articolo del dott. Tullio Pesola
Nelle immediate adiacenze del fabbricato nel quale io abito da svariati anni c’è un locale, a livello del piano stradale, che a lungo nel tempo, di cui va gradualmente perdendosi ogni ricordo, è stato adibito ad abitazione. Anzi, c’è da aggiungere che il nuovo proprietario qualche anno fa lo ha ristrutturato e lo ha predisposto in maniera tale da potere accogliere con i suoi comforts una piccola famigliola. Esso è costituito da due ambienti. Il primo è dotato di ingresso e di affaccio sulla strada, mentre il secondo ha una finestra che dà su un piccolo cortile.
C’è da puntualizzare a tal proposito che in corso dei lavori di riattazione, esso è stato anche corredato di porta blindata che si apre nell’androne del fabbricato. Tanto per intenderci, è diventato un grazioso bon bon. Guardandolo attentamente, un osservatore non può che rimanere stupito per le dovizie in esso effettuate. All’interno, infatti, è stato realizzato un soppalco al quale si può accedere mediante una confortevole e moderna scala. Lo stesso, poi, è illuminato da una finestra che dà su via Brin. Detta finestra, inoltre, è fornita di una grata in ferro, che, se spiegata, si trasforma in un pratico stendi panni; chiusa, invece, costituisce protezione da eventuali malintenzionati. Riportandoci il ricordo agli anni del dopoguerra, si può facilmente immaginare quale fosse lo stato di questo ambiente. Per dare un’immediata idea di ciò che fosse, è sufficiente presentarlo per ciò che era: un “basso”. E’ a tutti noto che il “basso” è una piccola abitazione a pian terreno che affaccia sulla strada e raffigura l’emblema dell’antica e perenne miseria degli strati sociali più emarginati di una città. Di “essi” ci limitiamo ad aggiungere solo che hanno una storia lunga le cui origini risalgono addirittura al Medioevo. In questo tug… terraneo vivevano Michele e Nunziata, due personaggi emblematici di quello che da tanti è ritenuto il “Centro Storico” della nostra Città.
Erano stati sposati per non so quanti anni ed avevano messo al mondo un considerevole numero di figli. Li ricordo in là negli anni già quando io ero appena un ragazzetto. Tutta la famiglia, che -come ho appena detto- era numerosa, viveva in detto locale situato a livello del piano stradale e adibito dai soggetti in questione ad abitazione e.… contestualmente ad esercizio commerciale. Già, perché i personaggi in argomento erano venditori di semi abbrustoliti! Per condurre tale attività si erano procurati un carrettino provvisto di copertura in legno e di protezione a vetro lungo i fianchi e la parte frontale. Nell’area espositiva divisa in scomparti, venivano poste le noccioline, le fave, i ceci, i semi di zucca, le nocciole e, la domenica o nelle feste patronali, anche liquirizia e franfellicchi. Il tutto veniva coperto con un leggerissimo ed enorme tulle trasparente, per tenere lontani polvere ed insetti.
Naturalmente questi semi, prima che godessero della loro abituale collocazione, occorreva che venissero sottoposti agli opportuni trattamenti di tostatura. Per preparare, ad esempio, la tostatura dei ceci, era necessario un grosso pentolone, recipiente adatto per abbrustolire, dove venivano inseriti sabbia e sale. Il fuoco procurava a riscaldare questo miscuglio e, quando era abbastanza caldo, venivano introdotti i ceci che Michele portava alla cottura con continui rimescolamenti, finché si creava una patina bianca sul cece e tutto era pronto. A cottura ultimata, servendosi di un vecchio crivello da muratore, a trama stretta, setacciava il tutto, liberando i semi abbrustoliti dal miscuglio di sabbia e sale che andava opportunamente riutilizzato per ulteriori tostature.
A Nunziata, invece, era affidato il compito di abbrustolire le fave, che venivano preparate nello stesso modo; alla fine ella vi aggiungeva dell’olio d’oliva per dar loro lucentezza.
Bisogna dire, a tal proposito, che parte di questo genere di merce è stata oggi eliminata dal mercato per l’eccessiva durezza, che molti giustamente temono possa minare l’incolumità dei propri denti; se incontriamo qualche venditore che li annovera ancora tra gli altri semi, sappiate che è solo per il piacere di non fare perdere la… tradizione.
Michele, quale venditore di semi tostati, gridava “’o spasso” (per quanto potesse farlo, dato il suono che emetteva con la sua vocina così fioca ed esile, che sembrava provenire da una zampogna sfiatata) ed esaltava la sua merce con una esuberante illustrazione. Era l’unico passatempo che i ragazzi gradivano al teatrino dei pupi di via S. Caterina o per strada, ma non dimentichiamo che già nell’antica Grecia i ceci abbrustoliti venivano sgranocchiati nei teatri e nelle agorà come goloso passatempo. C’è da dire, inoltre, che anche gli adulti al suo richiamo si sentivano attratti e facilmente acquistavano.
Nei giorni di festa il carrettino si trasformava in una specie di modello di barca a vapore con tanto di vele, bandierine e fiocchi di carta colorata. Michele spingeva e Nunziata gli era di lato. Costeggiando i binari del treno che all’epoca, oltre a collegare l’allora Navalmeccanica con la stazione di Castellammare delle Ferrovie dello Stato,
erano percorsi quotidianamente dalla Littorina, con opportuna sosta davanti alla biglietteria, la cui struttura, adibita oggi ad altro uso, era situata proprio di fronte alla mescita dell’acqua della Madonna, si portavano in Villa Comunale e stazionavano in prossimità delle giostre di “Scognamiglio”, né più né meno dove si trovano quelle attuali, nei pressi del Circolo Nautico.
A rischiarare nelle sere di festa l’artistico carrettino/bancarella ci pensavano le luci delle lampadine multi colori delle luminarie. In loro assenza, però, il caro Michele accendeva (previo un accurato pompaggio tramite un piccolo stantuffo che faceva parte della struttura) una elegante lampada ad acetilene, che non aveva niente da invidiare alle attuali e sofisticate lanterne da campeggio.
Nei mesi invernali, quando diverse uscite venivano forzatamente annullate dagli inevitabili eventi piovosi, Michele e Nunziata sopperivano ai mancati proventi abituali derivanti dal “commercio” dei semi tostati con la vendita di tricchi-tracchi, scalette e fuja fuja. Clienti abituali erano, ovviamente, i ragazzi del rione “Cantiere”, che, col sopraggiungere del mese di Settembre, prendevano a rivolgere (come avviene ancora oggi per il tacito passaggio di testimone di generazione in generazione) le loro attenzioni alla sera del 7 dicembre, giorno dedicato alla lunga veglia dell’Immacolata.
Solo la domenica, al termine del “pranzo festivo”, Nunziata chiudeva la porta del basso e si concedeva insieme al marito un riposino che veniva continuamente interrotto da frequenti bussate e richiami. Allora si vedeva spuntare dalla finestrella del mezzanino un volto rugoso, mezzo assonnato, incastonato in una folta ed arruffata capigliatura bianca, che, articolando suoni talvolta incomprensibili per la totale assenza di denti, chiedeva quale fosse il motivo della bussata. Poi, con l’aiuto di un vecchio pentolino che fungeva da paniere, ritirava i soldi, consegnando con lo stesso mezzo la merce richiesta.
Cose di altri tempi che fanno piacere ricordare; la cosa che più dispiace è che questo vecchio passatempo sta per scomparire, ma … non nei sentimenti di quelli della mia generazione.
Ci conforta, però, pensare, per quanto difficile possa essere, che cu quatto cicere e summente, Michele e Nunziata hanno purtat’annanze ‘na carretta ‘e figlie”!
Dott. Tullio Pesola
Usi e costumi che facevano male a nessuno che rendevano calore e genuinità al vivere della comunità. Un bel ricordo ben riportato! Catello IZZO