(di Enzo Cesarano)
L’amico Gigi Nocera diceva che sono un tormentato democristiano e un nostalgico comunista, perché cresciuto nel periodo più tragico di quella che è stata chiamata la Guerra fredda.
Castellammare di Stabia, la famiglia, la vita quotidiana… ogni cosa appariva esattamente spaccata a metà. Blocco orientale contro Blocco occidentale, Unione sovietica contro Stati Uniti d’America, Partito Comunista Italiano contro Democrazia Cristiana.
La situazione era così ingarbugliata che gli stabiesi si contendevano perfino San Catello. Gli operai comunisti del Cantiere navale per non dare soddisfazione al Vescovo democristiano e, al contempo, non fare torto al Santo Patrono inventarono addirittura la leggenda che Catello era stato il primo operaio della fabbrica e solo per questo motivo ogni volta che usciva in processione dalla Cattedrale andava a salutarli. Per non far mancare niente al “compagno santo” tutte le maestranze partecipavano ad una sontuosa colletta… la qual cosa metteva a tacere anche i più scettici circa quelle manifestazioni d’affetto non certo cattoliche.
Anche in famiglia le cose erano parecchio confuse. Dal lato paterno erano tutti ferventi comunisti, uno zio era stato per anni perseguitato dai fascisti prima e dai governi repubblicani dopo. I nonni materni invece erano fanatici democristiani, la nonna, in particolare, da piccola era stata indottrinata alla “difesa della croce” ed era solita dire una preghiera anche quando passava davanti alla sede della DC che si trovava a Piazza “Vescovato”.
Alla fine degli anni ’60 mio padre gestiva un biscottificio nel Largo Pace, neanche a dirlo questa celebre piazza era divisa politicamente: da un lato la parrocchia con don Castellano e un giovane don Mauro, tutta in difesa dei valori cristiani-democratici e dall’altra parte i comunisti nel bar di Fortunato e Cristinella e, come se non bastasse, c’era anche un circolo con l’effige di Marx dove si tenevano continue discussioni sul pensiero di John Kennedy contro quello di Fidel Castro.
Il fatto più divertente di questo periodo accadde quando il nonno Vincenzo, democristiano Doc, un giorno disse: “Guagliò ti porto a vedere il presepe”. Entrammo dint”a scola d”a Pace e salimmo all’ultimo piano dove ci accolse il padrone di casa, Gasparino, comunista convinto.
In una grande stanza c’era una scenografia enorme, bellissima, pieno di luci e di colori. Negli anni, di cui sto scrivendo, i colori erano pochissimi, la televisione e il cinema erano in bianco e nero, quindi per un bambino la visione di mille luci sfavillanti era qualcosa di favoloso.
Mio nonno guardando l’allestimento restò sinceramente ammirato e con fare tra il serio e il faceto, guardando Gasparino, disse: ”Però ‘o presepio è d”a Chiesa”. Gasparino altrettanto scherzosamente rispose: “Non hai notato bene Viciè, guarda sulla montagna più grande… ‘o pecuraro ‘nmano ten”a bandiera rossa!”.
Questi i ricordi di una città onestamente e solo apparentemente spaccata a metà che continua a vivere nella mia mente e nel mio cuore.