ASN, Commissario di PS, Castellammare di Stabia a Ministero del Tesoro, 22 ottobre 1955, in Schedario Politico: De Simone Vincenzo, b.88,
[14]Contrariamente a quanto hanno scritto altri autori, Piero in realtà Pietro Girace, figlio del barone Francesco, nato a Castellammare nel 1858, proprietario terriero, e della nobildonna Elisa Faleolini, non è nato nella città stabiese ma nella vicina Gragnano, dove la sua famiglia abitava in via la Pigna. Il padre era stato consigliere comunale e sindaco di Gragnano dal 1911 al 1917, più volte consigliere provinciale del mandamento di Gragnano e assessore nel comune stabiese. Piero porta il nome di un fratello maggiore del padre, morto trentenne nel 1882.
[15]ASN, Questore a Prefetto, Esito informazioni, 16 giugno 1939, in Schedario Politico, Luise Giovanni, b. 56
[16]ASN, II Versamento, f. 359: Francesco Monti 1929 – 1930.
[17]ASN, II Versamento, Defascistizzazione: Sospesi dal servizio il 25 novembre 1943, busta 88
Con lui furono sospesi Vincenzo Zembrini, Filiberto Mirra, Vincenzo Mancini, Giovanni Giordano, Gaetano Criscuolo, Guglielmo Spagnuolo, Catello Avvisano, Uliano Stanislao, quest’ultimo già sospeso dal 6 ottobre.
Un primo elenco di 52 nomi tra squadristi e fascisti facinorosi era stato fornito il 6 ottobre 1943 dal Sotto Comitato Nazionale di Liberazione stabiese, guidato dal democristiano Silvio Gava. Tra i nomi leggiamo quelli di Catello Aprea, Carlo Amato, Giuseppe Monti, Pasquale Amato, Onofrio Mirabile, Francesco Ingenito, Giulio Dell’Oro, Pietro Antozzi, Gaetano D’Auria e Arnaldo Fusco.
In un successivo elenco compare anche il nome dell’illustre medico Raffaele Calvanico, Direttore del Reparto Maternità negli Ospedali Riuniti di Napoli, in quanto squadrista, Sciarpa Littoria e componente del direttivo federale. Tra gli altri i fratelli Francesco e Giuseppe Monti e diversi insegnanti, comprese le dirigenti del Fascio femminile.
[18]ASN, Prefettura Gabinetto, Defascistizzazione, Legione Territoriale Regi carabinieri: Esposto a carico di Uliano Stanislao, .busta 91
[19]ASN, Schedario Politico: De Fusco Paolo, busta 39
[20]Antonio Barone: Piazza Spartaco. Il movimento operaio e socialista a Castellammare di Stabia. 1900-1922, Editori Riuniti 1974, pag. 87. Scrive lo storico stabiese: I circa duecento fascisti che il 28 ottobre del ’22 si muoveranno da Piazza Cantiere per partecipare alla marcia su Roma, cantando Giovinezza, erano nella stragrande maggioranza delinquenti prezzolati.
[21]Raffaele Scala: Appunti incompleti sul neofascismo stabiese nel dopoguerra repubblicano e Leopoldo Siano, storia di un fascista stabiese, entrambi pubblicati sul sitoweb, Libero Ricercatore, rispettivamente il 28 ottobre 1916 e 29 ottobre 2017. Entrambi gli articoli furono successivamente ripubblicati su Nuovo Monitore Napoletano, rispettivamente il 11 ottobre 2017 e 9 gennaio 2018
[22]ASN, Schedario Politico: Buonocore Francesco Paolo, busta 39.
[23] Questo fascio femminile si rese promotore di inviare un omaggio, accompagnandolo con una lettera, nell’epifania del 1928, al piccolo Romano Mussolini, che aveva meno di quattro mesi (era nato il 26 settembre 1927): “Le Piccole e Giovani Italiane Stabiesi augurano salute al piccolo camerata Romano. E’ questa la prima Befana che allieterà la tua giovane vita, o cara piccola creatura d’amore…” firmarono la missiva Maria Giordano di Alessandro (falegname), Anna Perna di Alfonso (operaio), Teresa Fiorillo di Luigi (Ufficiale a riposo), Maria de Rosa di Tommaso (funzionario), Assunta Landolfi di Guglielmo (negoziante), Giuseppina Romualdi di Giuseppe (meccanico). Cfr. ASN, II Versamento, Da Sottoprefetto a Prefetto, 28 agosto 1925 e 30 gennaio 1928. Sull’Associazione Femminile Stabiese, cfr. Vaco e Pressa, numero saggio del 15 giugno 1919.
[24]Avanti!, 16 marzo 1921: Ricostituzione della sezione di Castellammare.
[25]Avanti!, 18 aprile 1922: Dopo il processo. Per una visione più complessiva vedi l’ottimo lavoro di Antonio Ferrara: Violenze e fascismo nel napoletano. Il caso di Castellammare di Stabia. Piazza Spartaco, Francesco D’Amato Editore, 2021.
[26]Avanti!, 13 maggio 1921: Un insegnamento agli elettori, articolo da Napoli firmato con le iniziali M.L. e 15 maggio 1921: Una rettifica, smentita firmato dal segretario camerale, Serpi e pubblicata in prima pagina. Segretario generale della Camera del Lavoro era il toscano Giuseppe Forconi
[27] Il Mattino, 16 maggio 1921: La tragica giornata elettorale a Napoli
[28]Avanti!, 9 agosto 1923:Operaio ucciso a Castellammare e 11 agosto: Un truce assassinio a Castellammare di Stabia.
[29]Avanti!, 16 dicembre 1924: La latitanza di un fascista che uccise un contadino con tre baionettate.
[30]Rosa Spadafora: Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Campania. Edizioni Athena, 1989. Cfr. Longobardi Raffaele pag. 296; Sicignano Catello, pag. 471.
[31]Avanti!, 24 agosto 1921:Corriere stabiese.
[32]Avanti!, 8 gennaio 1922: Fronte unico.
[33]Guido Neppi Modona: Sciopero, potere politico e magistratura. 1870-1922, vol. II, pag. 257, Universale Laterza, 1979
[34]Avanti!, 17 luglio 1921: I comunisti non debbono accettare la disciplina degli Arditi del Popolo e 3 agosto: Il Partito Comunista deplora i suoi soci. Il Partito Comunista contava, a livello nazionale, appena 9.619 iscritti alla data del 15 aprile 1924. In Campania soltanto 394.
[35]Avanti!, 5 aprile 1922: L’Alleanza del Lavoro a Napoli e Il Soviet, Anno V, n. 51, 15 aprile 1922: Il comizio dell’Alleanza del Lavoro.
[36]Avanti!, 8 giugno 1922: Alleanza del Lavoro di Napoli e provincia.
[37]Il Soviet, Anno IV, n. 20, 17 luglio 1921: Castellammare. Epurazioni.
[38]Avanti! 16 settembre 1921: Da Castellammare. Il proletariato senza tetto.
[39]Avanti!, 21 settembre 1921: Nuovo locale per la Camera del Lavoro.
[40]ASN, Sovversivi: Esposito Ignazio, busta 60
[41]Piero Girace; Diario, cit. pag. 48
Non ho nulla da aggiungere alle sante parole dei compagni che mi hanno preceduto, voglio solo dettare un epitaffio per i nostri nemici: Qui giace la buffa e stomachevole borghesia, avrebbe detto – secondo Girace nel suo Diario, pag. 7 – Michelangelo Pappalardi dalla Cassa Armonica chiudendo il comizio alla folla plaudente, inneggiando al socialismo e alla conquista del comune. Probabilmente nel corso della manifestazione popolare nella serata del 3 novembre 1920. Cfr. Avanti!, 4 novembre 1920: Castellammare di Stabia.
Michelangelo Pappalardi era nato a Campobasso l’8 novembre 1895. Si trasferì a Piano di Sorrento, dove vivevano le tre sorelle, suore di clausura nell’ordine delle Agostiniane e da loro economicamente sostenuto, iscrivendosi all’Università di Napoli, dove si laureò in Lettere. Inseritosi nel movimento operaio stabiese fu eletto Segretario della Camera del Lavoro stabiese nell’aprile 1920, dopo la partenza di Antonio Cecchi per Napoli. Arrestato e processato per i fatti di Piazza Spartaco, dopo l’assoluzione fu eletto Segretario della più importante Camera del Lavoro del capoluogo campano, succedendo ancora una volta al dimissionario Cecchi. Dopo l’avvento del fascismo emigrò in Francia, dove riprese la sua lotta nel movimento operaio, fu espulso dal PCd’I, formando una sua Frazione di sinistra. Espulso dalla Francia, inseguito da un mandato di cattura, divenne una primula rossa, spostandosi in vari paesi europei, fino ad emigrare sotto falso nome in Sud America. Scompare a Buones Ayres l’8 marzo 1940, ormai stanco e ammalato, a soli 45 anni.
Cfr. ASN, Sovversivi: Pappalardi Michelangelo, busta 70 e ACS, CPC, busta 3724.
[42]Avanti!, 16 marzo 1922: Assemblea della sezione di Castellammare di Stabia e 23 marzo: Nel Cantiere di Castellammare di Stabia.
[43]Raffaele Perna militava nel Partito socialista fin dal primo dopoguerra, fino a quando, definito demoriformista, non fu espulso dalla sezione stabiese per morosità ed assenteismo, insieme a Francesco D’Orsi. Entrambi erano membri della Congregazione della Carità in nome e per conto del Partito nel quale militavano. Cfr. Avanti!, 24 agosto 1921: Corriere stabiese. Amputazioni salutari.
[44]Raffaele Scala: Settembre 1943. I partigiani di Castellammare di Stabia, pubblicato il 8 settembre 2017; I giorni della memoria a Castellammare di Stabia, pubblicato il 28 agosto 2019; Quei terribili giorni del 1943, pubblicato l’8 settembre 2022, tutti sul sito web Libero Ricercatore. Per quanti intendono approfondire l’argomento può tornare utile la lettura delle altre mie due ricerche, entrambe su Nuovo Monitore Napoletano: Dalle origini del Movimento Operaio al fascismo. 1861 – 1922 e L’antifascismo a Castellammare di Stabia. 1922 – 1943, pubblicate rispettivamente il 7 maggio 2019 e 29 agosto 2020. >