Castellammare di Stabia di Francesco Alvino
a cura di Giuseppe Zingone
Prefazione
Dell’architetto Francesco Alvino, quando ero ragazzo conoscevo solo il nome della strada che dal Corso Vittorio Emanuele, porta in via Roma, ma questo straordinario personaggio scrittore di molti saggi ben documentati, di questo indomito viaggiatore alla corte dei Borbone, ben poco si conosce. Sono invece tanti i suoi documenti nei quali mi sono imbattuto, per diletto di ricerca per amore di Castellammare e trovo che il suo libro “Viaggio da Napoli a Castellammare” sia un bellissimo squarcio del nostro territorio della prima metà dell’Ottocento ed una infinita risorsa di notizie. Ma non era la prima volta che l’Alvino presentava la nostra Città, già qualche anno prima, mostrava di averla frequentata, conosciuta da vicino, insomma di esserci vissuto. Troppe sono le notizie dettagliate che ci propone come quando ci presenta alcune accurate tabelle della Penisola di Sorrento del Distretto di Castellammare, vengono qui illustrate, le Città, l’appartenenza delle miriadi di frazioni, il circondario al quale città e le frazioni appartenevano e la relativa Diocesi: Sorrento o Castellammare. Non vorrei dilungarmi troppo e presentarvi questo bellissimo estratto (ripreso da: La Penisola di Sorrento, descritta da Francesco Alvino, Napoli 1842, pag. 18-29 link1 e link2) che riporto per intero ma nello stesso tempo volevo partecipare ai lettori una mia considerazione relativa alla ricerca storiografica. Negli ultimi decenni l’informatizzazione di intere biblioteche e fondi archivistici, come anche quello di Napoli per non citare i privati che mettono a disposizione le loro rare perle, ha dato a tutti noi la possibilità di rileggere in formato elettronico quei testi di cui avevamo solo assaporato i titoli, grazie a locali ricercatori come il Dottor Parascandolo e il professor D’Angelo che per anni si sono misurati con gli archivi storici del nostro territorio a volte ripristinati e riordinati letteralmente.
Mi commuovo all’idea di aver chiesto ad entrambi come e dove attingere notizie sulla mia tesi di Magistero dell’Arciconfraternita dell’Immacolata Concezione e San Catello di Castellammare e di come questi due cacciatori di notizie fossero per me due cime inarrivabili. La ricerca presuppone passione ed anche tempo a disposizione; ma oggi si delineano tempi più favorevoli alla ricerca storica locale per tutti, grazie proprio a queste persone che hanno dedicato parte della loro vita, all’investigazione cartacea (vedi anche biblioteca del Liberoricercatore). Ricordo con piacere una intervista al grande Massimo Troisi (insieme a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia) nel quale l’artista napoletano interpellato sulla comicità spiega che in fin dei conti camminiamo sempre sulle orme di qualcuno che ci ha preceduto, in fondo penso che anche i grandi della nostra città sono debitori a chi in fatto di documentaristica li ha preceduti, come scoprirete nelle parole e nelle note di questo suo breve saggio.
Buona lettura
Noi partimmo da Napoli per la penisola di Sorrento li 20 febbraio del 1842. Il tempo era sereno, l’aere dolce; sorgeva il sole dal Vesuvio ed illuminava questa terra. Qual panorama! Qual vista! Sotto un sì ridente cielo, a vista di tante magiche campagne noi percorrevamo il lido della Campania. Città e villaggi si succedevano, famosi nelle favole, nella storia, per i danni sofferti da quel vulcano a piedi del quale sono fabbricati; famosi pel nome del loro fondatori e per gli avanzi di antiche opere che conservano. Di prospetto avevamo le montagne di Vico e di Sorrento, le isole di Capri, d’Ischia e di Procida; a destra i golfi di Pozzuoli e di Napoli e la ridente collina di Posillipo. Tutto concorreva ad accrescere i piaceri di quel giorno delizioso.
Dopo quindici miglia giungemmo a Castellammare. Questa città è posta sotto il grado 40° 41′ di latitudine, e 32° 38′ di longitudine, all’est del meridiano del isola di Ferro. Situata a piedi del monte Auro1 vedesi cinta da montagne che quasi a picco s’ innalzano. Sono esse conosciute col nome di estremo ramo degli Appennini Campani. Questi alti monti,2 che occupano i lati di levante e mezzogiorno, si veggono sempre verdeggiare per le folte foreste di cui sono adorni; ed offrono un quadro delizioso e passeggiate amene nella stagione estiva. Fra essi si particolarizza Faito (anticamente detto Lattario); il latte e la carne degli animali che vi pascolano è tuttora per la sua squisitezza ricercato.3
I due lati di ponente e settentrione sono aperti uno al golfo azzurro di Napoli che come un lago ellittico sembra chiuso da ridenti terre, l’altro alle fertili pianure sulle quali serpeggia il Sarno, animando nel suo placido corso moltissime macchine, ed irrigando le più fruttifere terre dell’Europa. Avanti Castellammare si veggono tuttora que’ neri scogli (Enotridi) rammentati da Plinio.
Questa città è fabbricata a riva di mare, ha larghe e pulite strade, fra le quali quella della marina si particolarizza per essere la più amena e ricercata. E adorna da vasti e belli fabbricati, e vi si conta un infinito numero di comodi alberghi. Per la campagna s’incontrano anche ad ogni passo bellissime case, taluna delle quali parimenti destinata ad uso d’alberghi. Nell’està offre Castellammare un rifugio benefico e pieno di molli delizie, allora ha l’aspetto d’una gran città popolatissima. Gli stranieri in folla vi accorrono; ed i nobili napolitani che, o per fuggire l’ardore della capitale, o pel bisogno delle acque minerali e de’ bagni, la maggior parte vi passano dei mesi. Sorgente di ricchezze per la popolazione. Su d’una delle sue colline s’innalza un castello diruto ed abbandonato, che viene comunemente chiamato la fortezza di Alfonso; ma desso fu soltanto restaurato da questo re; chè venne innalzato da Carlo I.4
Riunisce ancora questo paese a tanti vantaggi quello delle abbondanti acque potabili, le quali sono d’una limpidezza e d’una purezza impareggiabile; nelle sue strade di tanto in tanto se ne incontrano larghi fonti. Il porto di Castellammare è vasto e sicuro, e si renderà maggiormente comodo dopo che saranno eseguiti i be lavori progettati. Esso è capace di moltissimi legni; ed alcune volte vi si veggon ancorati diversi legni da guerra, essendo profondissimo il mare. Sul lido, finito il porto, sorge un vasto fabbricato, il quale è destinato per Ospedale militare. Una volta v’era in Castellammare una fabbrica di cristalli piani, stabilita dal re Carlo III,5 che poi venne trasportata in Napoli. Merita essere osservato ancora il Vescovato di questa città6 e qualche altra chiesa rinomata, pe’ loro quadri fra quali alcuni di Luca Giordano.
Dolcissimo e salubre è il clima di questo paese, essendo poco carico d’umidità.7 Però tale assertiva può riguardare soltanto la stagione delle acque, o al più da maggio a tutto settembre. In tal’epoca i monti altissimi che occupano i lati di levante a mezzogiorno, la garentiscono dagli ardenti raggi del Sole; mentre poi dagli aperti lati di settentrione e di ponente spira un’aura soave che tutta la rinfresca. In tale stagione trova anche lo straniero una dolce passeggiata nelle sue opache foreste. Ma all’opposto l’inverno, chiusa a’ raggi del sole, Castellammare è esposta interamente a’ freddi venti del nord.
La sua popolazione supera le 14000 anime compresi i villaggi. Si esercitano tutte le arti e tutt’i mestieri; ma si preferisce l’acricoltura ch’essi esercitano a perfezione, e la pesca. Nell’està, ad ogni passo, in tutti i giorni s’incontrano vasti cesti di delicati pesci, che quei naturali portano a vendere. L’inverno essi li trasportano a Napoli. Con profitto da essi si educa il baco da seta. Taluni ancora si dedicano alle arti liberali, e con successo, essendo quella popolazione di molto ingegno e costante nelle sue intraprese. Ma però a tutto è preferita la mercatura , facilitandola il loro sicuro ed accreditato porto. Vi sono moltissime famiglie nobili, e sarebbe uscire da limiti che ci siamo prefissi volerle indicare.8 Diciamo soltanto che non solo i nobili, ma ancora buona parte della popolazione sono colti, gentili ed ospitalieri. Tre giorni in ciascuna settimana si apre un pubblico mercato, ove veggonsi ogni specie di commestibili, frutta, carni ed altri generi di vittitazione.9 Immensa è la gente che vi accorre, ed è bello il vedere l’arrivo delle infinite navicelle che da’ dintorni vi approdano, ed alla loro partenza la festa, la gara nel sorpassarsi vogando.
Castellammare fin dagli antichi tempi è vantata per le sue produzioni,10 il suo suolo ferace produce ogni sorta di frutta e d’erbaggi. Nell’anno 1836 troviamo scritto aver prodotto 70000 botti di vino, che ora è ancora di molto aumentato; il suo territorio confina con quello di Vicoequense, Gragnano, Pimonte e Scafato. Le sue foreste che veggonsi fin sul vertice de’ monti, le dan legname da costruzione e da bruciare. Infinito è il numero de’ suoi bottai e dei costruttori di piccoli battelli. Nel suo cantiero mercantile annualmente si costruiscono un numero prodigioso di legni; ed in quello regio di tanto in tanto si varano legni da guerra. Il trasporto del legname da’ monti sarebbe dispendioso, e talvolta impossibile, senza il loro ingegnosissimo ritrovato. Pongono larghissime corde a pendio dalle montagne alla marina, o fra monti e monti e sulle pianure; su d’esse camminano travi, pezzi di legno e fasci da bruciare, legati ad uncini di legno; scorrono questi velocissimamente sulla corda scrosciando come la folgore: pericoloso è avvicinarsi a tali luoghi in que’ momenti, mentre è avvenuto tal volta essersi rotta la corda recando gravissimo danno a tutto ciò che l’era d’intorno.
Castellammare è surta sulle rovine di Stabia,11 o poco discosto.12 Ne’ suoi dintorni come a Sommo vetere, Carmiano e Varano in ogni tempo sonosi rinvenute antiche statue, medaglie, camei ed altri avanzi; ciò fa congetturare essere stati que’ luoghi i villaggi dell’antica Stabia.13
Stabia era governata dall’ ordine senatorio;14 avea il suo anfiteatro, le cui rovine apparivano patentemente a Varane,15 ed il suo ginnasio ed un gran numero di tempi.16 Sul sinistro lato infine dell’attuale Castellammare sorge un’amena collinetta sulla quale ora è posto un monastero de’ PP. Paolotti.17 Qui innalzavasi un magnifico tempio dedicato a Diana;18 oggi non ne rimane mica vestigio; un solo piedestallo antico è posto colà, rinvenuto sotterra nel 1585. Mentre da sette anni proseguivansi gli scavi ad Ercolano, il re Carlo III nel 1745 intraprese anche quelli dell’antica Stabia. E qui furono rinvenuti interessantissimi monumenti, i quali per l’arte, pel soggetto e pel loro interesse, sono superiori a quelli di Pompei e dello stesso Ercolano.19 Siccome allora usavasi ricovrire di nuovo i luoghi scavati, dopo averne estratto gli oggetti e le pareti, così niente dell’antico ora ne rimane allo scoverto. Pure sulle colline di Pozzano ed in altri luoghi rincontransi tratto tratto sfigurati avanzi antichi. In Castellammare esiste un infinito numero di sorgenti d’acque minerali. Esse sono celebri fin dall’antichità.20 Sorgono la maggior parte l’una poco dall’altra distante, poste quasi tutte alle radici di un monte alla fine del paese.21 In tutta la costa fino a Sorrento, ed anche in altri luoghi di Castellammare, veggonsi puranche diverse sorgenti d’acque minerali. Fra tutte si particolarizzano quelle che comunemente s’usano per rimedio. Sono esse cinque cioè: I le due acque medie le quali s’uniscono e ne formano una sola, II la sulfurea-ferruginosa, conosciuta comunemente col nome d’acqua sulfurea, III le due acque ferruginose, cioè l’antica detta del puzzillo e la nuova, IV l’acqua acidola detta volgarmente acetosella,22 V l’acqua sulfurea del muraglione, e la nuova acqua del muraglione.23 Queste cinque qualità differenti d’acqua sono state analizzate e meglio separate or sono pochi anni.24 Nel 1830 furono costruiti de’ portici, ed in seguito de’ bagni, i quali offrono un’immenso sollievo all’umanità. I tre professori Semmentini, Vulpes e Cassola nell’opera di sopra citata, dopo avere sperimentato la loro di versa proprietà, la temperatura, il loro sapore, odore e colore, il peso specifico, la quantità del gas ossigeno o azoto che contengono; infine dopo avere in quel dotto e compito lavoro analizzato le acque in tutt’i modi che l’arte e la scienza loro dettava, finiscono coll’assegnare a queste acque la giusta loro medicinale proprietà,25 il modo d’impiegarla o d’amministrarla, ed il regime a seguire. Vengono queste acque trasportate ancora in Napoli, ma sono tanto evaporate o adulterate che nuocciono in vece di giovare.
QUISISANA
Dopo avere percorso a piedi quasi tutta Castellammare, prima di pranzo ci recammo sugli asini26 ad osservare i bei boschetti e la casa del re. Quasi sulla cima del monte è posto il palazzo del sovrano, piccolo ma elegantemente fabbricato. Qui si respira un’aere purissimo; sorprende ed alletta la bella vista che si scorge, ed il vasto orizzonte abbraccia la più bella parte della baia di Napoli. La prima volta si rimane estatico a contemplarla, e lo stesso effetto produce dopo averla diverse volte riveduta, rinvenendovi sempre nuove e variate bellezze. Si sale su questo monte per una strada tortuosa, ma piana abbastanza per le vetture; essa serpeggia sulla collina fiancheggiata sempre da querce annosissime, e folte in modo da produrre un ombra continua ed opaca che fa ascendere su questo magico sito nel massimo calore dei giorni dell’està senza essere in minima parte offeso dai caldissimi raggi del Sole.
Vasti parchi ed eleganti boschetti circondano la reale dimora, intermezzati da molti viali che menano a varie gallerie e stanze, alcune delle quali da pranzo colle analoghe officine da cucina; tutte allo scoverto, formate da spalliere d’alberi distribuiti in un modo elegante. Altri viali portano in altri amenissimi luoghi, e fra essi in un teatro graziosissimo completo, in cui sono perfino i camerini per gli attori fatti di foglie in modo che difficilmente può penetrarvi lo sguardo. Questo sito vedesi ancora piacevolmente abbellito da peschiere differenti e variate, le cui acque limpidissime per mezzo di acquidotti vengono da numerosi fonti del monte Agerola, e si scaricano a Castellammare.
Ad un lato è posto un piccolo villaggio di circa 200 anime. Una notte nell’ estate antipassata, straripò dal monte superiore parte del terreno, e sepellì diverse case, nelle quali v’erano circa ventisette persone. I celerissimi aiuti e tutti i sollievi e le cure furono apprestate a quegl’infelici. Il nostro Sovrano, a cui è dovuta perenne riconoscenza e gratitudine per la cura che prende della sua popolazione, volle assistervi di persona e sollecitare le operazioni; infatti, sua sola mercè, diverse persone furono dissotterrate vive, e rividero la luce del giorno.
La casa reale fu fabbricata dal re Carlo II d’Angiò, che per l’aere salubre la denominò Casa-sana. In seguito fu ampliata dal re Roberto, che l’abbellò ancora di boschetti. Ferdinando I la donò a Pietro Nocera suo capitano, e che sotto Ferdinando II fu generale delle galere; infatti la famiglia Nocera per diversi anni l’ha posseduta.27 Finalmente fu ridotta in questo amenissimo stato in cui rattrovasi dal re Ferdinando I Borbone. Abbellendola ancora di deliziosi e variati alberi fruttiferi che qui crescono bellissimi e dolcissimi. Ed egli ne cambiò il no me in quello di Qui-si-sana.
Si vuole ancora da taluno che Carlo I d’Angiò vi avesse avuto una casa, e spesso quì venisse per conversare colle bellissime gemelle figlie di Messer Neri degli Uberti fiorentino.28 In questa casa si ritirò Ladislao allorché la peste devastava Napoli,29 evitando in questo luogo purissimo il contagio. In pari occasione Giovanna II venne a Casasana come al luogo più salubre della costa, e vi si rinchiuse con Alfonso d’Aragona suo figlio adottivo. Di quì poi si mosse Alfonso per conquistare le città della penisola fedeli ancora al partito angioino;30 e dopo aver sottoposto Vicoequense, Sorrento e Massalubrense, passò sulla costa di Amalfi per soggiogare ancora quelle città.
Note:
- Con errore è chiamato questo monte Gauro dal Capaccio, da Paolo Reggio, da Ambrogio Leone e dal Montorio nel Zodiac Marian pag 265 ed altri. ↩
- L’ altezza del monte Santangelo supera il Vesuvio per più di 600 piedi, elevandosi 4500 piedi di Parigi sul livello del ma re. Vedi De Santis. Dizion. Stat. del Reg. di Nap. ↩
- Era dagli antichi detto Lattario per l’eccellenza del latte degli animali che su di esso viveano. Vedi Galeno de Met. med. lib. V cap. 12, Procopio lib. VI. de bel. Goth. cap. 35, Simmaco lib. VI, Cassiodoro lib. XI, c. 10, ed altri. ↩
- Questo borgo, denominato borgo di Stabia, nell’anno 1226 fu da re Carlo I fratello di S. Luigi di Francia, cinto di mura, e v’inalzò due castelli, uno de’quali vicino al mare. Allora fu che prese il nome di Castello-a-mare. ↩
- Leggi il Troyli Istor. gen. del Reg. T. I. p. 2. § 3, p. 112, che ne fa menzione. ↩
- L’epoca nella quale fu istallato in Castellammare il vescovato è molto contrastata (leggi l’Ughelli nella sua ital. sacr. To. VI. de episc. Stabiens.). Taluno crede essere stato fondato nel 499, altri nel 600, nel quale anno era vescovo S. Catello suo attuale protettore. Si fa pure menzione d’un altro vescovo più antico per nome Orso, che intervenne, sotto il P. Simmaco, ad un Concilio romano. ↩
- La sua benefica aria è lodata ancora da Galeno lib. V. cap. 12. ↩
- Rimandiamo il lettore all’ opera del P. Ruggiero, Storia di Pozzano, che ne fa un elenco. ↩
- La regina Giovanna II concedè fiera a Castellammare per dieci giorni, dagli otto di gennaio a tutto S. Antonio: ora è abolita. ↩
- Vedi Columella (de R. R. lib. X.) che fra l’altro ne loda i broccoli ed i cavoli. ↩
- Asserisce uno scrittore (Gio. Piero Valeriano. Hieroglyphic. lib. XXXIX p. 417), che Romolo fu educato a Stabia; ma se avess’ egli un po’ meglio approfondito quel passo di Livio, si sarebbe accorto che Gabiis l’autore scrisse (antica e famosa città), e che poi i copisti cambiarono in Stabiis. ↩
- Come dice il P. Gio. Maria della Torra, Stor. del Vesuv. cap. II. §. 42. ↩
- Le iscrizioni rinvenute lo confermano maggiormente: una di esse dice: SIRCIVS VICTORINVS QVI BIXIT ANNOS XXXI. M. III. D. XXVI, SIRCIA FUNOSA S. FRATRI B, M. F. M. DI. La seconda rinvenuta nel suo porto è la seguente: ΠPOAΣSTEIA · AMINTE · ΠPOΣ NOAITHION · KAI · NATTIAION · EΠITHAEIOTHN · BOTAETTAI · ΣTABIOI Σ · Σ · AIφAOE · KAITOI · BPAΔHΣ · APKITEHΩN · ΠPOΣ · NPOΣTAMA OMΩN TAXTΣ · EΠTAOΔIMΠIAΔE · A· Tradotta dal CAPACCIO nella sua storia Neap. in questo modo: SVBVRBIA PORTVMQVE AD CIVIVM ET NAVTARVM COMMODITATEM SENATORES STABIENSES CONSTRVI CVRARVNT DIPHILVS QVAMVIS TARDVS ARCHITECTVS AD IVSSVM TAMEN CELER QVINQVENNIO ABSOLVIT. Bisogna leggere l’ultimo verso: quadriennio absolvit: ↩
- Come leggesi nell’iscrizione riportata dal Millante (de Stabiis pag. 6.), e dal Capaccio (Hist. Neap. pag. 900 ). Di sopra trascritta. ↩
- Leggi Capaccio nel Forestiero giorn. X pag. 1015 e segg. ↩
- Millante de Stab. diser. I. pag. 7. e seg. ↩
- Questo monastero fu fabbricato nel 1509 e venne dedicato alla Vergine col titolo di Pozzano, la cui immagine antichissima fu rinvenuta in un pozzo nel luogo ove poi s’innalzò la chiesa. Leggi il P. Francesco Lanovio: Cronich. general. ordin. Minor. v. Castell., il Montorio Zodiac. Marian. pag. 266, ed il P. Serafino de Ruggieri ne scrisse un libro. ↩
- Vedi Capaccio, Istor. Neap. lib. II. cap. 10. ↩
- Vedi le nostre Descrizioni de’ monumenti più interessanti del Real Museo Borbonico. ↩
- Fontibus Stabiae celebres, et Vesuvia rura. COLUMELLA de RR. lib. X. Vedi anche Millante l. c. p. 19 e seg. ↩
- Anticamente poco dopo la loro sorgente si mescolavano insieme formando un grosso ruscello chiamato col nome d’acqua fetente. Fu soltanto qualche anno prima della metà del secolo passato, che si conobbe che tutta questa massa d’acqua capace di muovere un mulino derivava da tre diverse sorgenti. Vedi anche Raimondo di Maio. Trattato delle acque acidole che sono in Castellammare di Stabia. 1754. ↩
- AQVAE ACIDVLAE CVIVS VIM IN PLVRES MOBOS PLINIVS OLIM COMMENDAVIT NVNC VERO COTVNNIO VAIROQVE PROBANTIBVS STVBIENSES REGIS AC POPVLI COMMODITATI CONSVLENTES P. S. AEDICVLAM HANC FAC. CVR. A. D. MDCCLXXXVII. Sorge quest’acqua e si raccoglie nell’interno della città , precisamente nel magazzino di Gioacchino Landolfo. Per mezzo d’un acquidotto passa dall’altra parte della strada in una casa sulla quale leggesi l’anzi detta iscrizione. ↩
- Queste acque sorgono fuori la città, precisamente sotto il muro che sostiene il principio della rampa di Pozzano. La prima, cioè l’acqua sulfurea del muraglione è chiusa, l’altra sorge allo scoverto. ↩
- Leggi l’opera de’ tre professori Sementini, Vulpes e Cassola. Analisi e proprietà medicinale delle acque minerali di Castellammare, fatta per ordine del Ministro segretario di stato degli affari interni. La quale è stata anche tradotta in francese e corredata di note dal Cav. de Rivaz nel 1834. ↩
- Crediamo nostro dovere raccomandare a tutti coloro a cui sono prescritte le acque di leggere l’ultima parte almeno dell’opera di Sementini, Vulpes e Cassola. Colà si prescrive la giusta quantità che debba usarsene, ed ivi son detti i gravi danni che possono avvenire a chi credendo far bene ne abusasse. In fatti l’accurato traduttore signor de Rivaz nelle sue note riporta vari esempi funesti di persone che han perduto all’istante la vita volendone bere più del necessario. Valga questa nota per coloro, i quali si curano da sè e si prescrivono le acque di Castellammare senza consultare niun professore. ↩
- È incredibile il numero prodigioso d’asini che veggonsi sulla penisola di Sorrento, e particolarmente a Castellammare. Sono per altro comodissimi mezzi di trasporto ed usati da tutti: con soli sei carlini (circa franchi 2 1/2) se ne ha uno col suo conduttore per quattro o cinque ore. Pronti in tutti i momenti bastano pochi minuti per averne un’infinità belli ed allestiti. Nel vedere che a loro ci avvicinassimo, simili all’asino di Sileno sperarono intimorirci co’ loro ragghi, ed a gara innalzarono le loro voci, corrisposti da simili ed infiniti cori che si trovavano in ogni angolo del paese (l’asino di Sileno fu collocato tra le stelle per avere intimoriti co’ suoi ragghi i giganti che assaltavano Giove. Vedi Igino Astro: Poét. II. 23.). I conduttori poi sono allegri e vivaci; la vita è per loro una continua festa. Conoscono i nomi de rinomati viaggiatori e degli stranieri che visitarono la loro penisola, ma goffamente li pronunziano. Lungo tutto il camino ti divertono cogli aneddoti; e talvolta gli ultimi venuti servono per divertire i nuovi avventori. Taluno capisce il francese e l’inglese, però tanto quanto riguarda il suo mestiere: infine si vantano istruiti di tutte le maraviglie del loro paese, e sebbene, pari a Ciceroni, asseriscano sfrontatamente paradossi grandissimi; pure bisogna avvalersene essendo praticissimi delle loro contrade. ↩
- Come dice Scipione Mazzarella, nella sua Descriz. del Reg. di Nap. p. 17. 5 scriz, del Reg. di Napoli, p. 17. ↩
- Vedi il Boccaccio gior. X nov. VI. Taluno crede che la casa di Messer Neri era in Castellammare, e che anche colà una ne avesse avuta Carlo I. ↩
- Summonte. Ist. del Reg. t. III. p. 296. ↩
- Costanzo lib. XIV, e Facio fatti d’Alfonso. lib. II. Questo autore afferma che tali città strettamente assediate, costrette dalla fame si resero, ottenendo però prima le condizioni che domandavano, e poi accettarono dentro il presidio. ↩