di Valentina Bucciero
(semplici riflessioni di una cittadina stabiese)
È sera esco dall’incontro-dibattito di Ac (Azione cattolica) tenutosi per le elezioni regionali. Sono le dieci di sera e cammino per le strade deserte della mia città, così chiassose durante la mattinata a quell’ora, invece, quasi completamente deserte. Intanto metto in ordine i pensieri, quel silenzio mi aiuta, ho ascoltato tanto … ho sentito i soliti problemi: le terme, il lavoro che non c’è, le potenzialità a disposizione non sfruttate e naturalmente una serie di proposte che se realizzate sarebbero già un bel passo avanti.
Intanto la mia mente ha materializzato i miei tormentati pensieri in un oggetto: un libricino, che pochi mesi fa, una cara amica mi aveva donato a ricordo del gruppo Fuci di Castellammare di Stabia. Quel piccolo dossier mi aveva colpito tanto, partendo dalla grafica, una macchia nera su uno sfondo completamente bianco. Un titolo, poi, che nel 1993, anno della pubblicazione, doveva aver fatto proprio scalpore: “I giovani e la camorra a Castellammare tra acquiescenza e ribellione”. Proprio quel termine acquiescenza mi aveva fatto sobbalzare. In quel libro cercavo delle risposte o forse una speranza; leggerlo per capire se qualcosa fosse cambiato rispetto ad un 25ennio prima. I giovani della Fuci, tra la primavera del ’90 ed il dicembre del ’91 si impegnarono in un’attività che proprio loro definirono semplicemente di “anticamorra”. Grazie ad un finanziamento erogato dalla legge regionale n.39/1985 realizzarono un progetto che vide il coinvolgimento dei ragazzi di 9 istituti di scuola superiore di Castellammare di Stabia, mediante la compilazione di questionari redatti da esperti e volti a verificare il grado di informazione e di sensibilità sentito nei confronti della camorra. Ai ragazzi era stata proposta anche la visione del film “Mary per sempre”, che potremmo definirlo il Gomorra degli anni ’90. A questo si accompagnò un confronto tra studenti ed insegnanti con magistrati, sociologi e giornalisti, sviluppato nella forma dell’incontro-dibattito presso i vari istituti, cercando di riflettere sulla criminalità organizzata dal punto di vista storico, giuridico e sociologico.
Erano gli anni delle grandi stragi a Castellammare. Il giornale La Repubblica in un articolo del 10 luglio 1990 definisce la nostra città “la Beirut della Campania”. La guerra tra le cosche del super-boss Michele D’Alessandro e il suo ex braccio destro Mario Umberto Imparato, che bramava di diventare capo indiscusso, insanguinavano la nostra città. Una guerra che lascia sull’asfalto un bel numero di morti, nel luglio del ’90 si contano ben 32 vittime. Questa situazione aveva mobilitato i cittadini stabiesi e soprattutto i giovani e infatti la Fuci conclude la sua attività con un incontro-dibattito aperto alla cittadinanza dal titolo: ”Contro la camorra, la denuncia, la proposta, la speranza”, a cui parteciparono Don Luigi Ciotti, il dott. Paolo Mancuso ed il prof. Amato Lamberti e come moderatore il giornalista Rai Franco Simonetti.
Anche se il taglio del lavoro era molto specifico, avevo sicuramente uno squarcio di vissuto di Castellammare agli inizi degli anni ’90 ed infatti i fucini ponevano l’accento su alcuni punti che avevano influito sullo sviluppo del fenomeno camorristico:
- il degrado dei luoghi cosiddetti di “cultura”;
- la sfiducia verso gli strumenti istituzionali proposti all’affermazione della giustizia e della libertà;
- l’errato concepimento di vedere l’insegnamento come mezzo di trasmissione di nozioni, invece che come luogo privilegiato di trasmissione del sapere;
- la mancanza di strutture scolastiche adeguate, con consequenziale effetto negativo sull’impegno e sull’attività degli operatori scolastici;
- la mancanza o in altri casi la carenza di strutture pubbliche/private che determinavano la nascita di situazioni di compromissione e di corruzione.
Leggevo e capivo che alcune situazioni non erano proprio cambiate, anzi alcune erano addirittura peggiorate. Se nulla o quasi nulla era cambiato, cosa era mancato e cosa non aveva funzionato? Perché pur avendo la consapevolezza di questi problemi dopo 25 anni l’impasse non era stato ancora superato?
La risposta era tra le righe dello stesso dossier, anzi era proprio Don Ciotti a darla, nel suo discorso riportato integralmente nell’incontro conclusivo del 21 dicembre 1991, sottolineando che una delle maggiori cause del degrado era la presenza di “una gioventù passiva, di famiglie passive, nelle quali tutto apparentemente è in regola, per cui seppur esiste un interesse per i problemi sociali, li si considera “lontani”, confinati in una sfera di estraneità, quasi che non coinvolgessero più o meno direttamente tutti”. Eccolo il problema la nostra passività, ancora oggi non sappiamo interessarci, non abbiamo la voglia di essere cittadini attivi!
Don Ciotti inoltre prosegue ed afferma che: “il peccato più grave è il peccato di omissione, un’osservazione che credo valga oggi più che mai….il disinteresse…i compromessi, i ritardi spesso imputabili alla burocrazia costituiscono tutto peccato di omissione…Va perciò ribadito che ogni forma di marginalizzazione di questi problemi costituisce un peccato sociale collettivo ed è proprio in questo ambito che la chiesa deve maggiormente, con forza, pungolare la coscienza della comunità cristiana.”
Solo quando impareremo a difendere il nostro “bene comune” potremmo risolvere i nostri annosi problemi, fin quando invece, li lasceremo fuori dalla porta, come qualcosa di avulso, che non ci riguarda, non lamentiamoci se le terme chiudono, se le scuole non funzionano, se il parco della Reggia di Quisisana è in uno stato di abbandono perenne, se i quartieri di periferia sono abbandonati a loro stessi … la mia lista potrebbe essere molto lunga, ma i miei concittadini sanno meglio di me i problemi che attanagliano la nostra città ed allora cominciamo a rimboccarci le maniche: parliamone, discutiamo, riuniamoci, perché condividendo si può creare un fronte comune per agire, per imparare ad attivarci, capendo che l’arte, la natura, le istituzioni che noi stessi abbiamo creato sono nostre ed in quanto tali devono essere difese e tutelate da chi invece ne vuole fare un bene da poter sperperare e manovrare a proprio piacimento e a danno degli altri.
La notte dei miei pensieri è trascorsa, la luce torna ad illuminare a chiare lettere una frase: “Il coraggio è denuncia di parola!”, costa denunciare per questo sono ancora pochi quello che lo fanno, spero che tra un ventennio qualcuno si ritrovi a leggere queste parole e possa dire: “Abbiamo avuto coraggio e adesso abbiamo un mondo migliore!”.