nei ricordi di Paola Greco
“Guagliune, mancano quatte mise a Natale!”. Con questa frase papà metteva irrimediabilmente fine alle vacanze estive facendoci passare, in maniera brusca e definitiva, dal 15 agosto al 25 dicembre.
Non che i mesi precedenti fossero, come dire, liberi dal condizionamento presepiale/natalizio ma da quel momento, diventava tutto un insieme convulso di impegni da onorare, di consegne da effettuare, di visite da fare e, ovviamente, di preparazione alla festa più importante dell’anno.
Il Natale in casa Greco non rappresentava solo una festività da calendario o una ricorrenza religiosa come per tutto il resto dell’umanità cattolica; Natale in casa nostra era una filosofia di vita.
Non c’era attività svolta durante tutto l’anno che non fosse riferita alla nascita di Gesù e tutti, chi più e chi meno, eravamo coinvolti, in particolar modo nostra madre sulla quale, poverina, ricadevano le incombenze della casa, dei figli e dei pastori. Di tanto in tanto papà ci informava sul tempo che mancava all’ora X con un count-down perverso che mandava tutti nel panico.
Mancano sulo duje mise a Natale…
Anche la casa andava opportunamente predisposta: la stanza da pranzo ridipinta e successivamente addobbata con ghirlande di finto pino e finto pungitopo, il camino ripulito dalla fuliggine e dal giallume lasciato dal fumo per poi accogliere, sulla sua mensola, una natività di terracotta policroma e diverse candele.
Man mano che la scadenza si avvicinava, sparivano gli oggetti di uso quotidiano sostituiti da quelli natalizi.
La tavola veniva ricoperta da un drappo rosso e anch’essa addobbata con piatti naturalmente a tema.
Tutt”e “pezze”, cioè le sete e le stoffe di cui ci si serviva per vestire i pastori, andavano riposte negli angoli più nascosti del laboratorio per far spazio ad altro.
“Piglia chella scatola e mettila là, piglia chill’attrezzo e posalo dint”o cassetto.
Fa ‘na scupata ca ‘nterra, famme chistu scaffale pulito pulito”…
Insomma era un continuo tramestio!
Il 7 dicembre sulla credenza faceva bella mostra di se un’antica statua dell’Immacolata e, come da tradizione, venivano a farci visita gli zampognari.
La loro presenza era consolidata ormai da decenni; prima a casa di nonno Catello al corso Vittorio Emanuele poi nella nostra abitazione prima al Corso poi in via De Gasperi.
Fiore suonava la ciaramella e Paolo la zampogna.
Alla morte di quest’ultimo subentrò Carmelo, il figlio di Fiore, ancora oggi attivo ed uno dei più bravi presenti nella nostra città.
Per ultimo, ma non certo per importanza, c’era il presepe che, strano a dirsi, a causa degli impegni lavorativi, papà riusciva a completare quasi sempre a ridosso della vigilia.
In casa nostra si addobbava anche l’albero di Natale che, da simbolo notoriamente pagano, veniva cristianizzato.
Addobbato sì con le classiche luci, palle e collane di vetro ma sulla cui cima, al posto del puntale, papà riusciva a posizionare un bambinello benedicente di legno del settecento con tanto di globo terraqueo sotto i piedi.
A pensarci bene, incoscientemente considerando che noi quattro tenevamo “l’arteteca”.
Quell’albero alto oltre due metri era quasi inavvicinabile, non tanto perché le palle erano delicatissime quanto perché ad ogni contatto, il Bambinello sulla cima ondeggiava pericolosamente e noi, pur bambini piccoli, eravamo ben consapevoli che se fosse precipitato al suolo, ci saremmo dovuti dare alla latitanza per il resto dei nostri giorni.
Non successe mai nulla, “nun faciettemo mai ‘nu rammaggio”, nemmeno la piccola peste di famiglia.
Da inizio dicembre, la nostra casa era un porto di mare: tantissimi amici che venivano a farci visita, acquirenti da Napoli, da tutte le parti della provincia e non solo, appassionati e visitatori abituali andavano e venivano senza sosta, chi per ritirare il pastore che aveva ordinato o affidato a papà per un restauro, chi per ammirare la collezione di pastori settecenteschi, chi per una consulenza o per prendere gli ultimi consigli sulla costruzione del proprio presepe o, semplicemente, per godere dell’atmosfera che si respirava in casa nostra.
E finalmente, la sera della vigilia…
La casa era tirata a lucido, la fonovaligia posizionata sulla lavatrice, in seguito sarà sostituita da un più pratico mangianastri, a diffondere a ciclo continuo canti natalizi interpretati da tenori, da voci bianche, dal coro dell’Antoniano di Bologna.
Insomma, da chiunque purché fossero rigorosamente canti natalizi.
In un angolo della stanza da pranzo troneggiava un tavolo su cui era posta ogni sorta di ben di Dio, “ciociole”, frutta secca e dolci di tutti i tipi.
Le tappe fisse per l’acquisto dei dolci erano due: a Sorrento, la pasticceria Sant’Antonino per le paste reali a forma di frutta e le sciuscelle al cioccolato ed a Castellammare Di Nocera per le Spolette, i Buoncammino, i Divino Amore e tutti gli altri dolci della tradizione napoletana.
Quando anche l’ultimo visitatore era andato via, si preparava la tavola per il cenone.
Dal mobile dove avevano dormito per 364 giorni, rivedevano la luce oltre alle posate d’argento ed ai bicchieri di cristallo, quelli che fischiavano se passavi il dito umido sul bordo, il “servizio buono”, quello di porcellana fina con decorazioni floreali di colore verde e col bordo d’oro zecchino.
Servizio sopravvissuto fino ai giorni nostri solo perché Massimiliano che avrà avuto 4 o 5 anni, riuscì nell’impresa di rompere due piatti da minestra in due vigilie consecutive.
Solo allora papà decise che era troppo delicato per le mani di noi bambini e così ripiegò su qualcosa di meno delicato e prezioso.
Non lo avremmo più utilizzato.
Prima di sederci tutti a tavola, al centro del quale veniva posizionava quello che noi chiamavamo “piscitiello”, un altro bambino ligneo del settecento alto poco più di 10 cm, in ordine crescente ci mettevamo in fila per la processione.
Il più piccolo di noi quattro fratelli aveva l’onore e la responsabilità di portare tra le mani un bambinello “da culla”, sempre antico ma stavolta in terracotta e pertanto ancor più delicato.
Mentre tutti cantavamo “Tu scendi dalle stelle”, la processione si snodava in tutti i locali della nostra casa per concludersi nello studio di papà dove il Bambinello veniva adagiato nella mangiatoia e noi potevamo, finalmente, dedicarci al cenone.
Puntualmente, nel corso della cena arrivavano gli zampognari e per noi bambini era sempre una festa accoglierli in casa.
Ciò fino a quando non fummo colpiti da un lutto che cambiò per sempre le nostre vite.
Ma questa è un’altra storia.
Paola Greco