Antonio Cimmino trascrive alcuni ricordi raccontati dal padre Raffaele
Nell’immediato dopoguerra a Castellammare c’era una confusione enorme, specialmente per la presenza degli inglesi e degli americani. Gli inglesi stavano all’AVIS e ai CMI, qui avevano un grosso deposito di materiale bellico.
Da Castellammare partivano convogli per il fronte di Cassino. Noi ci arrangiavamo come potevamo anche con il mercato nero con gli alleati. Una cosa molto redditizia fu il contrabbando del carburo, particolari pietre che mischiate con l’acqua fanno scaturire l’acetilene. Polizia e carabinieri non se ne vedevano in giro.
Gli inglesi utilizzavano come autista dei camion un prigioniero tedesco di nome Stefan, un bravo uomo abbastanza anziano con il quale prendemmo contatti. Aveva talmente conquistato la fiducia degli inglesi che usciva sempre senza nessuna scorta. Ma dove sarebbe potuto andare? Lui stesso in un italiano masticato, diceva che era contro la guerra che l’aveva privato della sua famiglia e mandato a combattere lontano. Era cattolico e ringraziava sempre Dio di non essere morto in Africa. Quando usciva dal deposito, Stefan, prima di andare a Napoli, passava per Varano e noi scaricavamo una parte del carico di carburo, dopo aver ricompensato il nostro complice tedesco.
Un giorno, mentre ero di guardia al carburo scaricato nella stradina ed in attesa del compratore, si avvicinò un contadino del posto alto e grosso che mi disse: ”Guagliò, ca’ ci sto’ pure io…”, voleva una specie di tangente. Io tirai fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni la mia Beretta calibro 7,65, gliela puntai contro dicendo: ”Pecché non rischi cumme e nuie e mò vattenne!”. Il contadino fattosi pecora rispose: ”Va bene giuvinò, stateve bbuono, nun aggio visto niente…”. Ah, se mi vedesse adesso che sono sposato, padre di figli e senza pistola, chissà quante mazzate mi darebbe!
Eravamo tutti di Scanzano. Tra noi c’era Fonzo I., che sarebbe diventato un consigliere comunale della D.C., e Franchino D’A., che sarebbe diventato un imprenditore di carburante. Io, invece, divenni saldatore elettrico del cantiere navale. Guadagnavamo molto e io giocavo e perdevo a zecchinette in una casa da gioco clandestina di Via Micheli, sempre a Scanzano. I soldi fioccavano lo stesso. Siamo stati a mangiare diverse volte da Zì Teresa a Napoli.
Torniamo a noi. La nostra, diciamo, organizzazione era efficiente perché lavoravamo spesso nel deposito inglese dei CMI assieme a mio fratello Peppe e agli altri operai di Castellammare.
Tra questi c’era Nicola C. che poi sarebbe divenuto il mio compare di nozze. Un giorno, nello stabilimento, Nicola si bisticciò a mazzate con un tizio di cui non faccio il nome e che poi saremmo diventati amici e il mio compare ebbe la peggio. Io subito mi avventai sul tizio lo “scommai” di sangue. Questi si andò a lavare in una vasca e, mentre si sciacquava disse: ”Rafele ‘e Mariù, mi ‘a pavà!”.
Dandogli un calcio in culo e buttandolo nella vasca risposi: ”Giacchè t’aggio pagà, teccoti ‘n’anticipo!”. Si misero gli altri operai in mezzo e la cosa finì lì e me ne tornai a casa.
Ma mi aspettavo una reazione quando il tizio sarebbe uscito dal cantiere e salito a Scanzano. Mi chiamò Ciccio mio cognato a casa sua a Via Partoria, in casa non c’era Teresa mia sorella, e aperto un “tiraturo” mi mostrò una serie di pistole dicendo: ”Aggio saputo. Mo’ chillo t’aspetta. Scegli, si vuò vengo pure io!”. C’erano pistole Beretta, revolver e anche una Luger tedesca. Io gli mostrai la mia Beretta e risposi: ”Songo pronto nun te preccupà. È n’a cosa che aggia risolvere sul’io”. Ciccio mi raccomandò di stare attento e di agire solo se provocato. Fortunatamente tutto si appaciò, intervennero altri compaesani e tra questi, il sempre presente amico Gennaro ‘e piscialluongo. Con il tizio, come ho già detto, divenimmo poi amici.
Con il mio futuro compare volevamo rilevare una piccola fabbrica di mattonelle, tanto erano i soldi che giravano. Ma si vede che non avevamo la stoffa degli imprenditori. L’unico spasso era il gioco delle carte. Ma questa attività porta inevitabilmente alla rovina. Per questo motivo, messo la testa a posto e sposandomi, non ho mai permesso ai miei figli di avere in casa carte da gioco, nemmeno quelle piccole per ragazzi. Quando mi fidanzai con una ragazza di Marano, conosciuta a casa di suo fratello Salvatore che abitava a Via Supportino, nello stesso fabbricato del mio amico Mimì S. e di sua moglie Idarella, cercai di calmarmi un poco. Ogni giovedì andavo in paese dalla mia fidanzata e portavo ogni ben di Dio. Mia moglie mi disse poi, quando le cose non andavano più bene per la crisi, che se avesse saputo, mi avrebbe guidato a mettere da parte i soldi invece di scialacquarli. Ma il senno del poi non serve a nulla.
Gli inglesi intanto avevano quasi abbandonato la città, con Ciccio e Gennaro che già mi avevamo fatto iscrivere al PCI, iniziammo a partecipare alle manifestazioni politiche come compagni di bae, come si dice oggi.
Mi ricordo che un giorno, dovendosi fare un comizio ad Agerola, organizzammo un camion e imbarcata una damigianella di vermouth, salimmo verso la montagna. All’altezza del tunnel alcuni paesani, dall’alto, ci presero a sassate ma noi sparammo in aria e li mettemmo in fuga. A quei tempi tutti erano armati, specie noi. L’oratore, che era un compagno di Torre o di Napoli, non mi ricordo, fece il comizio in una piazza vuota. Il prete ogni tanto faceva capolino per assicurasi che non c’erano suoi parrocchiani ad ascoltare i “senza Dio e con la coda”. Sì perché alcuni contadini credevano veramente che i comunisti avessero la coda. Poi vennero le elezioni del ‘48 e i disordini per l’attentato al compagno Togliatti. Fui condannato dalla Corte di Appello di Napoli a 11 mesi di reclusione. Ma questa storia l’ho già raccontata. La pistola? La vendetti quando entrato in cantiere, cominciò la crisi con licenziamenti di coloro che avevano più di un familiare in fabbrica; si lavorava solo tre giorni di lavoro a settimana. Seppur in forma ridotta, continuai il mio impegno politico, tanto che fino ad oggi sono conosciuto come ‘o compagnone.
I soldi che avevo guadagnato con il contrabbando, li avevo già scialacquati e cominciarono sacrifici e ristrettezze economici che non mi abbandonarono più. Come si dice: ”’E soldi d”o ‘nfinferinfì, se ne vanno cu’ ‘o ‘nfinferinfà“.
Ah, mi ero dimenticato. Prima d’o business del carburo, la “sciorta” mi risparmiò un’altra volta. Eravamo ai primi di marzo del 1944 e nella galleria di Bavano vicino Potenza, morirono asfissiati circa 500 persone tra cui alcune di Castellammare, Scanzano e Gragnano. Un treno con due locomotive a vapore per vincere la pendenza dei binari, zeppo di persone, nella tratta Battipaglia-Metaponte, si bloccò nel tunnel e il fumo denso del carbone fossile, che era di scarsa qualità, uccise quei poveretti.
“Sciorta” volle che in quel viaggio io non c’ero. Subito dopo Natale del 1943 anch’io, con Peppe e Vicienzo M. un parente per via dei Ciafagli di Via Partoria, portavamo verso la Basilicata e precisamente a Ginosa, delle merci da scambiare con olio, legumi e lardo. Riempivamo zaini di aghi per cucire, spago, rotolini di cotone, pettini, lamette da barba, un po’ di sapone e, assieme ad altri gruppi di persone della zona, andavamo in giro per le campagne per piazzare la mercanzia.
Dovevamo lottare contro l’affollamento dei carri merci sui quali eravamo imbarcati -una volta io e Vicienzo ci sedemmo a cavallo dei respingenti di un carro e ci legammo con una fune per non cadere- la Pulis americana che voleva sequestrarci le merci e, naturalmente contro altri contrabbandieri che la volevano rubare. Quando di notte ci fermavamo nelle locande, si doveva dormire abbracciati agli zaini perché c’era un arruobba-arruobba generale. Una cosa mi è rimasta impressa, quando offrivamo la mercanzia alle contadine, queste dicevamo che dovevano decidere i loro mariti al ritorno dai campi; ma si vedeva chiaramente che erano già propense a fare lo scambio, solo che davano importanza ai loro uomini che, naturalmente accettavano subito (accelerando la nostra ripartenza).
Alla notizia, quindi, della strage di Balvano, ringraziando la Madonna di Pompei per lo scampato pericolo, ci rivolgemmo verso la nuova redditizia e poco pericolosa attività con il carburo sottratto agli inglesi. Come ho già detto, sono cresciuto senza padre e sono vissuto in mezzo alla strada, senza una guida. Se avessi avuto un poco di cazzimma, come si dice, mi sarei trovato una posizione, senza pagare il pigione e senza gli acciacchi guadagnati dal mio mestiere di saldatore elettrico. Per questo ho sempre detto ai miei figli che dovendo studiare per non fare gli operai, ma gli impiegati così, in ufficio, in estate avrebbero avuto il ventilatore e in inverno la stufa!