ELOGIO FUNEBRE
DEL
Gr. Uff. Dott. Giovanni Celoro Parascandolo
di Gaetano Pagano
Il dottor Giovanni Celoro Parascandolo è stato un medico e uno storico.
Come medico ha svolto la sua professione con attento scrupolo e caloroso zelo. Si apriva alla persona intera che a lui si rivolgeva e non soltanto ai sintomi della malattia, coinvolgeva se stesso fino alla completa guarigione del paziente ed esigeva il rispetto assoluto delle sue prescrizioni. Sapeva aprirsi alle urgenti richieste dei sofferenti nel corpo e questa disponibilità, questa apertura, questa condivisione del dolore poteva dirsi segno non solo di maturità professionale e di rispetto della deontologia medica, ma anche segno di una fede operosa. Egli, quindi, dava vitalità, arricchimento e calore umano alle regole che governano l’esercizio della scienza medica, ponendosi sulla scia luminosa del professore Giuseppe Moscati, il grande santo di cui era particolarmente devoto.
Come storico ha riordinato documenti, ha portato contributi alla storiografia di Castellammare e delle città che la circondano. Ha elaborato dati, notizie, cronache, saggi e studi sulla Chiesa stabiana (Vescovi della Diocesi. Vicari Capitolari, monasteri e chiese), ha indagato su eventi particolari, portando alla luce cose che ora possono considerarsi (così come le opere del grande e indimenticabile Mons. Prof. Francesco di Capua) pilastri portanti della storiografia locale. E ciò gli ha meritato l’appartenenza alla Società Napoletana di Storia Patria.
Le due principali attività svolte da Celoro hanno forti punti in comune: richiedono ambedue un’attenta ricerca e acquisizione di dati certi per formulare un giudizio corretto; un’approfondita analisi dei dati stessi per ricavare maggiore comprensione o esatta impostazione del problema e per testimoniarne il valore; la connessione con gli altri elementi in esame per il riconoscimento della funzione dei singoli studi e delle peculiari indagini nel discorso generale, in modo da ottenere. alla fine, un risultato concludente ed organico nelle sue parti; e, ancora, pazienza, tanta pazienza. Egli ha pertanto operato. sul principio vicinano che “l’uomo è artefice dei fatti delPhistoria”, affinché si verificasse l’unione tra scienze positive e coscienza storica per rendere più diffusa nella nostra zona la conoscenza precisa e puntuale dei fatti reali del passato, liberati da leggende, invenzioni, falsi e abbellimenti. E ciò al fine di spingere e tendere alla rinascita, nel quadro di una sana socialità che promuove la libertà e la giustizia, e nella speranza di un rinnovato e duraturo progresso che si verifica e si afferma soltanto dove regna la Verità. E Celoro aveva ben presente l’aureo invito e insegnamento di Polibio secondo cui principale debito dello storico è quello di ricercare e scrivere la verità.
Sappiamo che il civilissimo “homo sapiens” è capace di ogni malvagità; ciò nonostante, gli onesti, i puri di cuore e i costruttori di pace rimangono aperti all’oggi della Storia per costruire un futuro che abbia in sé il vero bene di tutti.
Celoro pur fermo sulle cose essenziali e sulle verità eterne ed universali, sapeva aprirsi alle richieste dei tempi nuovi, esercitando le sue attività in modo da offrire, specie ai giovani. proposte concrete per crescere nello studio, nella conoscenza e nel sapere, per approfondire argomenti e materie di pubblico interesse, per conoscere quelle realtà in cui il mistero della sofferenza umana è vissuto in misura più vasta e più grave, come gli ambulatori, gli studi medici, le cliniche, gli ospedali. Egli esprimeva preoccupazione per la desertificazione ideologica e morale della società, per la proliferazione dell’improvvisazione a danno della meritocrazia, per la decadenza dei costumi a scapito dei valori umani e religiosi più veri e più validi. Tentava disperatamente, per quanto poteva, di salvare il ricordo di esperienze civiche efficaci e degne di essere preservate nel tempo. E, pur nel degrado che era oggetto del suo biasimo, confidava nell’impegno di forze nuove – e quindi dei giovani – per riportare la società contemporanea su un binario che potesse salvare i sentimenti e la cultura, integrando il meglio della tradizione con le istanze più significative, pregnanti e convincenti dell’oggi. Ma egli ben sapeva che nelle difficoltà in cui si dibatte il mondo attuale (in cui si sprecano fiumi di parole, di proclami e di buone intenzioni.) è facile avere consiglieri, sentire mercanti di chiacchiere, ma è quasi impossibile trovare aiutanti, esecutori e realizzatori: e men che meno promotori di iniziative di lungo respiro e pionieri o promotori di nuove attività senza fine di lucro. Egli prendeva atto di questa crisi generale che con tutte le sue complessità, interpella ogni uomo e ogni donna consapevole e sensibile a tradurre in azione, in fatti, in concrete opere le aspirazioni alla dignità che emergono dagli sfruttati. dagli oppressi, dai calpestati dalle varie forme di ingiustizie sociali. Da parte sua, Celoro si è rimboccato le maniche, si è prodigato come professionista e come cultore di studi storici e nelle due attività ha dato e ha fatto cose che stanno all’altezza delle proprie capacità e della propria dignità di cristiano.
Da conversazioni di questi ultimi anni, mi è sembrato di capire che Celoro concordasse col pensiero del Manzoni: “Non c’è nulla da sperare nell’uomo; tanto più bisogna sperare e confidare in Dio”. E. ancora Celoro era convinto che fosse necessario tutelare “i diritti di Dio” nella difesa dei “diritti dell’uomo” e viceversa.
Benedetto Croce sosteneva che “La vita intera è preparazione alla morte e non c’è altro da fare che compiere con zelo e devozione tutti i doveri che ci aspettano. La morte sopravverrà a metterci in riposo, a toglierci il compito a cui attendevamo. La preparazione alla morte è intesa da alcuni come il necessario raccoglimento della nostra anima a Dio, per quanto con Dio siamo e dobbiamo essere in comunione in tutta la vita. Non possiamo togliere la morte o il dolore o il male al tessuto della vita: fanno parte della vita stessa” (B. Croce, “1 quaderni della critica”, Laterza. Bari).
Giovanni Celoro sapeva che noi lasciamo ai posteri un’eredità immateriale, fatta di opere di bene e di misericordia e di idee trasmesse a voce oppure coi libri. Nei suoi scritti ha usato un linguaggio piano e comprensibile a tutti e le frasi hanno il pregio della chiarezza e dell’incisività. Ricordo che Shakespeare appunto faceva dire ad Amleto: “La brevità è l’anima stessa della saggezza”.
Egli ora vive nella levità di Dio e a noi ha donato il frutto delle sue ricerche storiche che facevano parte della sua vita terrena e della sua verità.
Si dice che tutto si placa nella morte. A noi piace pensare che non tutto cessi nella morte: la vita ultraterrena è pure un divenire dello spirito. In tale dimensione, le sue opere terrene custodiscono la sua vita e ne assicurano il ricordo nel tempo. E in esse vediamo la trasparenza della sua proiezione nell’eternità.
Tra le opere che egli aveva completato e pronte per le stampe, c’è uno studio completo sulla Basilica di Pozzano, tanto cara ad ogni stabiese e ad ogni cavaliere di Maria, Regina del Paradiso e Avvocata nostra.
Celoro ha speso e dedicato le sue ultime forze a rendere omaggio alla Madonna e alla sua splendida casa sulla collina.
Per un seguace fedele e convinto di Cristo l’ideale non è differente dal reale. Maria, sogno di vita e di benedizione, è la perfetta e stupendamente reale opera di Dio creatore. La Basilica è il vivente corpo di pietra della pietà mariana e della fede limpida e immortale dei figli di Stabia cristiana. E le nostre anime nella Grazia sono gli ancora più stupendi santuari del mondo, templi viventi di Dio vivente.
Quest’ultimo libro (che probabilmente sarà pubblicato tra breve), attraverso le parole di Celoro ci dà la certezza della realtà storica e quella della realtà che è viva e palpitante nella fede che vince il mondo.
In questi anni, in cui lutti vivono di corsa e ‘“infelici e scontenti”, ci accorgiamo di essere tristi anche perché sembra che non ci siano più certezze né gerarchie di valori. Forse non è un caso che Celoro ci inviti implicitamente a pensare alla Madonna di Pozzano alla nostra protettrice insigne e provvida in cui si rivela la vittoria del bene sul male. Ancora una volta Maria vuole aiutarci a respirare a polmoni aperti aria di verità e di salvezza. Il più palpitante anelito di vita nuova potrà introdursi nei nostri cuori, facilitato (tutto è possibile) dalla lettura dell’ultimo libro di Celoro. Che, se così sarà, compirà un’ulteriore cosa buona e utile. E con la sua prosa storica ci avrà aiutato a far entrare nei nostri cuori il cielo e la terra in un canto di speranza.
Talora ci capita di poter far del male ad altri e lo facciamo anche con piacere. In un mondo in cui l’odio distrugge tutto, egli non è stato mai capace di risoluta, ostinata e irritata, ostilità verso nessuno né di rancore che spinge alla vendetta, ma ha sempre teso la mano in segno di cordialità e di solidarietà concreta.
Possiamo dire che era un uomo che prestava attenzione costante ai bisogni materiali e spirituali dei fratelli più deboli, dei malati e dei poveri. Questa è traccia visibile e indizio certo di una fede vissuta e attiva per cui possiamo concludere che ora una bella anima è ritornata in Cielo.
Se riteniamo condivisibili i suoi ideali, se non ci lasciano indifferenti le opere che ci ha consegnato, onoriamo la sua memoria (onorando nel contempo noi stessi) accantonando discordie, facendo semplicemente, ma con serio e durevole impegno, qualcosa di utile e di positivo perché Castellammare rifiorisca e risplenda. Utinam!
Infine mi rivolgo direttamente a te. amico Giovanni, che con premurosa attenzione, nel corso della tua esistenza terrena, sei andato incontro a chi era povero di amore, di verità, di salute, di certezze, di speranza. A tutti costoro si rivolge San Giacomo, scrivendo in una sua lettera: “Dio vi ha scelti per farvi ricchi con la fede, ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano”.
Tu hai in qualche modo cercato di portare a quanti hai conosciuto, avvicinato, curato, questo splendido messaggio “Dio ti ama: Cristo ha dato la sua vita per te!”.
Dove sei ora. hai trovato – spero e prego – il “nostro” San Catello che con il Vangelo della Carità diede, in un’epoca di turbolenza e di profondi sconvolgimenti, spessore e senso cristiano al doveroso servizio ai diseredati, agli sradicati, agli aggrediti, risvegliando la consapevolezza che l’adempimento pronto e sollecito di questo servizio è verifica della fedeltà dei cristiani al Signore.
Caro Giovanni. Cristo che – non dimentichiamolo mai! – riconosce nei poveri e nei sofferenti la Sua immagine, ti accolga quale servo fedele e ti doni il riposo eterno nella sua pace e nella sua gloria.
Gaetano Pagano
In Stabiae-book l’elogio funebre a Giovanni Celoro Parascandolo
L’ho personalmente conosciuto, faccio solo una brevissima affermazione: “Grande uomo stabiese”…!