Leopoldo Siano, storia di un fascista stabiese
di Raffaele Scala
La prima parte del lavoro che segue è tratto da un documento finora inedito ed è la lettura di un interrogatorio subito da Leopoldo Siano dopo il suo arresto, avvenuto alle sette del mattino del 26 aprile 1945 presso l’abitazione paterna al Corso Vittorio Emanuele, 65. L’arresto fu effettuato dal maresciallo maggiore Giuseppe Nusco e rinchiuso lo stesso giorno nel carcere di Poggioreale. [1]
Naturalmente durante l’interrogatorio Siano negò ogni suo coinvolgimento nel movimento neofascista, sorto a Castellammare nei mesi successivi alla caduta del duce, Benito Mussolini e dell’intero regime fascista. Come lui stessi confesserà anni dopo, agli inquirenti raccontò, un sacco di fesserie,[2] ma non servì a nulla perché le menzogne non lo salvarono, su disposizione delle autorità militari alleate, da una condanna a sei mesi da scontare nel famigerato campo di concentramento di Terni, cosiddetto, campo R, gestito dalle truppe d’occupazione militari inglesi. Non tutti furono d’accordo sulla pena di sei mesi, ritenuta mite, per alcuni l’internamento deve durare fino a che la situazione politica interna lo consiglierà.[3] Qualche mese dopo sarà trasferito nel campo di concentramento di Padula, in provincia di Salerno, dove sconterà il resto della pena.
L’accusa nei confronti di Siano non era leggera, secondo le dichiarazione di altri arrestati, faceva parte di un quadrunvirato che gestì il reazionario movimento stabiese, atto a sovvertire le nascenti istituzioni democratiche.
Ma al momento leggiamo la sua versione dei fatti. Poi racconteremo il resto della storia, parte della quale lui stesso ammetterà successivamente, negli anni a venire, senza mai negare la sua fede fascista.
1. Le false verità di Siano
Questionario per il SI, Servizio Informazioni, sull’interrogatorio di Siano Leopoldo
Primogenito di cinque figli, Leopoldo Siano nasce a Castellammare di Stabia il 16 aprile 1920 da Leopoldo, negoziante di carboni al Corso Vittorio Emanuele 65, nello stesso stabile dove si trova pure l’abitazione, e da Maria Di Navi, casalinga. Un fratello minore di un anno, Silvio (1921 – 1990), diventerà un giorno il famoso regista di tanti film girati nella nostra città, tra cui il più famoso fu, Soli per le strade, che partecipò fuori concorso al Festival di Cannes nel 1954. ricevendo anche un riconoscimento, e fu utilizzato negli USA dalla Fondazione americana, Foster Parents per promuovere le attività di protezione dell’infanzia abbandonata.[4]
Gli altri germani sono Gustavo, Mario ed Elena.
Il piccolo Leopoldo frequenterà le classi elementari nell’istituto, Sandro Mussolini, poi cambiato nel secondo dopoguerra con quello di Basilio Cecchi, che di quell’istituto fu emerito direttore didattico dal 1905 al 1932, anno della sua morte. Successivamente si iscriverà al ginnasio Plinio Seniore, ripetendo il quarto anno. Frequenterà a Roma un corso di addestramento per ricevere la nomina ad istruttore di Educazione Fisica. Verso la fine di gennaio del 1940 sarà chiamato alle armi e destinato al 15° Fanteria, partendo un mese dopo per l’Africa Settentrionale, destinazione Libia, ma durante la navigazione, cadendo, si ferisce alla gamba sinistra e costretto, una volta sbarcato, a ricoverarsi per due settimane all’ospedale Basetti di Tripoli.
Aggregato al 4° Reparto paracadutisti, vi rimarrà un mese prima di rientrare nel suo Reggimento d’origine, seguendo vari spostamenti ma senza partecipare ad azioni belliche, almeno fino a dicembre quando parteciperà a scontri con i ribelli arabi di nazionalità francese.
Affetto da nefrite sarà di nuovo ricoverato nell’ospedale di Tripoli nel febbraio del 1941, fino ad essere rimpatriato e ricoverato nell’ospedale militare di Pagani (SA) verso la metà di marzo ed infine congedato per la predetta infermità, con assegnazione di una pensione temporanea di guerra. Sul finire di dicembre 1941 riceverà una richiesta scritta dal Fascio locale di passare dalla militanza dei Giovani Fascisti, di cui era stato capo manipolo, ai Fasci di Combattimenti.
Conseguita l’abilitazione magistrale presso il Regio Istituto di Pozzuoli, ottiene nell’ottobre 1942 l’incarico di insegnante di Educazione Fisica in diverse scuole, tra cui l’istituto di Avviamento professionale di Pozzuoli, la scuola Agraria di Gragnano e la scuola media di Castellammare di Stabia.
Caduto il fascismo si astiene da ogni attività politica, raggiungendo la famiglia paterna a Pareti, una piccola frazione di Nocera Superiore, dove era sfollata. Il 10 settembre si recherà nella città natale per ritirare dei viveri, ma il giorno dopo, intorno alle ore 13, mentre si accinge a far ritorno a Pareti, nota che militari tedeschi dal porto sparano contro un motoscafo italiano che si trova al largo. Decide quindi di rimanere a Castellammare, quando per strada incontra gli amici Melchiorre Ragone, Tullio Maggiorano e Francesco Sorrentino, con i quali decide di recarsi presso il presidio del comando militare italiano e di mettersi al loro servizio per combattere contro i tedeschi. Il comandante del presidio il colonello, Oliviero del Castillo in un primo momento rifiuta l’offerta e di consegnare le armi richieste dai quattro giovani, ma dietro la loro insistenza ottengono infine alcune bombe a mano. Senza perdersi di coraggio i quattro coraggiosi, con altri sei militari del presidio tentano di raggiungere il cantiere navale, dove si svolge una furiosa battaglia tra marinai italiani e soldati tedeschi. Qui una scarica di mitraglia investe il gruppo di soccorritori, colpendo uno dei militari, un giovane genovese. Siano risponde al fuoco nemico lanciando tre bombe a mano. Poco dopo con l’aiuto di Francesco Sorrentino ed un altro giovane, che nel frattempo si è aggregato al gruppo, tale Esposito e due militari, trasportano il ferito in ospedale, dove poco dopo cessa di vivere. Tornato a casa, si nasconde sui tetti, e da questa postazione vede una compagnia di militari italiani che vanno incontro ai tedeschi. Richiama la loro attenzione per indicare dove si è posizionato il nemico.
Lo scontro a fuoco inizia quasi subito e quando uno dei nostri rimane ferito non esita a trasportarlo a casa sua prestandogli le prime cure. Ancora carico di adrenalina, si impossessa del suo fucile e di alcune munizioni con l’intenzione di partecipare agli scontri armati, ma non ha nemmeno il tempo di scendere in strada. Da lontano vede sopraggiungere alcuni carri armati tedeschi. Senza pensarci sopra rientra in casa e dal balcone vede un giovane civile ferito a terra. Di nuovo in strada, con l’aiuto di un certo Di Capua e di un vigile del fuoco trasporta il ferito al vicino ospedale San Leonardo, all’epoca situato in piazza Municipio, rientrando subito dopo a casa per mettersi al sicuro dalla guerriglia urbana. Gli scontri, durissimi e impari, stanno provocando morti e feriti nelle strade cittadine, ambo le parti.[5]
Il giorno dopo viene informato da una sua conoscente, tale signora Mutti, che abita nel palazzo in cui è situato anche il Banco di Napoli, non lontano dalla sua abitazione, di essere ricercato dai tedeschi a seguito di una delazione fatta da uno squadrista del luogo. Senza esitare decide di ritornare a Pareti, ma in prossimità di Ponte della Persica viene catturato dai germanici, riuscendo, fortunosamente, a fuggire dopo neanche mezz’ora. Decide allora di ritornare precipitosamente nella sua abitazione. Il mattino dopo viene raggiunto dal fratello Mario e dal padre, recatosi, intanto, a loro volta a Castellammare, preoccupati per la sua prolungata assenza e con loro si mette in viaggio, raggiungendo Pareti a piedi. Vi rimane fino ai primi di ottobre, quando, intorno al giorno 10, scomparso ogni pericolo, l’intera famiglia Siano decide di fare ritorno nella città stabiese, nella sua abitazione al Corso Vittorio Emanuele. Nei giorni successivi si iscrive all’Università, Facoltà di Letteratura francese, nel frattempo continua a insegnare Educazione fisica.
Un giorno di maggio del 1944, trovandosi a scuola a conversare sull’andamento della guerra ancora in corso, con i professori Andrea Luise[6] e Giuseppe Abbate, quest’ultimo si dice convinto che la Germania vincerà sicuramente la guerra e che non bisogna lasciarsi impressionare dai rovesci momentanei ai quali si assiste ormai da molti mesi.
– Le forze nazi fasciste riusciranno a capovolgere i fronti e trionfare – afferma con eccessiva sicurezza e tracotanza il professore, incurante che le sue parole gli possono costare caro nel nuovo clima antifascista che si respira nell’Italia liberata. Come se non bastasse sono presenti in città le truppe di occupazione anglo americane che di fatto governano Castellammare, mentre il Comitato di Liberazione, presieduto dal comunista Pietro Carrese – succeduto al democristiano Silvio Gava – ancora redige liste di proscrizione per quanti si sono macchiati di connivenza con il defunto regime.
La replica del giovane Siano non si fa attendere, affermando convinto:
– Le battaglie in corso parlano chiaro e mi pare che non vi è speranza alcuna per una possibile vittoria.
Nei giorni successivi Abbate non perde occasione per ribadire la sua ferma convinzione sulla vittoria finale della Germania, anzi non solo si dimostra sempre più convinto delle idee che va professando con forza ai quattro venti, ma arriva a rimproverare Leopoldo Siano perché ha combattuto contro i tedeschi e sta addirittura collaborando alla formazione di un reparto di boy scout esploratori. Ormai quella del professore Abbate è una continua cantilena, un monotono ripetere che il Terzo Reich vincerà la guerra e senza timore sostiene, imperterrito, la sua farneticante ideologia fascista, fino ad arrivare ad indurlo a propagandare le stesse idee, tentando di coinvolgerlo nella sua trama di reazionario incallito.
Un giorno di gennaio del 1945, Siano, recandosi alla stazione della Circumvesuviana per prendere il treno diretto verso il capoluogo, incontra il professor Abbate, anche lui diretto a Napoli e fanno il viaggio insieme. Arrivati alla Galleria Umberto s’incontrarono con Francesco Ramagli e Rosario Ioele, amici dell’Abbate che glieli presenta. Siano non sa chi sono questi due e con loro scambia solo poche parole prima di lasciarli per andare dal medico, col quale ha un appuntamento per farsi visitare. Alcuni giorni dopo, incontrandosi di nuovo casualmente per strada, l’Abbate, instancabile, riprende le sue teorie sulla vittoria finale della Germania, addirittura è convinto che la stessa idea fascista ben presto si riaffermerà. A garantirgli questo sono persone altolocate bene informate dei fatti.
Ormai convinto che il professore Abbate tenti con ogni scusa di incontrarlo e di persuaderlo ad entrare nel nuovo movimento costituito da fascisti irriducibili, gente pericolosa, incapace di arrendersi all’evidenza dei fatti, Leopoldo Siano prova ad evitarlo in ogni modo, fino a quando non se lo trova di nuovo davanti, ancora una volta nella stazione della Circumvesuviana, stavolta di Napoli. Abbate gli dice che deve recarsi a via Chiaia per degli acquisti e lo convince ad accompagnarlo. Giuntovi Abbate compra dei fogli di cellophane. Nel tornare passano per la Galleria Umberto dove incontrano le stesse persone viste in precedenza, tra cui Rosario Ioele. Dopo i convenevoli di turno, quest’ultimo chiede ad Abbate:
– E allora Abbate, come vanno le cose a Castellammare?
Il professore risponde con un laconico
– Bene!
Rosario Ioele allora, senza altri preamboli, informa i presenti sulla situazione bellica e politica. Stando alle sue affermazioni si presenta bene per i nazifascisti, ed è da ritenersi ormai prossimo un capovolgimento politico, senza comunque entrare nel merito di queste affermazioni. Farneticazioni senza nessun riscontro nella realtà dei fatti, ma ancor di più il giovane Siano è stupito di quelle pericolose affermazioni fatte in sua presenza, in piena libertà, senza problemi. Eppure Rosario Ioele e Giuseppe Abbate dovevano essere consapevoli di commettere un reato nell’affrontare temi disfattisti, passibili d’arresto in caso di una sua denuncia. Infine Siano si convince che probabilmente i due danno per scontata la sua adesione al movimento clandestino e quindi lo considerano, sbagliando, a tutti gli effetti, uno dei loro.
Consapevole di poter essere coinvolto in una trama di illegalità, Siano pensa in un primo momento di denunziare Giuseppe Abbate alle autorità giudiziarie, ma poi non ne fa più nulla, pensando che il professore è l’unico sostegno della madre vedova, una povera vecchia nullatenente. Siano rimugina per giorni sul da farsi, infine non potendo tenere per sé quanto sa, si confida con l’amico Gaetano Di Capua, uno studente universitario in ingegneria, segretario della sezione del partito comunista di Castellammare. Per farlo si reca presso il circolo Artistico, luogo solitamente frequentato dall’amico, anticipandogli che gli deve comunicare fatti di natura politica molto gravi.
Noi non sappiamo cosa gli consiglia il segretario della sezione comunista, Siano non lo racconta, ma di fatto non denuncia il professor Abbate. In compenso prepara una denuncia anonima da inviare al commissariato di Pubblica sicurezza, in cui scrive testualmente: Prego sorvegliare il prof. Abbate quando si reca a Napoli. Anche questo tentativo di denuncia rimane lettera morta, in quanto, ancora una volta, gli viene meno il coraggio e non la spedisce.
Una sera, trovandosi presso la sezione locale del partito Liberale, viene invitato dagli amici, Canzanella, Pupetto Dolce e Giovanni Bruno ad aderire al loro partito. Siano tentenna poi afferma sicuro di sé:
– Prima di abbracciare una fede politica ho delle importanti dichiarazioni da fare – e così dicendo si appresta a raccontare le trame ordite dal professor Abbate, ma ancora una volta gli viene meno il coraggio e tace.
2. La verità storica
Con questa affermazione si chiude l’interrogatorio di Leopoldo Siano e, come abbiamo già letto, negare l’evidenza non lo salverà da una condanna a sei mesi da scontare nel campo di concentramento di Terni[7] prima e a Padula poi.
Lo stesso Siano in una sua testimonianza rilasciata l’8 novembre 1998 in un Convegno tenutosi presso l’Istituto di Studi Storici Economici e Sociali (ISSES) di Napoli, dichiarerà pubblicamente di aver accettato, senza esitare, la proposta avanzata dal camerata Giuseppe Abbate, quando gli propose di partecipare all’attività del fascismo clandestino. Anzi, non esiterà ad affermare di aver ingannato gli agenti che lo interrogavano raccontando, un sacco di fesserie. Se questo è vero, dobbiamo dubitare anche di tutte le sue azioni di combattente partigiano contro i tedeschi, in quelle drammatiche giornate di settembre del 1943, quando rientro da Pareti per rifornirsi di cibo? Azioni raccontate per rifarsi una verginità politica nei confronti delle Forze Alleate e del Comitato di Liberazione? Del resto mentire, sostenendo di avere in qualche misura aiutato la Resistenza, fu la parola d’ordine, a livello nazionale, della maggior parte dei fascisti e gerarchi arrestati. In tanti, grazie anche alla benevolenza delle commissioni giudicatrici, riuscirono a ottenere attenuanti e relative riduzioni di pena, fino alla completa riabilitazione.[8]
A capo del gruppo neofascista stabiese, ricorda il professore di Educazione fisica, vi era Rosario Ioele[9] mentre Abbate manteneva i contatti con la direzione napoletana. Alla testa del movimento clandestino napoletano vi erano l’avvocato Ferdinando Di Nardo (1918 – 1996), futuro deputato del Movimento Sociale Italiano per tre legislature e il suo vice l’architetto Antonio De Pascale.
Il gruppo stabiese di neofascisti, nei ricordi di Siano era composto da Raul Filoni, Bruno De Fusco, Giuseppe Sica, Dante D’Auria, Nicola Santarpia, Gaetano Cappetelli ed altri di cui non ricorda i nomi.[10] Fu, per sua ammissione, il meno attivo del gruppo clandestino, ma solo perché impegnato nell’insegnamento della scuola, professore di Educazione Fisica al liceo e in quanto praticava diverse attività sportive che non gli lasciavano molto tempo libero da dedicare alla politica. Altri giovani impegnati in questa avventura senza sbocco furono Salvatore Polito, Giovanni Vallese Bebè Savastano, Antonio Salvati e tali Rosetti, Cavazzini e Giliberto, non meglio identificati.
Non durerà molto la sua avventura clandestina, cessando con il suo arresto, avvenuto il 26 aprile 1945, ma vediamo come lui stesso ricorda quel giorno:
Quando vennero ad arrestarmi a casa, mi affacciai da una finestra e vidi appostata, davanti al mio portone, addirittura una mitragliatrice.
Il maggiore Pecorella in persona (capo del controspionaggio di Napoli) guidava zelantemente le operazioni di perquisizione. Rivoltarono sottosopra tutta la casa.
Non trovarono nulla, ma mi portarono ugualmente con loro. – Per cinque minuti – dissero.
Cinque minuti che durarono diciotto mesi.
Mi portarono a Poggioreale (il carcere di Napoli) nella cella n°5 del padiglione Italia.
Mi sottoponevano ad interrogatori stringenti, anche di notte. – Raccontaci di quello che hai fatto dalla 5^ elementare in poi -. Gli raccontai un sacco di fesserie. Venivano anche di notte. Avevano preso l’abitudine di entrare silenziosamente nella cella mentre dormivo e mi saltavano all’improvviso addosso in due.
– Conosci questo? – Mi chiedevano se conoscevo un tal Wessel.
Mi ero stancato di questa loro ottusa insistenza, così decisi di dormire di giorno e restare sveglio di notte, in attesa della solita visita.
Appena provarono a saltarmi addosso, fui lesto a scansarmi più in là, in modo che al buio sbatterono la testa contro il muro; non contento di ciò, essendo allora un buon pugile, tirai anche loro addosso una scarica di pugni ben assestati.
Mi mandarono in cella di rigore per venti giorni.
Dopo la caduta del fascismo a Castellammare di Stabia, come nel resto d’Italia vi fu una corsa a nascondere il proprio passato da parte di quanti avevano indossato la camicia nera e in molti provarono a rifarsi una verginità aderendo ai nuovi e antichi partiti che si erano opposti al vecchio regime. In particolare la corsa fu verso il Partito comunista italiano e, in un secondo momento, quando fu chiaro che nessuna rivoluzione avrebbe insanguinato il nostro Paese, la Democrazia Cristiana. In molti, la maggioranza restarono a guardare l’evolversi della situazione, ma in tanti vissero come un tradimento l’arresto di Mussolini, la caduta del regime, l’armistizio e il voltafaccia nei confronti della Germania. In particolare tra i giovani non mancò chi si sentì in dovere di difendere l’onore italiano partendo verso il Nord per arruolarsi nelle fila della Repubblica Sociale Italiana. Combatterono al fianco della Germania contro l’avanzata delle Forze Alleate e parteciparono attivamente ai vari rastrellamenti contro i partigiani e ai massacri di civili innocenti, ci fu chi cadde in combattimento, altri fucilati sommariamente, la maggioranza graziati e rimandati a casa. Fu una inutile, barbara, orribile guerra civile, con inutili crudeltà ed estrema ferocia. A pagare più di tutti furono donne, uomini e bambini, l’inerme popolazione di borghi e paesi, con case distrutte, incendiate e tanti innocenti massacrati per futile vendetta. Dieci civili per ogni tedesco ammazzato dai partigiani, la più stupida e orribile delle leggi di guerra. Molti altri aderirono alla rete clandestina costruita dal principe Valerio Pignatelli in tutto il Mezzogiorno, con particolare ramificazione in Campania, Calabria e Puglia.
Secondo alcuni storici la strategia del terrorismo nero trova la sua origine proprio in questo biennio 1943–1945, radici che affondano nella vasta galassia neofascista, ampiamente utilizzata dai poteri deviati dello Stato, arrivando a teorizzare la cosiddetta Teoria degli opposti estremismi, per combattere l’avanzata del Pci di Enrico Berlinguer nella prima metà degli anni Settanta. Altri morti innocenti da Piazza Fontana in poi, nell’ormai lontano e dimenticato dicembre 1969, la madre di tutte le stragi.
Intanto torniamo agli anni Quaranta, alle vicende collegate all’interrogatorio subito da Leopoldo Siano e a quanto accadde nella nostra città. Castellammare non fu da meno e quando fra gli studenti che non avevano ancora aderito a nessun partito politico corse voce che si stava riorganizzando un movimento fascista, su iniziativa di un certo Rosetti, a sua volta uno studente universitario, non mancarono quanti pensarono di riscattare l’onore perduto iscrivendosi con incosciente entusiasmo. Questo Rosetti, così come faceva e diceva il professor Giuseppe Abbate, quasi fosse un refrain imparato a memoria, ai neo adepti ripeteva la sua incrollabile fiducia nella ripresa nazista e fascista e con ciò li invitava a svolgere attiva propaganda fascista fra amici e conoscenti. Così come raccomandava a ciascuno di loro il massimo riserbo, rimandando ogni azione positiva al momento in cui i tedeschi sarebbero passati all’offensiva sul fronte italiano.[11] Per galvanizzare gli aderenti Rosetti distribuì ai neofiti alcune copie del libro di Roberto Farinacci, La storia del Fascismo, una copia dell’ultimo discorso di Mussolini, tenuto al Teatro Lirico di Milano il 16 dicembre 1944 alla Guardia Nazionale Repubblicana, e un foglio con le date degli avvenimenti notevoli verificatisi nella Repubblica Sociale da far circolare tra aderenti e simpatizzanti.
Intanto le adesioni non mancavano, consentendo al movimento di infoltirsi sempre di più, fino a quando fu deciso di suddividersi in piccoli gruppi per ridurre il pericolo delle delazioni, raccomandando di mantenersi in contatto tra loro solo con uno di ciascun gruppo. Era buona norma, quando si usciva, di munirsi di manganelli, per ogni evenienza. Conosciamo la composizione di uno di questi gruppi, formato da Salvatore Polito[12], Antonio Salvati e Giovanni Vallese. Gli aderenti portavano come segno di riconoscimento un aquiletta metallica all’asola della giacca.
Il gioco non durò molto, nella primavera del 1945 l’intera rete cessò di esistere con l’arresto dei suoi massimi dirigenti, tra cui il famigerato Rosario Ioele, e il fermo della maggior parte dei componenti, interrogati, diffidati e rimandati a casa dopo poche settimane di carcere. Più di uno si ravvedrà, iscrivendosi al Pci, oppure avvicinandosi agli altri partiti democratici, la maggioranza entrerà compatta nella fila del Movimento Sociale Italiano, partito sorto nel 1946.
Leopoldo Siano continuerà ad insegnare nel liceo classico Plinio Seniore. Impegnato nello sport, in particolare con la pallacanestro, negli anni sessanta diede vita alla palestra di via Alvino che in breve tempo divenne centro di aggregazione delle nuove generazioni appassionate di pallacanestro.[13]
Chi legge potrà, se vuole, contribuire a riempire i vuoti degli anni successivi al 1945, fino alla sua scomparsa, di cui ignoriamo la data.
Inviare le eventuali informazioni e foto a raffaele_scala@libero.it
Note:
[1] Ufficio Storico dello SME, Fondo SIM, 1° Divisione 1-11, buste 171,172
[2] Cfr. Il dissenso clandestino 1943 – 1945 nelle regioni meridionali occupate dagli anglo americani, Atti del Convegno tenutosi a Napoli l’8 novembre 1998. Testimonianza di Poldo Siano.
[3] Ufficio Storico dello SME, cit.
[4] Repubblica, Ed. Napoli del 1 dicembre 2014, art. di Antonio Ferrara: Omaggio a Silvio Siano, il neorealista di Castellammare.
[5] Per maggiori particolari sulla Resistenza a Castellammare di Stabia cfr. Raffaele Scala: Settembre 1943. I partigiani di Castellammare di Stabia e Quei terribili giorni del 1943, entrambi su www.liberoricercatore.it
[6] Andrea Luise (1877 – 1947), professore di francese, fu uno dei primi, battaglieri socialisti nella Castellammare d’inizio ‘900 a fianco di Raffaele Gaeta ed altri militanti e uno dei primi consiglieri comunale del Psi. Massone dichiarato, fu Presidente della Loggia stabiese, Pittagora, con sede in Piazza Vesuviana, oggi Piazza IV novembre, fino a quando non fu distrutta da un misterioso incendio, pare ad opera di una squadra fascista intorno al 1926. Ritroveremo il vecchio professore nel secondo dopoguerra tra i fondatori, con l’albergatore e giornalista Achille Gaeta, della sezione stabiese del Partito d’Azione, forte di oltre 200 iscritti.
[7] Il famigerato campo di concentramento di Collescipoli (Terni), era gestito dai militari inglesi ed era una struttura divisa in tre parti, il principale si trovava nello stabilimento Saiga, mentre gli altri due furono ricavati dallo stabilimento Spea e da un campo militare. In quello principale fu rinchiusa anche la moglie di Mussolini, Rachele con i figli Annamaria e Romano.
[8] Cfr. Matteo Dominioni: Epurazione e continuità delle classi dirigenti, dal 1943 al 1953. Una prima ricognizione.
[9] Rosario Ioele era nato a Cotronei, in provincia di Catanzaro il 31 maggio 1911, ma abitava a Napoli con la sua famiglia, fu arrestato il 27 aprile 1945 dagli agenti del Centro per il Controspionaggio (SIM). Era il braccio destro del principe Valerio Pignatelli e capo riconosciuto del fascismo clandestino napoletano da marzo 1944, a seguito dell’arresto del suo fondatore e degli altri luogotenenti, Ferdinando Di Nardo e Antonio De Pascale.
[10] Cfr. Il dissenso clandestino 1943 – 1945 nelle regioni meridionali occupate dagli anglo americani, Atti del Convegno tenutosi a Napoli l’8 novembre 1998. Raul Filoni passerà poi nelle file comuniste prendendo la tessera del Pci
[11] Ufficio Storico dello SME, Fondo SIM, 1° Divisione 1-11, buste 171,172
[12] Salvatore Polito, nato il 13 dicembre 1925, fu uno dei duemila deportati dai tedeschi il 23 settembre 1943. Con altri fu caricato su un autocarro e portato a Sparanise, dove era stato allestito un campo di concentramento. Per sua fortuna riuscì a scappare e tornare a piedi a Castellammare. La sua militanza clandestina cessò il 27 aprile 1945, quando fu fermato dai carabinieri e accompagnato al centro di smistamento di Napoli per essere interrogato.
[13] Cfr. relazione di Giuseppe Angiò tenuta il 12 febbraio 2016 all’Hotel Stabia durante la presentazione del libro, Il Basket stabiese dalle origini al 1980