Brevi note su San Catello, intervista a Giuseppe D’Angelo
di Corrado Di Martino
La devozione a San Catello è qualcosa di viscerale, di profondo; ho visto non credenti e bestemmiatori, rimanere attoniti in silenzio, al passaggio della “macchina da processione”. Ho visto fedeli piangere, altri, sentire scorrere dietro la schiena, quel brivido che tocca nel profondo, senza conoscerne la causa. Ho visto petali di fiori, lentamente, cadere dai balconi. Ho visto donne in preghiera, bambini con le mani giunte seguire il corteo del Santo, altri sventolare vessilli di carta o fazzoletti immacolati. Ho visto invalidi, sospinti da amorevoli parenti in processione o ai balconi, mostrare la propria devozione a San Catello. Ho visto, fotografi, cinereporter, curiosi, agenti delle forze dell’ordine, operai speranzosi, suore, mercanti e musicanti. Una liturgia ultra-generazionale, una liturgia eterna, se rapportiamo l’eternità alla nostra esistenza passata e futura. Ma quanto conosciamo il nostro Santo? Sappiamo da dove viene il nome Catello?
In questa intervista, rilasciataci dal famoso storico stabiese e ricercatore di cultura e tradizioni locali; Giuseppe D’Angelo, viene spiegata, mentre la processione procede lenta, l’etimologia del nome Catello; è un nome latino o, etimologicamente, è greco? Intanto, riprendendo un’idea, un desiderio mai realizzato di don Gennarino Somma, il professor D’Angelo, invita la cittadinanza e le forze sane, a mobilitarsi per proporre San Catello, Patrono di Stabia, come Santo Protettore dei rifugiati, degli esuli, dei perseguitati da guerre e violenza. Il 15 gennaio di ogni anno, ricorre la giornata mondiale del rifugiato e del migrante, festeggiarne il Santo Protettore il 19, sarebbe un inestimabile vanto per la città.