di Raffaele Scala
Quando, come e con chi iniziare una storia di famiglia? Se uno nasce Re o Principe il problema non se lo pone perché nella Sala dei Ricordi vi è un albero genealogico che ti consente in qualsiasi momento di ricostruire le vicende del tuo casato, di sapere chi è stato il capostipite e di risalire all’inizio del tempo che fu, leggendo tranquillamente i nomi di quanti ti hanno preceduto, nonni, bisnonni, avi, conoscendo di ognuno le diverse date di nascita e di morte, ruoli e funzioni rivestite da ciascuno. Alcuni hanno la possibilità di scorrere i decenni ed i secoli, fino a toccare, non so, il tempo di Carlo Magno, altri, più blasonati, oppure maggiormente fortunati, riescono a giungere fino a Giulio Cesare, infine troviamo quelli che hanno il sangue più blu, dipinto di blu degli altri. A loro è concesso di viaggiare veloci i millenni fino ad arrivare ai capostipiti per antonomasia, i biblici Adamo ed Eva, al principio della vita. Ma se uno è un comune mortale allora le cose sono leggermente più complicate e nella migliore delle ipotesi ci si può affidare, e non sempre, soltanto all’archivio comunale, quando e se funziona, oppure, ma devi essere un tipo favorito dalla sorte, ai registri delle parrocchie, quelle più antiche e ben conservate.
A noi, povera gente, figli del popolo minuto, non è dato avere un albero genealogico illustre, composto d’uomini e donne nelle cui vene scorre il sangue nobile di conti e marchesi, di principi o re. Chi ci ha preceduto di mestiere faceva il cocchiere, il calzolaio, il bracciante, il pescatore, l’operaio, il muratore, il vetturino, il marinaio e perfino un lontano bottegaio nella Castellammare borbonica, con Stefano Palmigiano (1786 – 1846), marito di Maria Esposito e genitori di Annunziata Palmigiano (1829 – 1889), a sua volta moglie di Raffaele Ruocco (1820 – 1888), dai quali discende nonna Giovanna Scala (1906 – 1975). Non ci siamo fatti mancare diverse operaie filatrici, come abbiamo avuto modo di scoprire nel corso della nostra ricerca sulle undici generazioni che ci hanno preceduto, dalla fine del 1600 ad oggi.
Vediamo chi sono:
la prima, Rosa Somma (1756 – 1846), era figlia del bracciante Giuseppe e di Teresa Longobardi, di loro non sappiamo praticamente nulla se non i loro nomi. Rosa entra nella nostra storia per aver sposato Tommaso Cioffi (1757 – 1817), di mestiere ricottaro, da cui discese la nonna materna, Matilde Cioffi;
la seconda era Angela Cioffi (1768 – 1822). Cerchiamo di saperne qualcosa in più sulle sue origini: I suoi nonni materni erano Angelo Spagnuolo e Carmina Giordano, genitori di Dorotea Spagnuolo (1753 – 1814), mentre quelli paterni erano Francesco Cioffi e Maria Martino, i quali misero al mondo Nicola Cioffi (1736 – 1816). Dorotea e Nicola, sposandosi fecero nascere la, speriamo bellissima, Angela. A sua volta, la nostra filatrice condividerà il resto della sua esistenza con il bracciante Antonio Mosca, dai quali discese nonno Raffaele Mosca, marito di Matilde. La filatrice Angela discende da un altro ramo dei Cioffi, un evidente prolifico, antico casato stabiese;
infine, seppure non siamo certi che sia l’ultima filatrice nella storia della famiglia, ma per il momento ci accontentiamo, incontriamo Maria Giovanna
Rotunno (1740 – 1837), figlia del pescatore Nicola e di Giuseppa Vingiano. Anche Maria Giovanna sposerà un pescatore, Saverio Sorrentino (1760 – 1810), abitante nel cuore del Centro Antico tra Strada Coppola e Vico Pugliese. Come s’incrocia il loro destino con il nostro casato? Vediamolo meglio: un loro figlio, Ignazio (1797 – 1837), di mestiere pescatore, troverà la sua dolce metà in Raffaela Savarese (1804 – 1868) e dalla loro unione uscirà Maria Giuseppa Sorrentino (1825 – 1896). A questo punto il gioco è fatto, l’incrocio dei destini si va completando perché la nostra splendida Maria Giuseppe incontrerà sul suo cammino, senza fare molta strada, l’operaio Raffaele Savastano (1815 – 1897), originario di Tramonti, ma da tempo residente a Scanzano. La loro figlia sarà Maria Ausilia Savastano (1860 – 1904). Toccherà a lei fare il penultimo passo, il più importante, concedendo la sua mano al muratore Vincenzo Cioffi. Dalla camera da letto del loro nido d’amore nascerà Matilde. Ed è fatta, perché la coriacea Matilde Cioffi (1893 – 1972) incontrerà l’amore della sua vita in Raffaele Mosca (1893 – 1945). Chi erano? E chi se non i genitori della nostra amatissima madre, Carmela Mosca?
Dopo questa lunga cavalcata attraverso i secoli, inseguendo le origini delle nostre tre bellissime filatrici, c’incuriosisce sapere dove andarono a lavorare queste nostre lontane prozie: filavano in casa, su artigianali telai, oppure lavoravano in qualche fabbrica della zona? Magari nella filanda inaugurata a Castellammare nel 1769, per la lavorazione dei panni e delle pelli, pare senza avere molta fortuna, oppure in una di quelle aperte nell’ultimo decennio del 18° secolo, lungo la litoranea situata oltre la cinta urbana, per esempio nella fabbrica di cotone e tintoria del greco Teofilo la Rosa, sorta intorno al 1792.(1) Chissà! Purtroppo non lo sapremo mai.
Nonostante le non poche difficoltà, siamo riusciti a tornare indietro nel tempo fino a giungere all’alba del Settecento, quando nel borgo stabiese vissero Francesco Cioffi e sua moglie Maria Martino, i più antichi antenati del ramo materno, che portò a Raffaele Mosca, i capostipiti da cui, circa tre secoli dopo, verranno al mondo gli ultimi due nati della serie, e nostri amatissimi nipoti, Raffaele Scala nato il 26 luglio 2007 e sua sorella, la piccola Chiara, generata soltanto il 20 aprile 2011, un pizzico di tempo fa, undicesima generazione della nostra breve ricostruzione. Crescenzo Cioffi e Brigida Lauro saranno invece gli antenati vissuti nella prima metà del 1700 che porteranno a Matilde Cioffi.
Anche noi, dunque, nel nostro piccolo, fatte le dovute ricerche, abbiamo costruito il nostro albero genealogico, forse un albero nano, ma sufficiente a darci le dovute soddisfazioni, scoprendo che un ramo della famiglia materna proviene da Siano, un piccolo paese del salernitano nei pressi di Castel San Giorgio, dove nacquero il bracciante Antonio Botta (1810 – 1860) e Agnese Varone (1817 – 1898). Anzi, qui inizia subito un piccolo mistero perché sul documento originale di Antonio, porta testualmente: nato a Siano di San Giorgio o Castellammare di Stabia. Che significa? Dove è nato? Mistero, ma quasi sicuramente il nostro Antonio è nato a Siano di San Giorgio.
Comunque sia una delle loro figlie, Rosa Botta (1848 – 1926), quella di nostro interesse, era a sua volta nata a Siano di San Giorgio nel 1848. La nostra simpatica progenitrice sposerà il vetturino Baldassarre Mosca (1850 – 1899) mettendo al mondo nonno Raffaele Mosca (1893 – 1945), padre di Carmela Mosca (1928 – 2011), nostra madre.
Ma chi era Baldassarre Mosca? Da dove proveniva? Abbiamo spulciato tra le carte ingiallite del tempo che fu, ma non siamo andati oltre un Antonio Mosca, bracciante, marito di Angela Cioffi (un’altra Cioffi?) nata nel 1768 e deceduta il 7 aprile 1822. Dai due nacque Baldassarre, (1792 – 1836), stesso mestiere del padre, bracciante, a sua volta e sposo di Marianna Di Somma. Questi misero al mondo Raffaele, nato il 5 marzo 1816. Da Raffaele Mosca, bracciante, e da sua moglie, Colomba Esposito, nacque il nostro Baldassarre del 1850, di cui abbiamo già detto.
Ora facciamo di nuovo un passo indietro, anzi più di uno un salto spettacolare nella Castellammare della prima metà del Settecento di cui parlavamo all’inizio. Nel XVIII secolo Castellammare di Stabia era ancora fortificata da mura per proteggersi dalle incursioni nemiche, l’ultimo assalto, navale e terrestre, c’era stato nel 1692, quando una flotta francese bombardò le nostre case, provocando non pochi danni, ma l’attacco fu fortunatamente respinto.(2) Nella piccola città vivevano circa novemila abitanti, quasi duemila famiglie componevano l’operosa popolazione e tra queste vi troveremo il nucleo di Crescenzo Cioffi e di sua moglie, Brigida Laura, i nostri più antichi capostipiti finora ritrovati, cercando, da buoni topi di biblioteca, tra ingialliti documenti anagrafici e polverosi registri ormai illeggibili. Uno dei loro figli sarà, come si è detto, il nostro Tommaso Cioffi (1757 – 1817), ricottaro, l’antico e ormai estinto mestiere di chi produce e vende ricotte. (3)
Dal matrimonio del nostro Tommaso con la filatrice Rosa Somma nascerà il figlio Agnello, secondo altri Aniello, (1791 – 1836), bracciante, marito di Angiola Rosa Esposito (1792 – 1837). Dalla loro unione nascerà Carmine Cioffi (1819 – 1871), di professione calzolaio.
Dalla Castellammare contadina della prima metà del Settecento, alla cittadella che si avviava ad essere industriale con la realizzazione del grande Regio Cantiere Navale nel 1783, capace d’impiegare oltre duemila operai, la Regia Corderia, nata contemporaneamente e le prime piccole industrie tessili sorte tra le fine del XVIII e l’inizio del XIX, sviluppatesi con particolare fervore sotto il breve governo della dominazione francese, prima con Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, poi con il più sanguigno,
passionale e sfortunato Gioacchino Murat, cominciano ad emergere figure diverse da quelle tipiche espresse dal lavoro contadino. La crescita della città e la ricchezza prodotta, consentiva ad alcuni di abbandonare il duro lavoro della terra, lavorata da sempre dagli avi, oppure la, non meno faticosa attività marinaresca, del pescatore o del marinaio imbarcato, con le lunghe dolorose assenza da casa, per impiegarsi in altre più proficue attività, artigianali, commerciali o industriali. In questo modo si spiega, forse, il bettoliere, ma ancora di più la presenza di almeno tre filatrici e del calzolaio, se vogliamo una sorta d’emancipazione per i nostri progenitori zappatori.
Il calzolaio Carmine Cioffi sposerà Maria Miceli (1827 – ?) – figlia d’ignoti, una trovatella abbandonata davanti alla casa di Emanuela Scelzo, cui toccò il compito di denunciarla all’anagrafe e di farla battezzare – mettendo al mondo Vincenzo (1860 – 1934). A sua volta il buon Vincenzo, muratore, contrarrà matrimonio con Ausilia Maria Savastano (1860 – 1904). Dalla loro unione nascerà nonna Matilde Cioffi (1895 – 1972). Ausilia scomparirà all’età di 44 anni, ma il marito Vincenzo si consolerà ben presto sposando la più giovane vedova di Vincenzo Benincasa, Lucia Iozzino (1874 – 1935). Non sappiamo se da questa ulteriore unione ci saranno altri figli.
Il bracciante Raffaele Mosca troverà la sua dolce metà nella casalinga Matilde Cioffi, coronando il sogno d’amore il 23 novembre 1913, mettendo al mondo una numerosa prole, nessun maschietto ma ben sei femmine, di cui solo cinque sopravvivranno. La piccola Maria morrà a soli 18 mesi (1923 – 18 settembre 1924) nella casa in affitto di via Pergola, 4. La terza femminuccia della serie Mosca sarà nostra madre Carmela, di cui, ovviamente, ci occuperemo ampiamente. Se l’albero di Raffaele Mosca si perde nei meandri dell’anagrafe di Siano di San Giorgio, non da meno quello di Matilde Cioffi, le cui radici si trovano a Maiori (SA), paesino del salernitano dove nacque il contadino Giuseppe Savastano (1781 – 10 febbraio 1861). Costui, sposando Orsola De Crescenzo, metterà al mondo quattro figli, tra cui l’operaio Raffaele (1815 – 20 novembre 1897), facendolo nascere nella ridente cittadina di Tramonti (SA). Padre e figlio si sposteranno, infine, nella nostra bella Castellammare, dove il baldo Raffaele, contraendo matrimonio con Giuseppa Sorrentino (1825 – 30 novembre 1896) metterà al mondo, nel borgo di Scanzano, una figlia di nome Maria Ausilia (1860 – 1904). Ed infine la nostra sfortunata bisnonna, Maria Ausilia Savastano, scomparsa a soli 44 anni, sposerà il più longevo muratore Vincenzo Cioffi (1860 – 1934), genitori della nonna Matilde Cioffi.
E sono due rami materni bene o mali ricostruiti!
Dopo la ricostruzione dell’albero genealogico materno, trasferiamoci ora in quello paterno, in verità più striminzito per la carenza di documentazione ritrovata, ma su questo non disperiamo di riuscire ad approfondire ulteriormente in un futuro prossimo venturo. Per andare sul sicuro il nastro di partenza lo facciamo nascere a Gragnano, dove nacquero e vissero gli sposi Domenico Scala e Fortuna Cimmino. Purtroppo di questi nostri recenti progenitori non siamo riusciti a ricavare i dati anagrafici. I primi dati certi ci provengono dal loro figliuolo, Luigi Scala (1867 – 1918), nato a Gragnano cocchiere e domestico in casa Scarselli. Una vita breve quella di Luigi, appena 51 anni, ma intensa. Infatti, prima di lasciare questa valle di lacrime, morendo nella sua casa in via Spiaggia 5 alle quattro del mattino del 24 ottobre 1918, il nostro sfortunato cocchiere sposerà nel 1892, a 25 anni, Annunziata Ruocco (1877 – 1967) che di anni ne aveva soltanto 15, mettendo al mondo una piccola tribù, o meglio così sarebbe stato se una buona parte non avesse deciso di lasciarlo anzitempo. Così fecero Caterina (1899), Domenico (1900), Giovanna (1905), Giuseppe (1909), ancora un Giuseppe (1910) e Raffaele (1917 – 1919), quest’ultimo mostrando il desiderio di guardarsi intorno per un paio d’anni prima di abbandonarci definitivamente. Tra morti e viventi la partita finì in perfetta parità: sei contro sei, ma i vincitori si chiameranno, Fortuna, Domenico, Gennaro, Giovanna, Margherita e il terzo Giuseppe della serie. Il sestetto supererà, con non poche difficoltà, le varie intemperie, strappando il definitivo tagliando per la corsa della vita.
Ma gli antenati della bisnonna Nunzia chi sono? Al momento non siamo riusciti ad andare oltre la fine del 1700, quando incontriamo Catello Ruocco, marito di Rosa Cascone. Di loro non sappiamo nulla se non i nomi, probabilmente coloni, visto che questo era il mestiere del loro figliuolo di nostro interesse, Raffaele Ruocco, nato nel 1820 e venuto a mancare il 9 febbraio 1888 nella sua casa di via Fossa della Luna, nella zona di Schito, dove probabilmente esisteva il podere di cui aveva la mezzadria.(4) Sua moglie era Annunziata Palmigiano, una contadina nata nel 1825 e scomparsa nel 1889. Se inseguiamo anche l’albero di Annunziata, questo ci porta alla metà del Settecento al colono Antonio Palmigiano e a sua moglie Maddalena Donnarumma, ma al momento non c’interessa e torniamo al ramo principale, quello dei Ruocco. A questo punto ripartiamo da Raffale, padre di Salvatore (1851 – 1930), anche lui colono come il genitore. Il nostro Salvatore sposerà il 30 gennaio 1875 Carmela Del Gaudio, ed entrambi daranno la vita alla nostra bisnonna, Annunziata, madre di Giovanna.
I genitori di Carmela sono i napoletani Raffaele Del Gaudio (1791 – 1857), vedovo della sua concittadina, Maria Antonia Solano (1785 – 1836), che sposerà in seconde nozze la trovatella stabiese Annunziata Cece (1815 – 1897), figlia di Ignoti e trovata, avvolta in alcuni panni e priva di segni riconoscibili, da Marianna Caso, una pia ricevitrice di 36 anni, residente alla Salita San Giacomo. La nostra Carmela sposerà Salvatore Ruocco, dando vita ad Annunziata Ruocco, la nostra bisnonna.
Come abbiamo avuto modo di vedere il sangue dei nostri avi si è ben mescolato con napoletani e salernitani, intrecciando destini e storie per dare vita e sostanza al nostro piccolo, grande albero genealogico stabiese.
Con Annunziata Ruocco lasceremo la mezzadria degli antenati e ogni altra coltivazione di terreni perché di mestiere lei farà, dopo la morte
prematura del marito Luigi, la portinaia in Piazza principe Umberto. Che fine hanno fatto questi terreni, chi ha rilevato la mezzadria in un’area in cui i terreni sono tuttora fertilissimi e capaci di diverse rotazioni l’anno, producendo sempre ricchissimi frutti, ortaggi e verdure di prima qualità, non ultimo gli ancora oggi celeberrimi carciofi di Schito? Ecco un’altra domanda destinata a rimanere, purtroppo, senza risposta alcuna.
Uno dei fratelli di Annunziata, Raffaele ( Gragnano 29 gennaio 1883 – Nad Logem* 21 novembre 1916), fu uno dei cinque milioni di italiani chiamati alle armi per dare il proprio contributo di sacrificio, dolore e sangue per raggiungere la vittoria finale nella Grande Guerra (1915 – 1918) e tra i 651mila militari destinati a non fare ritorno a casa. Arruolato nel 14° reggimento di Fanteria. Raffaele partì, lasciando una moglie e un figlio in tenerissima età, contando di tornare per raccontare le sue avventure belliche ma non ce la fece, cadendo, dopo essersi guadagnato il grado di caporale, nel corso di un combattimento a Nad Logem* il 21 novembre 1916.
Abbiamo rintracciato in un libro la lettera di uno sconosciuto militare di Gragnano inviata alla sua famiglia, ci piace immaginare che l’autore sia il nostro sfortunato antenato e allora l’abbiamo riprodotta come se l’avesse materialmente scritta di suo pugno:
(…) e poi ti raccomante di rispettare ad i nostri Genitori e non altro che dirti solo che ti saluto tanto caramente con una stretta di mana che parta dal mio misero cuore che ora si ritrova tanto lontano come pure saluta tanto a tutta la famiglia zii zie cugini e a tutti i parenti che damante di me.(5)
Saranno 542 gli stabiesi morti in quei tre lunghi anni di guerra, la Prima terrificante Guerra Mondiale del Novecento. Il suo corpo non fu mai ritrovato e le autorità militari lo dichiararono ufficialmente disperso, portando la vedova, nel frattempo consolatosi con un altro uomo, a rivolgersi nel febbraio 1921 al tribunale per chiedere la morte presunta del marito al fine di potersi risposare. All’iniziativa della vedova si opposero i genitori del povero Raffaele, impugnandola, non volendo accettare la scomparsa del figlio morto in guerra. Se il corpo non si era mai trovato, pensavano i due sconsolati genitori, forse quel figlio era ancora vivo, magari smemorato, prigioniero, incosciente in qualche altro paese, come era capitato ad altri, di cui le cronache avevano pure scritto e un giorno, prima o poi, poteva ben tornare a casa! Ma se i due genitori potevano avere ragione, altrettanto, e sicuramente più solido, era il diritto rivendicato dalla vedova. Maria Immacolata Graziuso aveva conosciuto un altro uomo, aveva intrecciato con lui una relazione che voleva al più presto legalizzare col matrimonio. E questo poteva avvenire soltanto certificando il suo stato di vedovanza, ufficializzando ciò che tutti sapevano, la morte di suo marito Raffaele Ruocco, caduto in combattimento in quel triste giorno d’autunno del 1916.
Il processo finì come doveva finire, con la sentenza della I Sezione del Tribunale Civile il successivo 15 aprile, accogliendo l’istanza della vedova e dichiarando la morte presunta del fante Raffaele Ruocco visto vivo per l’ultima volta il 21 novembre 1916 partecipare al combattimento di Nad Logem*. Anche suo figlio, Vincenzo, quel bambino lasciato praticamente in fasce quando partì per il fronte, non fu più fortunato del padre, scomparendo a soli sette anni il 30 novembre 1923.
La morte di Raffaele nel corso della prima guerra mondiale non fu l’unico lutto di casa Ruocco in quegli anni, perché il 6 ottobre 1918 scomparve nella grande casa di via Fossa della Luna anche una delle sorelle, Caterina (1878 – 1918), quarantenne coniugata con Vincenzo Esposito. Poiché è noto che le disgrazie non arrivano mai da sole, ma sono sempre tristemente accompagnate, soltanto pochi giorni dopo, il 24 ottobre, seguì la morte del marito di Nunzia, il cocchiere Luigi Scala e un anno dopo fu il turno del loro piccolo Raffaele Scala, di due anni. Al bambino il nome con cui fu battezzato, Raffaele, in ricordo dello zio morto in guerra non portò fortuna, scomparendo a sua volta il 4 dicembre 1919. Era nato il 20 febbraio 1917.
Abbiamo suddiviso la nostra breve ricostruzione in sei piccoli capitoli, più una conclusione e un’appendice, consapevoli dei vuoti lasciati, impossibili da riempire per le nostre manchevolezze e gli evidenti limiti di storici dilettanti. Ciononostante possiamo dirci soddisfatti della ricerca effettuata, del lavoro svolto, delle notizie trovate, impensabili fino a pochi mesi fa. La ricostruzione ci ha aperto un mondo sconosciuto, inimmaginabile, ci ha aiutato a conoscere un passato finora ignorato, consentendoci di inoltrarci lungo sentieri sconosciuti di uomini e donne, professioni non più esistenti, d’incontrare antenati provenienti da altre città, da altre province. Una meraviglia! Uno stupore vissuto non solo con i fatti raccontati nella premessa, ma capitolo per capitolo, a partire dal primo, dove ci occuperemo, naturalmente, del misterioso Alfonso e della sua storia d’amore con Giovanna (1906 – 1975), dalla cui lunga relazione nasceranno Emilia e Gennaro, nostro padre. Un capitolo in cui ci soffermeremo, in particolare su Emilia, a sua volta protagonista involontaria di una bella, intrigante e un poco misteriosa vicenda, che abbiamo provato a ricostruire sulla scorta dei ricordi della figlia Teresa e della nipote Anna.
Ed ora possiamo finalmente iniziare il nostro racconto, qui pomposamente definito, Storia Intrigante di una Famiglia Qualunque, da cui discende il redattore di queste modeste righe.
Note:
(1) Cfr. Catello Vanacore: L’industria a Castellammare nel XIX secolo, in Cultura e Società, anno I, n. 1, pag. 74;(2) Giuseppe Greco: Stabiae, dalle origini ai Borboni, Aldo Flory Editore Napoli, pag, 267;
(3) L’ultimo esemplare stabiese di ricottaro fu il mitico Carluccio, sempre in giro con i suoi due mitici cestini di vimini e le belle foglie di fico su cui ti porgeva la sua freschissima forma di ricotta. Carlo Donnarumma è scomparso all’età di 97 anni l’11 agosto del 2000 e rimane uno dei ricordi indelebili della nostra lontana e spensierata adolescenza. Ancora ricordo di quando, oltre alla ricotta, durante le calde giornate estive, ti vendeva per poche lire, sempre poggiata su grandi foglie fresche di fico, una manciata di saporitissimi, carnosi gelsi. Quelli neri, grandi, pieni di quel dolce succo stupendo, rosso violaceo, che se non stavi attento ti macchiavi inesorabilmente la maglietta che portavi addosso. Se chiudo gli occhi ne sento ancora il profumo e il sapore. Era veramente il tempo delle more;
(4) Scrive Giuseppe D’Angelo nel suo fondamentale volume: Le strade di Castellammare di Stabia, Longobardi Editore, 2000, pag. 61: Via Fossa della Luna è un antico toponimo risalente al XVI secolo, già Strada Vicinale, è un terreno in origine paludoso, ove nei frequenti periodi di allagamento si rispecchiava la luna;
(5) Leo Spitzer: Lettere di prigionieri di guerra italiani. 1915 – 1918, Bollati Boringhieri, 1976. * Negli archivi comunali erroneamente riportato come Mad Sogen.
–
Un appello ai lettori: nel racconto parlo di un mio prozio dato per scomparso nel corso del primo conflitto mondiale durante un combattimento, il 21 novembre 1916. Il luogo in cui è scomparso (caduto) è Mad Sogen. Per quante ricerche abbia fatto non sono riuscito a localizzare questa località, a capire dove effettivamente si trova. Qualcuno è in grado di aiutarmi? Grazie anticipate a chi mi risponderà.
un piccolo contributo, forse utile:
Giuseppa, Carmina Esposito/Vingiano, n. 03/11/1735, m. 12/05/1802,
sposa in prime nozze il 23/04/1753 Nicola Rotundo, n. 13/04/1727, m. 03/01/1764, di Salvatore e Giovanna Tartaglione;
e sposa in seconde nozze il 20/11/1766 Pascale, Saverio Filosa, n. 15/04/1738, m. 23/10/1781, di Domenico e Geronima/Girolama Porpora, già vedovo in prime nozze della fu Orsola Novi.
Giuseppa era figlia di Gennaro Esposito/Vingiano (m. 1753?)
e di Angela Basile, n. 1723 circa, m. 09/01/1793