a cura di Maurizio Cuomo
Quest’oggi parleremo del “torroncino dei morti”, un tradizionale dolciume dal cuore tenero, che dalle nostre parti, il 2 di novembre, giorno della Commemorazione dei defunti, si usa regalare alla donna della propria vita. Ebbene, per quanto abbia potuto ricercare, sembra che: il dove, il come e il quando abbia avuto origine questa usanza non è del tutto ben chiaro (qualcuno dalle nostre parti ha azzardato nel dire che la suddetta usanza risalga almeno a 150 anni fa, personalmente non avendone certezza e soprattutto non avendone avuto alcun riscontro documentario, preferisco evitare datazioni di sorta), per cui mi limiterò nel dire che per testimonianza orale tramandata, questa usanza era in auge dalle nostre parti già a fine ‘800, tradizione peraltro radicata un po’ in tutta la regione Campania.
In fase di approfondimento di ricerca (consultando vari blog online), ho anche appurato che qualcuno, ben più scaltro di noialtri (mi riferisco ai vicini sorrentini), è stato sicuramente meno cauto, perché pur non avendo prove certe, ha asserito che questo prodotto dolciario sia una tipicità della costiera sorrentina. Un atteggiamento irresponsabile e fazioso che non mi stupisce più di tanto, visto che i sorrentini, abili nel commercio e nel turismo, hanno il vizio di etichettare tutto ciò che capita loro a tiro (esempio tangibile possono essere: le ormai monopolizzate noci, i limoni e tutti i loro derivati, come se questi crescessero solo a Sorrento, oppure la tarantella divenuta per magia “tarantella sorrentina” e persino non ultima la nostra carrozzella che un giorno ho ritrovato come soggetto di una cartolina esposta con la seguente, furba didascalia: “carrozzella tipica sorrentina”). Fortemente rattristato per questa pseudo-mania che per mero scopo commerciale rischia di offuscare e fuorviare la vera storia ed importanti tradizioni locali, e non volendo entrare in polemica con nessuno, credetemi ci sarebbe molto da dire in merito, ma non ho la benché minima intenzione di dilungarmi, chiudo questo mio breve divagare, e rientro nuovamente sul tema proposto, proponendo a seguire due belle testimonianze di quel che oggi sappiamo di per certo sulla radicata tradizione del “torroncino dei morti”; la prima è gentilmente concessa da un nostro caro amico, il prof. Bonuccio Gatti, eccola:
“A Napoli e provincia la ricorrenza del 2 novembre si festeggia con il cosiddetto torrone o torroncino dei morti. Questa usanza vuole rappresentare il dono che i defunti farebbero ai cari vivi, nel giorno in cui questi ultimi li ricordano con la visita al cimitero. La Campania ha una lunga storia legata al torrone che affonda le sue radici al tempo degli antichi Romani. Però il torrone per la festa dei defunti è diverso da quello classico, perché si tratta di un torrone morbido a base di cacao realizzato in vari gusti: alla nocciola, alla mandorla, al pistacchio, alla frutta candita, al caffè ed altri gusti ancora. Inoltre è consuetudine, per tale festività, che i fidanzati regalino alle proprie innamorate un vassoio di torroncini assortiti oppure un torrone ricoperto, di varia forma, con una frase d’amore”1.
Altra testimonianza, però, ben più spinta, ci viene data invece da Annibale Ruccello, firma autorevole di casa nostra, che in uno dei suoi dieci scritti inediti, pubblicato peraltro come opera postuma nel 2004, così descriveva la radicata usanza:
“Per la cucina ritualizzata campana vorremmo qui ricordare i cosiddetti “torroncini dei morti”, che gli innamorati regalano alle loro fidanzate in occasione del 2 novembre.
I torroncini sono dolci di varia forma (in genere rettangolari o a forma di cuore) su cui spesso con una glassa di zucchero vengono eseguite delle scritte dal contenuto erotico o più genericamente sentimentale, anche se non mancano frasi dichiaratamente oscene.
E ci sembra che quest’ultimo esempio sottolinei appunto la forte connessione sempre presente in questo tipo di ritualità gastronomica fra la morte ed il mangiare, fra il mangiare e il sesso, connessione che si manifesta in maniera più o meno palese in tutte le usanze culturalizzate non solo dell’area campana e su cui bisognerebbe indagare in maniera più attenta di quanto si sia fatto finora”2.
Aggiungo ben volentieri una nota caratteristica elaborata dallo storico linguista napoletano Renato De Falco, che in una sua dissertazione televisiva, parlando del “torrone dei morti”, azzardò la seguente interessante simbologia: “Lo strato di cioccolata di color marrone riveste il torrone, così come la scura terra avvolge e racchiude la dolce anima che ci ricorda il congiunto, ormai passato a miglior vita”.
Qualche anno fa abbiamo prestato ai sorrentini n. 2 pastori. Li avranno fatti passare come “pastori sorrentini”?