La “Cirio” di Castellammare…
di Lino Di Capua e Gelda Vollono
articolo del 06/06/2009
La storia della Cirio inizia lontano nel tempo e nello spazio. Infatti il fondatore Francesco Cirio nasce a Nizza Monferrato (Asti) il 24 dicembre 1836, da un modesto negoziante di pane e pasta, che non può permettersi di pagare operai per cui Francesco incomincia a lavorare nella bottega del padre fin da piccolo. Ha appena undici anni quando inizia a lavorare in proprio: due o tre volte la settimana va al mercato di Nizza Monferrato e vi acquista qualche cesto di ortaggi o di legumi, a spalla li trasporta a Fontanile e li rivende. E’ in questo modo che mentre impara cosa vuol dire fare l’imprenditore, dall’altra intuisce che la conservazione della verdura può essere il business del futuro. Lascia pertanto, insieme al fratello maggiore Ludovico, la casa paterna per andare a cercar fortuna a Torino. Nel 1850 dopo aver lavorato in un pastificio, incontrato il favore e la fiducia dei dirigenti di una grande ditta, la Gamba (poi Marocco), ne diventa un prezioso collaboratore allargando lo smercio delle loro derrate alimentari anche all’estero: Parigi, Bruxelles, Vienna, Olanda.
Finalmente nel 1865, in possesso di un piccolo capitale di appena alcune migliaia di lire, si sente pronto a realizzare il suo sogno: conservare le verdure per rivenderle durante la stagione invernale. Incomincia con i piselli in un’unica stanza e con due grandi caldaie tuttavia, l’enorme successo che incontra, gli consente di trovarsi, nel giro di pochi anni, alla testa di un’impresa fiorente che inscatola già nel 1876 ben 4400 quintali all’anno (portati a 10000 nel 1880) di una vasta gamma di prodotti gastronomici (piselli, funghi, asparagi, carciofi, pesche, pere e tartufi neri) e dà lavoro a più di 200 persone.
Seguono accordi con la “Società delle Ferrovie dell’Alta Italia” che gli garantiscono per i suoi prodotti, trasporti a prezzi vantaggiosi e a velocità, per l’epoca, sostenute, la costruzione dei primi vagoni frigoriferi, oggetto di una apposita legge proposta dall’allora Ministro dei Trasporti E. Mezzanotte e di carri serbatoio per il vino, portano i prodotti (verdure, uova, latticini, pollame, formaggi, vino, uva) in Francia, Austria, Germania, Ungheria, Russia.
Sul finire degli anni ‘80, la società Cirio divenuta nel 1889 S.p.A., con l’ingresso di soci italiani, tra cui i fratelli Pietro e Paolo Signorini, e, soprattutto, svizzeri, quali James Aguet, Emilio Belly, Maurice Couvreu, Arthur Robert e Augusto Rappard., ha succursali oramai in tutta Europa e oltre che nell’Italia settentrionale ha incominciato ad investire nel Mezzogiorno, in particolare in Campania con fabbriche a Castellammare di Stabia, a San Giovanni a Teduccio e nelle province di Caserta e Salerno.
Non è difficile, pertanto, tenendo tra le mani qualche periodico del secolo scorso, ritrovarsi a leggere articoli che, occupandosi a vario titolo della Campania, citano la fabbrica Cirio come esempio di “decoro e vanto della industria meridionale”.
E’ stato così che, sfogliando qualche numero di Regina Rivista per le Signore e le Signorine nel n. 6 del 1909, data importante per il mensile, perché è da quell’anno che valicando i confini locali, fu dato in abbonamento anche dai quotidiani: “IL MATTINO” di Napoli – “LA VITA” di Roma – “ IL CAFFARO” di Genova – “ LA GAZZETTA” di Venezia – “IL NUOVO GIORNALE” di Firenze – “IL GIORNALE DI SICILIA” di Palermo – “L’ORA” di Palermo, alle pag. 26 e 27 troviamo un articolo interamente dedicato a “LA FABBRICA CIRIO DI CONSERVE ALIMENTARI”
Non deve stupire se in esso si legge che dei diversi stabilimenti fondati con quattro milioni di lire in provincia di Napoli il maggiore è a Castellammare. Infatti grazie all’arrivo della ferrovia nel 1842, la zona della stazione di Castellammare, conosciuta come Rione Spiaggia ed abitata prevalentemente da pescatori, ha un vero e proprio sviluppo urbanistico ed industriale. La ferrovia, di fatto, all’epoca costituisce una valida e veloce alternativa ai lunghi e faticosi viaggi stradali e marittimi. Così Castellammare diviene il punto di interscambio con la ferrovia delle merci provenienti da buona parte della Calabria e delle Puglie. La Cirio in più, così come i Cantieri navali, ha un proprio raccordo binari in ingresso nella stazione provenienti da Torre Annunziata Centrale.
Lo stabilimento, un enorme fabbricato costruito su disegni dell’ingegnere Trevisan, sorgeva su di un’area di ben duemilacinquecento metri quadrati, acquistati in parte dalla Comunità dei Preti Semplici e in parte del Cav. Francesco Cosenza.
‘Nello stabilimento di Castellammare, si legge nell’articolo, sono impiegati normalmente da 500 a 600 operai, tra uomini e donne, e nel tempo di maggior lavoro oltre un migliaio…La maggiore produzione, annua è data dai pomodori che d’agosto a ottobre, sono esportati in misura di 12 a 15 vagoni di scatole, seguono: i piselli nel maggio con 7 ad 8 vagoni, le ciliegie, i cetriolini nel giugno, i peperoni, i funghi nell’autunno. Ogni giorno la fabbrica introduce da quaranta a cinquantamila scatole di latte vuote e le riempie dei più svariati ortaggi…
Il dato pur non essendo di rilevante importanza, se si paragona a quello metalmeccanico e, per restare nel settore alimentare, a quello dell’ “arte bianca”, non è poi del tutto trascurabile, al contrario è, proporzionalmente notevole, se lo si mette anche in relazione alla bassa intensità di capitale investito nelle iniziative.
L’articolo poi prosegue tessendo le lodi della Cirio sottolineandone innanzitutto la salubrità dei locali : Nelle ampie sale dello stabilimento industriale che per opera della casa Cirio è assurto oggi ad una rinomanza mondiale, entra a fiotti la luce, l’aria circola nei vasti compresi…;
poi le norme igieniche rigorosamente fatte rispettare ai lavoratori : Gli operai sono obbligati a lavarsi tre volte al giorno le mani con sapone di potassio; ed infine il ruolo sociale che essa è chiamata a svolgere verso il mondo femminile, in un crescendo che al lettore sembra si stia parlando non più di una fabbrica ma di educandato per giovinette: ’Ben a ragione la nostra Rivista doveva occuparsi della Casa Cirio, poiché questa dà lavoro e guadagno a centinaia di giovinette, e ne vigila esemplarmente la vita, dando loro in pari tempo col danaro che serve a sostenere l’esistenza anche l’educazione che nasce precipuamente da una vita di lavoro ben inteso e disciplinato.
Da tutto l’articolo sono forti e chiari i messaggi che si vogliono mandare alle lettrici: Cirio vuol dire fiducia. Cirio… inducendo così intere generazioni di casalinghe italiane a pensare “Bisogna anche dire che è Cirio”.
La Cirio continua la sua fiorente attività trovando sempre più consensi sui maggiori mercati nazionali e internazionali. Anche periodi difficili quali quelli delle due guerre mondiali, durante i quali inscatola carne per l’esercito italiano, e l’autunno caldo del ’68 quando, a Castellammare il 16 novembre, la polizia carica le operaie in sciopero, non hanno gravi conseguenze per i bilanci della società che si chiudono comunque in attivo. Tuttavia la grave crisi che sul finire degli anni ‘70 colpisce tutti i maggiori gruppi industriali e il disastroso terremoto dell’Irpinia dell’80, che arreca gravi danni anche alla nostra città, innescano una micidiale reazione a catena che mina nel profondo il tessuto socio-economico di Castellammare. Nel giro di pochi anni si assiste impotenti alla moria dei maggiori insediamenti industriali presenti nel polo Torrese-Stabiese: la Cirio è una di questi. Infatti cessa definitivamente la propria attività nella nostra città nel 1987
L’area sulla quale sorgeva, così come tante altre, ancora oggi è inutilizzata: enorme contenitore vuoto che ci auguriamo possa al più presto riempirsi di attività produttive in grado di offrire alla nostra città nuove occasioni di lavoro.
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Complimenti per il vostro siti e per le vostre ricerche. La mia cara nonna ha lavorato quarant’anni nello stabilimento Cirio di castellammare di Stabia e mi parlava spesso di quei tempi, soprattutto del periodo della guerra. Oggi i resti dello storico stabilimento sono di proprietà di privati in attesa di diventare forse un centro commerciale in centro città…chissà…
Sarebbe bello qualsiasi sarà il loro destino , che si riservasse uno spazio dove documentare e mostrare la storia della cirio e di tutti gli stabiesi che vi hanno lavorato una vita intera.
Non ho nessun rimpianto per la chiusura di questo mostro dell’archeoagroindustria, ricordo le estati al mare, invaso da bucce e liquami provenienti dal fiume Sarno, non a caso alla foce sorge lo stabilimento della Ciba Geigy, il colosso della chimica per l’agricoltura. Migliaia di lavoratori stagionali e a cottimo sono stati sfruttati nei decenni, il suolo e le acque inquinati, noi per non sbagliare le conserve di pomodori ce le facevamo in casa.
la storia della Cirio, non dimentichiamolo per completezza di informazioni e notizie,si intreccia più recentemente con le vicende anche giudiziarie di Cragnotti, uno degli ultimi azionisti mi pare… La crisi forse è dovuta non tanto al terremoto, quanto a tutto ciò che vi ha girato intorno…
Mio padre Roberto Tomasich è stato direttore dello stabilimento Cirio di Castellammare di Stabia. Avevamo abitazione nella palazzina uffici, al primo piano. Poi mio padre andò a dirigere le lavorazioni a San Giovanni Teduccio. Mio nonno putativo era il Dr Oreste Carrasco, Direttore Generale del gruppo dirigeva il laboratorio Chimico. Io stesso ho lavorato nel laboratorio chimico dello zucchereficio Cirio di Santa Maria Capua Vetere prima di passare all’Italiana Zuccheri.