Liberato De Filippo, l’ultimo sindaco comunista
di Raffaele Scala
Premessa
Castellammare di Stabia ha avuto nella sua storia soltanto tre sindaci comunisti, Pasquale Cecchi (1893 – 1979), Eugenio Postiglione (1916 -1988) e Liberato De Filippo, nonostante che nell’immediato secondo dopoguerra e fino agli anni settanta si fosse meritata il titolo di Stalingrado del sud per la presenza di un forte e organizzato movimento operaio egemonizzato dal Pci e dalla Cgil. E’ pur vero che negli anni Novanta e, successivamente nel primo decennio del nuovo secolo, ci furono altri tre sindaci provenienti dal vecchio Partito Comunista, scomparso nel 1991 per dare vita a una nuova formazione politica. Nel 1993 venne eletto sindaco il docente universitario, Catello Polito, che resse la poltrona di primo cittadino per due consiliature, fino al 2002, nelle fila del Partito Democratico di Sinistra, quale diretta emanazione del vecchio Pci. Gli successe Ersilia Salvato, Già deputata e senatrice del vecchio Pci, una delle protagoniste del dissenso che aveva portato alla nascita di Rifondazione Comunista, anche se la sua elezione a sindaco avvenne sotto l’egida del Partito dei Comunisti Italiani, a sua volta nato dalla scissione da Rifondazione. Infine fu la volta di Salvatore Vozza, eletto sindaco nel 2005 sotto le insegne di Sinistra Democratica, ulteriore evoluzione del Partito democratico di Sinistra, che a sua volta non ebbe vita lunga. Infatti ben presto si scioglierà per dare vita al Partito Democratico, completando quella involuzione politica di spostamento verso il moderatismo che sta determinando il suo definitivo declino. Potremmo in realtà considerare Ersilia Salvato come ultimo sindaco di stirpe comunista, non fosse altro per il nome del Partito che la portò sullo scranno più alto della città stabiese, un partito che raccoglieva i duri e puri del vecchio Pci togliattiano, ma siamo comunque in presenza di una storia diversa, un frammento di partito comunista dalla storia effimera.[1]
Con qualche forzatura potremmo dire che la fine definitiva di Stalingrado del Sud si sia consumata, simbolicamente, con l’elezione a sindaco, nel 2010, dell’ex magistrato e dirigente provinciale di Alleanza Nazionale, Luigi Bobbio, alla guida del Popolo della Libertà, lo schieramento fortemente voluto da Silvio Berlusconi che raggruppava i due partiti di destra, Forza Italia e Alleanza Nazionale, quest’ultimo nato dalle ceneri del Movimento Sociale Italiano. In realtà, secondo il modesto parere di chi scrive, la fine di Stalingrado del Sud è da certificare con il declino industriale della città, il cui inizio risale alla fine degli anni Settanta e avendo il suo apice negli anni Novanta, quando la classe operaia fece sentire il suo ruggito di belva ferita, dimostrando la sua forza. In questo ultimo decennio del secolo scorso, il Movimento Operaio del circondario ha dato il meglio di sé con le formidabili lotte che conquistarono le pagine nazionali, inseguendo il sogno legato al grande progetto del Contratto d’Area Torrese Stabiese, la cui ambizione era quella di ridefinire il territorio sul versante sociale, culturale ed economico aprendo nuove prospettive occupazionali. Nulla di tutto questo è avvenuto, sostanzialmente tradito dagli stessi che avrebbero dovuto sostenerlo. Non a caso oggi delle mitiche Camere del Lavoro di Castellammare di Stabia e di Torre Annunziata non rimane più nulla, se non dei semplici sportelli assistenziali.
Per tutto questo riteniamo di poter considerare Liberato de Filippo, l’ultimo sindaco comunista, figlio di una storia che era tutta dentro lo schema leninista del Partito fondato da Amedeo Bordiga e Antonio Gramsci nell’ormai lontano 1921.
Poiché la storia politica e sindacale di Liberato De Filippo s’intreccia con quella di altri protagonisti, le cui storie sono state pubblicate su questo stesso portale, consigliamo, a quanti siano interessati a conoscere uno spaccato fondamentale della storia politica e sociale di Castellammare, di integrare la loro lettura con le altre, qui ricordate in nota per una migliore e più completa comprensione degli eventi narrati.[2]
Il Sindacalista
Figlio di Luigi e di Maria Zullo, Liberato nacque a Castellammare di Stabia il 27 ottobre 1928. Nel 1943, giovanissimo andò a lavorare nei Cantieri navali. Inizialmente vi rimase solo tre mesi, come lui stesso ricorda in un suo memoriale:
(…) Il secondo decennio iniziò con il pieno fallimento mio della scuola di Avviamento Professionale; per due anni consecutivi abbandonai la terza classe prima che avesse termine l’anno scolastico. E per la mia passione per il mare, esternai a mio padre la volontà di poter frequentare l’Istituto Nautico; ma mio padre scartò subito tale evenienza, ponendomi davanti a ben altra realtà dicendomi: la famiglia è diventata numerosa ed io da solo non posso soddisfarla, ho bisogno di un aiuto e questo me lo puoi dare solo tu che sei il primogenito. Così la necessità prevalse sulla passione e nel giugno successivo, siamo nell’anno 1943, andai a lavorare alla Navalmeccanica. Furono soltanto tre mesi, infatti con l’armistizio dell’otto settembre, il Cantiere Navale fu occupato dai tedeschi; i lavoratori dovettero abbandonare la fabbrica e, soltanto cinque mesi dopo, le maestranze potettero rientrare e rimettere su alla meno peggio le strutture gravemente danneggiate dai tedeschi. Io vi rientrai nel mese di aprile, iniziai a fare lo scalda chiodi nella ribattitura, successivamente andai a lavorare alla meccanica di bordo, facendo l’apprendista con un bravo operaio napoletano, don Peppino Costa; poi al reparto meccanico si manifestò crisi e passai all’officina fonderia.[3]
Nel 1949, il 29 settembre, a soli ventuno anni, come tanti altri giovani della sua generazione, Liberato si sposò con la diciottenne Anna Aquino, dalla quale avrà quattro figli, tutti maschi: Luigi (1950), Alfonso (1953), Sergio (1956) e Giuseppe (1963).
In quel secondo dopoguerra, Segretario della Commissione Interna era una figura leggendaria di antifascista e di militante comunista, Luigi Di Martino (1897 – 1969). Alla sua scuola politica Liberato crebbe e si formò e fu talmente bravo come allievo che quando nel 1952 il vecchio combattente fu licenziato per rappresaglia politica, fu eletto, pur giovanissimo, nella Commissione Interna alla cui guida subentrò Eustacchio Massa (1917 – 1990). Il nuovo Responsabile della C.I. era considerato dalla Questura di Napoli uno dei più accesi sostenitori della Fiom e probabilmente sottoposto a sorveglianza dalla stessa polizia politica perché già noto attivista comunista e della Cgil fin dal 1948, quando si mise in mostra per la sua partecipazione alle forti e violenti manifestazioni di protesta che seguirono all’attentato di Togliatti il 14 luglio di quell’anno.[4]
Purtroppo l’esperienza sindacale nella Commissione interna di De Filippo non era destinata a durare a lungo: era il tempo cupo della cortina di ferro, un epoca in cui i licenziamenti dei militanti sindacali e politici di sinistra, e in particolare della Cgil e del Pci, erano all’ordine del giorno e bastava un niente per far scattare la rappresaglia aziendale, che pure metteva nel conto settimane di disordini e di perdita delle produzione, ma evidentemente il gioco valeva la candela, specialmente se eri protetto da un governo amico. La Navalmeccanica non era nuova a queste rappresaglie, era una politica attuata con un certo successo, fin dal 1949, in concomitanza della cacciata dei partiti di sinistra dal governo da parte di Alcide De Gasperi, dopo il suo famoso viaggio negli Stati Uniti. E avrebbe continuato a farlo anche in futuro, fino a quando non entrò in vigore lo Statuto dei Lavoratori, nel 1970. Quello stesso Statuto modificato in peggio nel 2015 dal Governo di Centro sinistra guidato da Matteo Renzi, con l’abolizione dell’articolo 18 che ha privato i nuovi assunti di un fondamentale diritto, quello del reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa e sostituito con l’erogazione di un indennizzo economico, variabile secondo l’anzianità del dipendente.
Il licenziamento di De Filippo viene ricordato da Antonio Lombardi nel suo bel libro, Memorie di un sindacalista, ripercorrendo anche l’episodio che portò alla sconfitta dell’Amministrazione Cecchi del 1954. Nel libro, scritto affidandosi al filo della memoria, non potevano mancare errori ed omissioni. Ricostruiamo anche noi gli stessi fatti, sulla scorta della documentazione trovata presso l’Archivio di Stato di Napoli e le cronache riportate dal giornale comunista, l’Unità.
Nel corso del 1954 la Direzione dello stabilimento aveva deciso di togliere la gestione della mensa, diretta dagli stessi operai per affidarla ad un’azienda esterna di proprietà di Luigi Torre, di professione macellaio. I problemi nacquero praticamente subito e la Commissione Interna denunciò diverse volte alla direzione amministrativa la scarsa igiene dei locali e la cattiva qualità dei cibi, in particolare per quanto riguardava la carne, ma nessuno intese dare ascolto alle proteste. L’otto luglio la Commissione Interna propose di disdire il contratto a Torre ma la proposta non fu presa in considerazione. Pochi giorni dopo ricominciarono i guai a seguito di continui dolori al ventre accusati da diversi operai e la cui responsabilità fu fatta risalire al consumo di mortadella guasta. Neanche stavolta accadde niente, ma a fare precipitare la situazione fu la comunicazione fatta dalla Direzione il 14 ottobre del cambiamento d’inizio orario del lavoro, spostato in avanti di mezz’ora. La protesta fu immediata e la Commissione Interna fece richiesta di tenere un’assemblea senza ottenerla. Nonostante il rifiuto, la componente della Cgil decise di tenerla ugualmente e nell’occasione Liberato De Filippo denunciò quanto stava accadendo usando parole forti contro la direzione aziendale. Al termine di quella giornata lavorativa fu notificata la sospensione dal lavoro nei confronti dei membri della Commissione Interna, Liberato De Filippo, Eustacchio Massa, Francesco Esposito, Alfonso De Rosa, e di due operai, Salvatore Cascone (1925 – 2007) e Catello Uvale, individuati come promotori dell’assemblea non autorizzata. [5]
Il giorno dopo una parte delle maestranze, rifiutandosi di prendere servizio, si riunì sotto gli uffici della direzione per conoscere ufficialmente le decisioni assunte dall’azienda. Fu fatta entrare una delegazione cui fu comunicato il licenziamento di Liberato De Filippo, la sospensione per gli altri tre membri della Commissione Interna e sanzioni disciplinari per i due operai. Il 16 ottobre agli altri componenti della Commissione Interna fu comunicato il nuovo orario di lavoro, senza provocare nessuna ulteriore reazione.
Non risulta, stranamente, che contro il licenziamento del membro della Commissione Interna siano seguiti forti scioperi e manifestazioni di protesta dei lavoratori, Sono note alcune inutili interpellanze parlamentari di diversi deputati, il coinvolgimento della Prefettura e della stessa amministrazione comunale, ma nulla di più.[6] Forse cominciavano a pesare i tanti licenziamenti subiti in quegli anni, gli scioperi e le manifestazioni di piazza che nulla avevano sortito e che però avevano indebolito non poco la combattiva classe operaia di quei cantieri navali. L’ultimo licenziamento meno di due anni prima era stato quello del loro condottiero, Luigi Di Martino. [7]
Le elezioni per il rinnovo della Commissione Interno si tennero il successivo 3 novembre. De Filippo, pur licenziato ma in attesa del pronunciamento del Collegio arbitrale, fu ricandidato ed eletto senza problemi. Il suo posto fu preso da un altro comunista, Salvatore Cascone, di cui molto si parlerà e si scriverà negli anni a venire. Su questo rinnovo della Commissione Interna vi fu una nota della Questura, che a quei tempi teneva sotto controllo perfino le elezioni dei delegati sindacali, segnalando e schedando coloro che si candidavano.[8]
Meno di un mese dopo questi avvenimenti, il 9 novembre, 150 operai, ma secondo altre fonti almeno 300 sui 1.866 in servizio furono colti da forti dolori addominali, mentre stavano consumando il loro pasto e costretti a ricorrere alle cure ospedaliere per un avvelenamento da cibi guasti. Stavolta il gestore fu arrestato e l’autorità giudiziaria aprì un’inchiesta per accertare le diverse responsabilità. Su questa vicenda molti mesi dopo ci fu un’interpellanza parlamentare da parte di Domenico Colasanto (1896 – 1966), un sindacalista della Cisl, deputato dal 1948 adombrando una sorta di congiura ordita da elementi del Partito comunista stabiese. La risposta governativa fu equivoca, lasciando intendere un’effettiva responsabilità di elementi sia della Camera del Lavoro sia del Pci tesi a propagare notizie alterate sulla effettiva intossicazione degli operai. Stando alla ricostruzione governativa, nella confusione seguita al malore erano stati notati militanti della sinistra sollecitare il ricovero in ospedale anche di operai che non ne avvertivano la necessità. Di quanto accadeva erano state avvertite le forze della polizia allo scopo di prevenire alterazioni dell’ordine pubblico allontanando chiunque tentasse di turbarlo. [9] Ricostruiamo ora l’episodio secondo i ricordi di Antonio Lombardi, nel suo libro di memorie:
Nel giugno 1955 (in realtà ottobre 1954 NdA) ai Cantieri navali di Castellammare venne attuato uno sciopero con manifestazione all’interno della fabbrica per protestare contro la qualità della mensa aziendale e per l’aumento della indennità sostitutiva. Fu licenziato in tronco il Segretario della Commissione Interna (in realtà, come abbiamo visto il Segretario era Eustacchio Massa NdA), Liberato De Filippo perché secondo l’azienda aveva pronunciato parole offensive all’indirizzo della Direzione. Il licenziamento non fu revocato malgrado le forti manifestazioni esterne con il coinvolgimento della Prefettura e dell’Amministrazione Comunale (…).
Ricordo l’assemblea davanti alla sede della Camera del Lavoro di Castellammare, l’ex Palazzo del Fascio, dopo l’incontro con sindaco Degli Uberti. Mentre riferivo sull’incontro avuto con il sindaco, il locale Commissario di Pubblica Sicurezza stava per ordinare ai suoi agenti la carica, per sciogliere chi partecipava alla manifestazione: “Commissario, ma quale comizio? Qui si tratta di una semplice informazione ai lavoratori sull’incontro che il sindacato ha avuto col sindaco”. Così la manifestazione si concluse senza incidenti. Vorrei ricordare un episodio che si può dire anche simpatico e che si verificò in quella circostanza.
Durante l’incontro con il sindaco, Luigi D’Angelo, allora Segretario della Camera del Lavoro di Napoli, che faceva parte della delegazione, molto numerosa (oltre a Liberato De Filippo, ne facevano parte Eustachio Massa, Michele Esposito, Saul Cosenza, Catello Di Capua, Catello Uvale ed altri), nel rivolgersi al sindaco lo chiamava con una certa insistenza, signor Cecere. Ad un certo momento il sindaco, un po’ seccato, lo interruppe: “Mio caro signore, ma chi è questo Cecere? Io fino a prova contraria mi chiamo Degli Uberti” D’Angelo, naturalmente, chiese scusa. In verità l’equivoco in cui era caduto si spiega on quanto era accaduto durante la campagna elettorale per le amministrative del 1949 a Castellammare. (In realtà marzo 1954. N.d.A.).
(…) L’Unità, organo del PCI, da quel momento, ogni volta che si occupava di Castellammare e chiamava in causa l’Amministrazione, era sempre “l’Amministrazione Cecere”. Tanto che D’Angelo cadde nell’errore, ignorando in questo caso, forse volutamente, il vero nome del sindaco e chiamandolo appunto signor Cecere. Allora, almeno noi funzionari sindacali locali, come quelli del Partito, per ragioni principalmente, ma non soltanto economiche, leggevamo un unico giornale: i comunisti solo l’Unità e molti socialisti, con l’Avanti! anche l’Unità. [10]
Ormai senza lavoro, Liberato impegnò il suo tempo dedicandosi alla vita di partito e del sindacato, considerando che fin dall’aprile 1954 era dirigente della Camera Confederale stabiese, fino a quando nell’ottobre 1955 ne assunse la responsabilità con la elezione a Segretario, in sostituzione di Raffaele Signorelli, chiamato a dirigere la categoria dei Poligrafici a Napoli. Nella sua nuova veste di dirigente sindacale a tempo pieno, nel dicembre 1955, capeggiò, con Luigi D’Auria e Michele Vollono, membri della nuova segreteria della Camera del Lavoro stabiese, una manifestazione imponente di disoccupati contro l’amministrazione municipale, restando coinvolto nei disordini che ne seguirono ed arrestato insieme agli altri due dirigenti sindacali, subendo una condanna di 15 giorni. Due anni dopo si trovò ad affrontare una delle più emblematiche e dolorose vertenze del movimento sindacale stabiese, quella riguardante il licenziamento di 333 operai dei Cantieri Metallurgici Italiani, un terzo dell’intero organico.
L’annuncio era stato fatto dalla dirigenza aziendale nei primi giorni di maggio del 1957 e a nulla servirono manifestazioni di protesta, scioperi, mediazioni prefettizie e interpellanze parlamentari. Il 15 luglio i dipendenti in lotta non trovarono altra strada che quella di occupare lo stabilimento e resistendo fino al 3 agosto, quando la delegazione sindacale tornò dal Ministero del lavoro con un accordo in cui si sanciva il licenziamento di 288 operai, pur mitigati da una serie di incentivi economici per rendere meno traumatica la fuoriuscita, ma non per questo meno drammatica fu la consapevolezza della bruciante sconfitta.
Da questa vicenda nacque anche lo scontro con Vincenzo Somma, carismatico segretario cittadino del PCI. La sconfitta senza appello di quest’ultimo aprì una ferita mai risanata tra i due, con una rivalità divenuta personale, andando oltre le vicende politiche e terminata, probabilmente, soltanto con la loro scomparsa. Intanto le conseguenze dello scontro provocarono un vero terremoto nella vita politica cittadina. [11]
Il politico
Candidato nelle elezioni provinciali del 25 maggio 1958, Liberato De Filippo risultò eletto, rinunciando nell’ottobre successivo alla carica di Segretario della Camera del Lavoro e gli subentrò Luigi Alfano. L’anno successivo fu eletto Segretario cittadino del PCI scalzando Vincenzo Somma, sancendo in questo modo la vittoria finale sull’acerrimo rivale. Manterrà la carica di Segretario cittadino fino al 1967, lasciandola a Saul Cosenza, operaio della Navalmeccanica, iscritto al partito fin dal 1943, già segretario della sezione Fontana fino al 1961, poi consigliere comunale. Tra gli altri incarichi assunti da De Filippo, nella seconda metà degli anni Sessanta, ci fu quella di membro della segreteria provinciale del Pci, guidata da Antonio Mola, assumendo la responsabilità della sezione propaganda. Questa promozione, stando ai ricordi dello stesso De Filippo, gli valse la mancata candidatura alle elezioni politiche del 1968. Per ricompensarlo del sacrificio fu candidato ed eletto nel primo Consiglio regionale della Campania le cui elezioni si tennero il 7 giugno 1970. Nella sola Castellammare il Pci raccolse oltre il 40% dei consensi, riuscendo il primo partito della città e distanziando la Democrazia Cristiana di oltre 8 punti (40,75% del Pci contro 32,39 ottenuti dalla Dc di Gava, padre padrone politico del territorio).
In consiglio comunale vi entrò per la prima volta candidandosi alle amministrative del 6 novembre 1960, quando fu eletto, partecipando alla breve stagione di una nuova Giunta di sinistra, dopo l’epopea di Pasquale Cecchi esauritasi nel 1954. Il nuovo sindaco comunista alla guida della città fu Eugenio Postiglione, primo cittadino dal 29 dicembre 1960 al 13 settembre 1961. Secondo alcuni una stagione indimenticabile.
Indimenticabile fu per De Filippo il 31 marzo 1961, ancor più lo diventeranno quelli successivi, ricordi non piacevoli. Quel giorno di fine marzo era stato proclamato lo sciopero provinciale per il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici, con manifestazioni nelle diverse città, ma in alcune roccaforti rosse come Pozzuoli, Pomigliano D’Arco e Castellammare di Stabia ci furono scontri con la polizia, con lanci di bombe lacrimogene, provocando diversi feriti ed arresti. In conseguenza di quei disordini, nel cuore della notte del 16 aprile furono operati diversi arresti, prelevando dai propri letti Liberato De Filippo, i fratelli Luigi e Catello D’Auria, quest’ultimo un disoccupato rimasto ferito negli scontri con la polizia avvenuti il 31 marzo, e l’operaio dell’AVIS, Vincenzo Imperato. Altri operai arrestati furono Francesco Longobardi e Pasquale Del Vasto, tutti accusati di avere
In concorso tra loro, e con molti altri rimasti ignoti, al fine di impedire e ostacolare la libera circolazione, ostruito ed ingombrato formando barriera umana, nonché mediante il fermo di autoveicoli, Piazza Principe Umberto di Castellammare di Stabia e le vie radiali della piazza stessa. Per avere partecipato ad una radunata sediziosa formata da alcune migliaia di persone, che manifestarono con atti di ostilità e di rivolta (grida, urla, fischi, minacce) contro le pubbliche autorità in guisa da turbare l’ordine pubblico e la stessa stabilità delle degli organi statali. Con l’aggravante a carico di D’Auria catello, D’Auria Luigi e De Filippo Liberato per avere promosso, organizzato e diretto l’attività dei partecipanti a detti reati.
scriveva nel suo linguaggio freddo e burocratico il Procuratore della Repubblica nella sua richiesta di citazione in giudizio. Per la seconda volta, Liberato conobbe l’acre sapore del carcere di Poggioreale, reo di aver partecipato ad una manifestazione operaia. Il 17 ci fu lo sciopero cittadino proclamato dalla CGIL in segno di solidarietà con gli arrestati, il 3 maggio la scarcerazione.
(…) una notte, ero da poco rientrato da una seduta del Consiglio Provinciale, che dei funzionari di polizia bussarono alla porta e mi invitarono a seguirli in questura ed a ritenermi in stato di arresto. Qui trovai i compagni Luigi e Catello D’Auria e diversi lavoratori dell’Azienda di materiale rotabile AVIS. Qualche giorno addietro vi era stata una vibrata protesta contro il tentativo di cedere l’azienda a dei privati. Lo scontro nella D.C. stabiese, coinvolse i lavoratori; il senatore Gava, uomo consumato ad ogni forma di strumentalismo politico, intendeva scaricare la destra per essere più disponibile e preparato per affrontare il nuovo disegno politico, che a Roma già era stato ufficializzato. La destra non accettò passivamente tale voltafaccia; allora Gava, che per i suoi interessi (sarebbe passato sulla tomba della propria madre), usò metodi più sbrigativi, portò a conoscenza che il bilancio di gestione delle Terme Stabiane registrava un ammanco di svariate decine di milioni, colpendo in questo modo un uomo di spicco della destra come l’avv. Scarsella, nelle vesti di amministratore del complesso termale.[12]
Consigliere comunale per sei consiliature, dal 1960 al 1977, consigliere regionale nel 1970, il 1 marzo 1976, Liberato De Filippo, già capogruppo, fu eletto sindaco alla testa di un monocolore comunista, con il sostegno esterno del Psi, dopo una travagliatissima consiliatura in cui si erano succeduti alla guida della città i socialisti Flavio Di Martino e Antonio Capasso. Governare in quelle condizioni non era facile, e non lo fu. Troppi i fattori, interni ed esterni, che pesarono negativamente sull’amministrazione comunista. La caduta fu inevitabile e travolto dagli eventi, De Filippo si dimise il 22 ottobre portando allo scioglimento anticipato del consiglio comunale eletto il 26 novembre 1972. Nel loro bel libro su Castellammare di Stabia. Mezzo secolo di storia politico amministrativa, gli autori Filomena Piras e Gennaro Maio, così sintetizzano la sua amministrazione:
La nuova Giunta è ben decisa ad assumersi per intero le responsabilità amministrative. Punto qualificante del suo operato è la decisa lotta all’abusivismo edilizio: per la prima volta a Castellammare si riesce a frenare tale fenomeno. Un nuovo piano per il traffico è realizzato, ma non incontra particolari consensi ed entusiasmi. Quando sono appena trascorsi sette mesi di amministrazione da parte di un sindaco, della cui onorabilità e integrità morale è impossibile dubitare, e dopo che si è spesa ogni energia per operare esclusivamente nell’interesse della città, anche quest’ultimo tentativo d’impedire lo scioglimento anticipato del consiglio sfuma. Gli atti deliberativi della Giunta sono quasi nella loro totalità respinti dall’organismo regionale di controllo. Gli scioperi del personale municipale sono inevitabili, visto che non riceve stipendi per mancanza di fondi, che il Banco di Napoli non è disposto ad anticipare. Gli alleati socialisti e repubblicani sono ormai da tempo rassegnati. Ce n’è quanto basta per ritenere conclusa un’amara esperienza. L’ottava legislatura comunale termina il 22 ottobre 1976. [13]
Le successive elezioni amministrative del 17 aprile 1977 confermarono la forza del Pci con i suoi 14 consiglieri comunali, migliorò invece la Democrazia Cristiana portandosi da 15 a 17, confermando il suo strapotere politico dominato dalla famiglia Gava. In questa consiliatura si alternarono diverse Giunte, ora composte dal monocolore democristiano, ora di sinistra, ma il cui sindaco fu il socialista Giovanni Battista La Mura. De Filippo ebbe ancora un ruolo, con La Mura, ricoprendo la carica di Assessore per circa un anno, poi la caduta della Giunta di sinistra, dopo le dimissioni del repubblicano Gioacchino Amodio, che coltivava altre ambizioni, poi rimaste deluse.
Come scritto all’inizio, Liberato De Filippo è stato il terzo e ultimo sindaco comunista di Castellammare, dopo Pasquale Cecchi (1946 – 1954) e Eugenio Postiglione (1960 – 1961). Della sua Giunta si ricorda un giovane indipendente di sinistra, assessore alla finanza, destinato ad incidere profondamente nella futura storia politica della città, Catello Polito, il futuro primo sindaco del Partito Democratico della Sinistra, un post comunista degli anni ‘90 che governerà la città dal 29 gennaio 1993 al giugno 2002, quando lascerà la poltrona di primo cittadino alla compagna di partito, Ersilia Salvato. Così come dobbiamo ricordare un giovanissimo Matteo Cosenza, futuro giornalista di successo e direttore di diverse testate.[14]
Lo stesso Matteo Cosenza ricorda l’epoca in cui fu assessore all’Urbanistica nella Giunta De Filippo, la sua battaglia contro l’abusivismo edilizio portato avanti in quegli anni tra mille difficoltà, lo scontro frontale contro i poteri forti che il giovane figlio di Saul aveva probabilmente messo nel conto, come i pericoli che ne potevano derivare, e che non mancarono. Quello che certamente non si aspettava furono le forti resistenze al suo operato all’interno dello stesso partito in cui militava, quello che oggi, in maniera immaginifica, viene definito, fuoco amico. Anche De Filippo, consapevole della fragilità della sua amministrazione, retta su numeri risicati, già sottoposta a forti pressioni esterne, lo richiamò più volte a una maggiore prudenza, ritenendo poco utile aprire un nuovo fronte, aumentando le fibrillazioni presenti nel consiglio comunale, con l’opposizione che mal digeriva quel monocolore comunista. Basti pensare al Banco di Napoli, governato da uomini vicini alla Democrazia Cristiana egemonizzata dalla famiglia Gava, Silvio, Antonio e Roberto, senza i quali non si muoveva foglia che loro non volessero. Quel Banco di Napoli che fungeva da tesoreria comunale e in tale veste lesinava alle amministrazioni avverse alla potente famiglia le anticipazioni necessarie a far funzionare le già di per sé farraginose macchine comunali, fino a provocare lo stesso sciopero dei netturbini. Clamorosa, in quel caso, fu la reazione di De Filippo che, con alcuni assessori, armato di scopa si mise a pulire le strade circostanti il comune.
Il giovane assessore all’Urbanistica andò caparbiamente avanti, nella certezza che bisognava farla finita con le antiche consorterie e nuove lobby, con il malaffare che imperversava intorno al settore delle costruzioni, con il vecchio modo di intendere la politica, fatto di compromessi, di equilibri al ribasso che alla fine premiavano sempre e comunque gli stessi personaggi legati alla Dc e ai tanti, troppi satelliti che ruotavano come mosche intorno alla Balena Bianca. Ma nella realtà, oggi come da sempre, vi è poco spazio per i sogni e prima o poi questi s’infrangono contro gli scogli del politicume. Non poteva accadere diversamente in quella lontana stagione di lotta e di governo del manipolo comunista alla guida di Stalingrado del Sud.
Il simbolo del nuovo modo di intendere la politica, per realizzare la Città Futura a misura umana, divenne allora quel palazzo completamente abusivo di quattro piani e sedici appartamenti realizzato nella zona agricola, che doveva essere buttato giù. Tutto era pronto, dalla delibera d’abbattimento firmata dall’assessore all’Urbanistica alle ruspe inviate sul posto per eseguire l’ordinanza. Se fosse stato demolito forse la storia di Castellammare oggi sarebbe stata diversa, ma così non fu. Si aprì invece una crisi che portò alla fine anticipata dell’amministrazione retta da Liberato De Filippo e, in prospettiva, alla successiva speculazione edilizia che di fatto si abbatterà sulla città stabiese, con tutte le nefaste conseguenze oggi sotto gli occhi di tutti, dalla devastazione della zona collinare, alla deturpazione delle campagne, fino agli orrori della zona archeologica di Varano selvaggiamente cementificata, nonostante la consapevolezza di tutti dei tesori nascosti sotto quel terreno che ancora conservava i resti dell’antica Stabiae.[15]
Il pensionato
Dopo quella esperienza, di fatto, De Filippo, stanco e amareggiato, cogliendo l’occasione di aver raggiunto l’età pensionabile, decise di godersela ritirandosi a vita privata, lasciando la politica attiva e accontentandosi di rilasciare periodicamente interviste su giornali locali, come quella di giugno 1989 sul mensile, Cronache, dove, a richiesta del giornalista, dichiarò di non ritenere fondamentale il caso Cecere nella sconfitta subita dalla Sinistra, nelle amministrative del 28 marzo 1954, ma soltanto una concausa. [16]
Nella sua vita di pensionato lasciò poco spazio al suo passato di sindacalista e di uomo politico, parlandone il meno possibile. Probabilmente rimasero però nel suo cuore, tra i ricordi più belli della sua vita, i viaggi che ebbe modo di fare, in delegazione con il Partito, in Polonia nel 1966 e in Unione Sovietica nel 1978. In compenso, da pensionato, ebbe modo di dedicarsi alle sue grandi passioni, alcune delle quali lo accompagnavano fin da ragazzo: il mare e la pesca. In mare con la sua barca vi passava intere giornate. Ma non secondarie erano la pittura, il ballo e il modellismo, dimostrando una poliedricità non comune, soprattutto se si pensa che tutto questo si nascondeva dietro l’immagine del freddo funzionario di Partito, il rigido burocrate consegnatoci dalla storiografia classica anticomunista. L’ex sindaco dimostrò di non essere nulla di tutto questo: probabilmente uomo tormentato dalla fedeltà al Partito, alle sue ferree leggi, un partito che andava cambiando, modificando lentamente la sua pelle di partito, in fondo ancora sostanzialmente stalinista, seppure a Castellammare non era mai mancato un robusto retroterra ingraiano che in qualche modo si rifaceva alla vecchia tradizione bordighista, qui ancora molto forte durante gli anni della clandestinità. De Filippo era sempre stato, invece, sostanzialmente un riformista legato alle idee di Amendola prima e di Napolitano poi, e in questa veste fece la sua battaglia. Non fu tra i vincitori e per questo emarginato, allontanato, per lasciare spazio alle nuove leve che sgomitavano per conquistare il loro posto al sole. Un allontanamento favorito dal suo precario stato di salute.
Quarant’anni di milizia attiva mi ha fatto maturare l’esperienza che anche in politica agiscono i principi del matematico e fisico siracusano, Archimede: in particolare nello studio dei corpi immersi in un liquido che ricevono una spinta dal basso pari alla massa che essi spostano…ecco in politica avviene la stessa dinamica.[17]
Così, con un semplice esempio, senza entrare nel merito di ciò che realmente accadde, Liberato liquidò lo scontro politico, le battaglie, spesso sotterranee che si combattono nei partiti, nelle associazioni, come in ogni luogo di lavoro, perché l’ambizione, per non dire la sete di potere, è il motore che muove l’uomo nella società. Ma tutto questo a Liberato ormai non interessava più, era un pensionato e voleva godersela questa nuova vita che aveva intrapreso dopo quarant’anni di snervante, seppure appassionante lotta continua.
A proposito della sua passione per la pittura, il figlio Sergio ricorda:
Papà disegnava un pò di tutto ma preferiva le nature morte. La ritrattistica lo divertiva. Durante i consigli comunali era sua abitudine fare schizzi su avversari politici o compagni di partito rappresentandoli con le loro caratteristiche fisiche o per il ruolo che ricoprivano (…). Molti consiglieri degli anni ’70 ne facevano esplicita richiesta. Era diventato un fatto rituale. Un giorno mi trovavo nello studio del notaio D’Orsi per motivi professionali e quando seppe che ero il figlio di Liberato immediatamente mi mostrò la caricatura che papà gli aveva regalato. La simultaneità del ricordo di papà al dono che gli aveva fatto mi fece capire che oltre a essere stimato era voluto bene. Su Cronache non c’era un suo articolo che non fosse accompagnato da una vignetta. Papà era un autodidatta anche nella pittura, uno dei suoi maestri fu Spagnuolo, allora dipendente comunale. Spagnuolo era un artista meraviglioso che non amava farsi pubblicità, ho avuto l’onore di conoscerlo e di vedere le sue opere.[18]
Purtroppo negli ultimi anni i suoi problemi di salute si andarono aggravando, ma lasciamo ai ricordi trascritti nel suo Diario, il suo stato d’animo:
Purtroppo verso la fine del sesto decennio, la mia salute ha manifestato gravi carenze. Il fegato già verso i trent’anni o poco più, aveva manifestato il dimezzamento del quadro proteico, successivamente comparve l’Epatite C, il diabete mellito e, in ultimo: ammoniemia ed encefalopatia. Tutto ciò mi procurava una forte debilità fisica e psichica. I sintomi più marcati erano: uno stato di sopore e un tremore gli arti, in particola modo alle gambe; la sonnolenza si manifesta all’improvviso, facendomi perdere ogni controllo dei movimenti. A causa di tale incoscienza temporanea, ho dovuto smettere di guidare l’automobile. Rileggendo queste righe, mi passano davanti volti, ambienti e sensazioni che ho amato e per le quali mi sono battuto. Avvenimenti di cui non ho alcun ripensamento, perché hanno fortificato e messo alla prova i valori che rappresentavano la mia ragione di vita: onestà e correttezza. Anche nei momenti più difficili, e non ne sono mancati, non ho mai barattato la dignità e la libertà, e giammai ho approfittato di situazioni di privilegio. Nemmeno ai miei 4 figli ho reso la vita lavorativa meno complicata, perché ho sempre combattuto i favoritismi e gli opportunisti. Sono sicuro che loro capiranno.[19]
Liberato De Filippo scompare nella notte tra il 21 e il 22 settembre 2000. Meritava di essere ricordato a lungo per l’indubbio rigore e il senso delle istituzioni, purtroppo in questi tempi cupi, senza più memoria storica, tutto passa in fretta e dimenticato ancora più rapidamente, senza lasciare traccia alcuna. Noi continueremo ad ostinarci a credere che qualcosa possa cambiare, che conoscere il passato, divulgare le sue storie, riprendere le vite di coloro che furono protagonisti possa migliorare il nostro futuro, quello della nostra Città, la bella e antica Stalingrado del Sud.
Note:
[1] Prima di Pasquale Cecchi, sindaco rosso della città stabiese dal 1946 al 1954, bisogna risalire al 1920 per incontrare il primo sindaco di sinistra della storia di Castellammare di Stabia. Infatti fu in occasione delle amministrative del 20 ottobre 1920 che per la prima volta la sinistra socialista conquistò la maggioranza con Pietro Carrese. Pochi mesi dopo, il 20 gennaio 1921, in concomitanza della nascita a Livorno del PCd’I di Amedeo Bordiga, la prima giunta rossa cadeva sotto i colpi dell’assalto fascista di Palazzo Farnese, causando morti e feriti e passata alla storia come la strage di Piazza Spartaco, dal nome dato alla piazza dove sorge il palazzo comunale. Negli stessi giorni, gran parte dei consiglieri comunali passarono dal Psi al PCd’I, compreso il vice sindaco, quello stesso Pasquale Cecchi che ritroveremo alla testa della prima amministrazione repubblicana del 1946. Suo vice sarà, neanche a dirlo, il già anziano e malato, Pietro Carrese, a sua volta iscritto al Pci fin dal 1923, dopo una fase nella Frazione massimalista unitaria.
[2] Cfr. Luigi Alfano, politico stabiese, comunista e sindacalista, pubblicato il 14 settembre 2015: Vincenzo Somma, storia vera di un comunista d’altri tempi, pubblicato il 19 ottobre 2015: Luigi D’Auria, vita di un comunista stabiese, pubblicato il 24 marzo 2013, poi riproposta, rivista e ampliata il 23 aprile 2018. Completo questa raccolta con le vicende di Luigi Di Martino, un partigiano di Castellammare di Stabia, pubblicato il 30 gennaio 2016
[3] Liberato de Filippo: Diario memoria della mia vita, dattiloscritto inedito, senza data, consegnatomi dal figlio Sergio
[4] ASN, Prefettura a Ministero dell’Interno: Commissioni Interne.
E’ noto che anche nella Repubblica nata dalla Resistenza continuò la schedatura di anarchici, socialisti e comunisti, sui quali si aprirono fascicoli conservati nel Casellario Politico Centrale, tra questi non mancarono diversi stabiesi, di cui alcuni nomi sono già noti e pubblici perché ormai sono trascorsi più di 50 anni dalla loro scomparsa. In un primo momento, dal 1944, la schedatura doveva riguardare unicamente ex fascisti e collaborazionisti, poi, dal 1948 i fascicoli furono estesi agli iscritti al Partito Comunista. Cfr. Archivio Centrale di Stato, Casellario Politico Centrale.
[5] l’Unità del 23 ottobre 1954: A Napoli il 75 per cento degli operai vota Cgil nonostante i ricatti morali e materiali art. di Nino Sansone. Catello Uvale, tra i promotori della fondazione del circolo Fgci stabiese nel 1949 e membro del primo Comitato costituente provinciale, era il fratello di Attilio, partigiano fucilato dai nazisti il 5 agosto 1944 a Firenze. La Commissione Interna della Navalmeccanica, eletta il 2 marzo 1953, era composta da Massa Eustacchio, Vittorio Viscardi, Liberato De Filippo, Francesco Paolo Esposito, Mario Autieri e Alfonso De Rosa per la Cgil; Domenico Federico, Catello Scala per la Cisl e Luigi Genovino, un impiegato iscritto al MSI, in rappresentanza della CISNAL. Segretario della Commissione Interna era stato eletto il comunista Eustacchio Massa con 461 preferenze.
[6] Atti Parlamentari, seduta del 19 novembre 1954, interrogazione dell’onorevole Clemente Maglietta
[7] I licenziamenti erano iniziati nel 1949 con il Segretario della Commissione Interna, Francesco Paolo Esposito, seguirono l’impiegato Attilio Landolfi e l’equiparato Giovanni Vollono, tutti dei Cmi. Nel 1950 fu licenziato il Segretario della C.I. dell’Avis, Vincenzo Somma, poi fu il turno di Luigi Di Martino nel 1952, e nello stesso seguirono un gruppo di dipendenti delle Terme Stabiane, Domenico Scevola, Colomba Di Somma, Giuseppe Valestra, Mario Selleri, Gennaro Cardone, Davide Lo Piano, Vincenzo cerasuolo e Raffale Acerra. Infine, nel 1954, Liberato De Filippo e Luigi Alfano.
[8] ASN, Da Questura a Prefettura: Elezioni Commissione Interna Navalmeccanica di Castellammare di Stabia:
(…) Poiché, come è noto, l’operaio De Filippo è stato licenziato dalla Direzione generale della Navalmeccanica per indisciplina, qualora detto provvedimento verrà convalidato dal Collegio arbitrale, in sua sostituzione entrerebbe a far parte della nuova C.I. l’operaio Salvatore Cascone, anch’egli comunista. I suddetti sono immuni da precedenti penali ad eccezione di Massa il quale risulta denunziato a piede libero dall’Arma di Scanzano per infrazioni agli art. 624 e 625, nonché per affissione di manifesti di propaganda elettorale su altri manifesti dello stesso tenore. Per la prima denunzia è stato assolto per insufficienza di prove, mentre per il secondo s’ignora l’esito del relativo procedimento.
[9] Cfr. Atti parlamentari, seduta del 13 giugno 1955, interrogazione di Colasanto ai ministri dell’Interno e del lavoro. Sulla vicenda vedi anche seduta dell’11 e 19 novembre 1954, interrogazioni di Clemente maglietta
[10] Antonio Lombardi: Memorie di un sindacalista, Ed. Novus Campus 2001, pag. 60/62
Il 28 marzo 1954 si tenevano a Castellammare le elezioni amministrative e lo scontro si rivelò subito ferocissimo e senza esclusioni di colpi. Approfittando della Legge truffa ancora in vigore (sarà abolita nel luglio di quello stesso anno), la Dc di Silvio Gava, pur di vincere, non esitò ad apparentarsi con i monarchici di Achille Lauro e con il Movimento Sociale, oltre ai suoi alleati storici, liberali e socialdemocratici, dando vita, per la prima volta in Italia, ad un’Alleanza clerico fascista tra Silvio Gava e Achille Lauro, un’alleanza non solamente locale, ma di più ampio respiro, che perseguiva una strategia, un disegno politico nazionale col quale le forze della destra economica e politica intendevano impedire che dal voto del 7 giugno derivasse un’apertura a sinistra ed uno sviluppo democratico della situazione italiana. [10] Sull’altro fronte, Pci e Psi. A rendere ancora più incandescenti le elezioni scoppiò il Caso Cecere. Giovanni Cecere, un operaio dell’Avis iscritto al Pci, la sera di venerdì 26 marzo, in Piazza Orologio, sul palco dove concludeva Silvio Gava, strappò pubblicamente la tessera del suo partito affermando di scegliere la libertà. In quella stessa, tarda serata, Giovanni Cecere fu ricoverato in ospedale denunciando di essere stato aggredito e picchiato, mentre un comunicato Ansa, diffuso dalla radio durante la trasmissione, Notturno dall’Italia, riferiva dell’aggressione subita dall’operaio da parte dei suoi ex compagni comunisti per vendicarsi del pubblico tradimento, riducendolo, si disse, in fin di vita. In conclusione vince la coalizione di Centro destra composta da Dc, Pnm, Msi e Pli con 15.029 voti contro i 14.604 raccolti dalla sinistra composta da Pci, Psi e Indipendenti di sinistra. Cfr Raffaele Scala: La Camera del Lavoro a Castellammare di Stabia, 2010
[11] Per una più ampia conoscenza dei fatti qui sommariamente narrati cfr. la biografia del già ricordato, Vincenzo Somma, storia vera di un comunista d’altri tempi, pubblicata il 19 ottobre 2015 sul portale Libero Ricercatore
[12] Liberato De Filippo: Diario, cit.
[13] Filomena Piras – Gennaro Maio: Castellammare di Stabia. Mezzo secolo di lotte politico amministrativa. Ed. Eidos, 1996, pag. 117 Cfr. anche Cronache, maggio 1988, art. Parla Liberato De Filippo l’ultimo sindaco comunista di Castellammare, intervista di Antonio Ferrara.
La Giunta del monocolore comunista era composta, oltre il sindaco De Filippo da Catello Polito, Salvatore Cascone, Raffaele De Fusco, Ciro Alfano, Matteo Cosenza, Francesco Vollono, Bruno Giordano e Francesco Martoriello.
[14] Figlio di Saul, figura mitica del movimento operaio stabiese, Matteo ricostruì e diresse la Fgci (federazione Giovanile Comunista Italiana) a Castellammare nella seconda metà degli anni Sessanta, dopo una profonda crisi del movimento giovanile durata diversi mesi a seguito delle dimissioni dell’ultimo segretario del Circolo, Emilia Cavallaro. Negli stessi anni Matteo diresse un giornalino, Gioventù Democratica, di cui uscirono pochi numero nel 1966 – a soli 17 anni – dimostrando precocemente la sua vera vocazione. Altri periodici stabiesi fondati da Cosenza furono Nuova Iskra, Cronache della Zona e Cronache, che si distinsero, tra l’altro, per le loro battaglie contro le speculazioni edilizie. Con questo curriculum non potevamo non trovarlo negli anni a venire che Direttore del quindicinale, La Voce della Campania, il cui primo numero fu pubblicato il 1 giugno 1973, Capo della redazione napoletana di Paese Sera dal 1979 al 1988, Capo della redazione di Salerno del quotidiano Il Mattino, Direttore de Il Quotidiano della Calabria dal 2006 al 2014. Nel maggio 2013 Cosenza si candidò, senza molta fortuna, alle amministrative di Castellammare come sindaco alla testa di una civica di sinistra, Liberiamo Stabia. Le elezioni furono vinte da una coalizione di Centro sinistra guidata dall’esponente del Partito Democratico, Nicola Cuomo.
[15] Da una conversazione del 27 luglio 2018 di Matteo Cosenza con l’autore.
[16] Cronache, periodico d’informazione mensile, anno III, n. 5, giugno 1989, art. Ci furono motivi più politici che agivano da alcuni anni. Autointervista di Liberato De Filippo sugli avvenimenti del 1954
[17] Liberato De Filippo: Diario, cit.
[18] Da una conversazione dell’autore con Sergio De Filippo il 31 luglio 2018
Cronache, nelle sue diverse edizioni, fu un importante periodico del Pci di Castellammare di Stabia ed è stato una vera e propria scuola di formazione e trampolino di lancio per futuri giornalisti che conquistarono successivamente la fama nazionale, da Enrico Fiore a Luigi Vicinanza ad Antonio Polito, non dimenticando, Franco Perez, giornalista dell’Unità, Antonio Ferrara giornalista della redazione napoletana di Repubblica, Vittorio Ragone, quale direttore di una delle ultime edizioni del periodico pubblicato dal 1980. Tra i tanti che vi scrissero mi piace qui ricordare anche Antonio Barone, storico del movimento operaio stabiese e autore del famoso, Piazza Spartaco, edito dagli Editori Riuniti, in cui si ricostruiscono i particolari della strage avvenuta il 20 gennaio 1921 con l’assalto fascista a Palazzo Farnese provocando la morte di sette persone. Lo stesso Liberato De Filippo si cimentò scrivendovi diversi articoli e rilasciando interviste.
[19] Liberato de Filippo, Diario, cit.
P.S.: Chiunque possa e voglia fornire notizie e foto utili all’approfondimento dei temi trattati e su Liberato De Filippo, può contattarmi sia tramite il portale liberoricercatore.it, sia sulla mia mail personale: raffaele_scala@libero.it.