Antichi mestieri stabiesi
Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.
Maurizio Cuomo
Venditore ambulante di frutta secca e semi abbrustoliti
( a cura di Gioacchino Ruocco )
“‘O fummo… ‘o fummo…” il grido a voce stesa non importunava i passanti o quelli che percorrevano il lungomare avanti e indietro, ma erano gli umori che provenivano dall’involucro di latta nel quale venivano tostate le noccioline americane: spandendosi nell’aria a secondo dell’andamento della brezza investivano in maniera allettante le narici di quelli che si approssimavano al carrettino dove l’apparecchio era installato. ‘O fummo…. ‘o fummo… Non era quello delle sigarette, che pure se ne consumavano parecchie percorrendo e ripercorrendo il lungomare, ma quello che un nostro compaesano (che un giorno apparve sul lungomare come un fulmine a ciel sereno, quasi vicino alla cassa armonica con carrettino sul quale esponeva la sua mercanzia), produceva con la macchinetta che utilizzava per tostare gli arachidi, le cosiddette noccioline americane durante la fase di tostatura. Il piano del carrettino era organizzato in riquadri, realizzati con cantinelle di legno, in modo da separare un prodotto dall’altro. La frutta secca anch’essa in vendita, veniva protetta dalle mosche e dalla polvere con un velo bianco. I semi in vendita (tostati e semitostati) andavano dai pistacchi alle noccioline americane, dalle fave ai ceci, dai semi di zucca alle carrube, agli stecchi di liquirizia, dalle castagne secche o piste a quelle del prete, alle nocciole sgusciate, ecc. ecc., senza dimenticare i lupini e il cocco ‘mmunnato e buono” con tutti gli eccetera che possono ancora seguire. All’inizio si presentò con un banco modesto che venne modificato nel tempo per ospitare altri prodotti, l’ambulante che aveva una stazza superiore alla media, aveva i capelli leggermente ondulati che coprivano tutta la testa e lo rendevano più imponente di quello che in realtà era. La sua divisa da lavoro era un golf di lana a maniche lunghe che indossava su una camicia quasi sempre di colore chiaro, per difendersi dalle brezze della sera che nella postazione che ormai aveva conquistato assumevano un moto convettivo più veloce e si facevano sentire fino a pizzicare la pelle mettendo anche qualche brivido addosso. ‘O fummo…. ‘o fummo… Fino a che son rimasto a Castellammare, cioè a casa, in quanto non avevo ancora trovato un posto a terra (come uno del nautico era solito dire), lo ricordo nei pressi della cassa armonica o un po’ più avanti, quasi di fronte alla sede della Juve Stabia. Le chiacchiere ci riempivano la testa, come sanno bene i miei compaesani, come pure ha raccontato Michele Prisco nel romanzo “Figli difficili” ambientato nel dopo guerra a Castellammare di Stabia, ma i semi scalmando i morsi della fame rappresentavano un rifornimento assicurato che ritrovavi al ritorno (se ancora ne avevi voglia), utile ad alleggerire le tensioni che le parole inevitabilmente producevano senza una soluzione immediata al problema in discussione. I soldi erano ben spesi in quanto i prodotti erano sempre di giornata, mai una volta che c’era da scartare qualcosa e i prezzi modesti. Quel carrettino era diventato soggetto del paesaggio serale, dall’imbrunire a sera inoltrata e la domenica orario speciale e prolungato. Non ho mai saputo di che rione fosse: a fine serata scompariva nel buio della prima traversa come nel nulla. Da quando me ne partii non ho avuto più modo di passare una sera sul lungomare nonostante i miei ritorni e, quindi, non so se c’è ancora qualcuno che vende frutta secca e semi tostati gridando di tanto in tanto: “ ‘O fummo… ‘o fummo…”.
Sicuramente, oggi, la voce di richiamo dovrebbe essere diversa in quanto ‘o fummo richiama alla mente altri prodotti che “non sono mica noccioline”.