Catellus (Catello)
di Giuseppe Zingone
“A mio padre Catello, a mio figlio Catello“
Molto è stato scritto in passato sul cittadino, vescovo, patrono e protettore di Castellammare di Stabia, San Catello; iniziando dall’Anonimo sorrentino che riprende una Passio 1 risalente al IX secolo, le cui contraddizioni però si collocano più nella leggenda che nella storia, fino ai tempi più recenti con i libri: La Vita e il Culto di San Catello del Professor Giuseppe D’Angelo edito da Eidos (Nicola Longobardi) e i Vescovi e la Chiesa stabiana del fu Dottor Giovanni Celoro Parascandolo, anch’esso dell’editore stabiese Nicola Longobardi. Chi desiderasse però cimentarsi in uno studio sulla vita e le opere di San Catello si accorgerebbe che le fonti storiche a lui relative sono scarse, ma soprattutto che quel che di lui conosciamo è sempre in stretta connessione con un altro santo cioè Antonino Abate. Sia ben chiaro non vogliamo insinuare dubbi sull’esistenza di San Catello, cosa che screditerebbe inevitabilmente anche la vita di Sant’Antonino; a noi interessa soltanto che i due siano inseriti nel canone dei Santi della Chiesa cattolica.2 La nostra curiosità, però, ci ha portato a dedurre alcuni elementi che possano stimolare il lettore odierno o indurre altri a compiere nuove ricerche.
Il nome nella tradizione ebraica e nel tempo
In tutto il mondo semitico il nome è la realtà stessa di una cosa, la conoscenza del nome comporta una specie di potere sull’essere di cui si comprende in tal modo, l’essenza e l’energia. È per questo che il nome di Dio è inesprimibile, in quanto la sua pronuncia comporta necessariamente la sua conoscenza (tetragramma sacro JHWH), ma Dio per il popolo ebraico è inconoscibile, vedere Dio (in volto) significa morire (Esodo 3,1-15), Dio stesso rivela a Mosè la sua esistenza “IO SONO”, ma non la sua “ESSENZA”. Imporre il nome ad un uomo, ad esempio, indica le caratteristiche della persona: Adamo chiama la sua donna ‘iššah, perché tratta da ‘iš (uomo) in Genesi 2,23; oppure hawwah (Eva), perché madre di ogni haj (vivente) Genesi 3,20.3 Presso gli antichi greci le persone venivano identificate dal nome proprio, da quello del padre e, a volte, dalla località di origine. Per quanto riguarda gli antichi romani, negli ultimi secoli della Repubblica le persone libere adottavano tre nomi (tria nomina): il praenomen (che distingueva l’individuo ed era paragonabile al nome proprio di persona contemporaneo), il nomen (che denotava la famiglia o gens) e il cognomen (che era usato per distinguere le famiglie). Con l’avvento del cristianesimo, in virtù dell’evento della salvezza assistiamo alla nascita di nomi “nuovi”come ad esempio Renato, Natale, Pasquale, Cristoforo, Epifanio ecc… tutti includenti un significato intrinseco legato ad un aspetto della vita di Gesù. Verso il V secolo la distinzione fra nomen e cognomen si fa sempre più sfumata e diventa comune l’uso di un nome unico (detto supernomen o signum), con le caratteristiche di non essere ereditato e di avere un significato immediatamente comprensibile (ad esempio il nome imperiale Augustus che significa “consacrato dagli auguri” o “favorito da buoni auspici”). Dopo la caduta dell’Impero romano, ogni persona veniva identificata dal solo nome personale, di cui venivano usati vezzeggiativi in ambito familiare. Tali nomi venivano a volte riferiti anche alle caratteristiche della persona, alla provenienza o alla paternità. (4) Secondo noi, anche il nome del nostro Santo patrono vuole essere qualcosa in più della semplice identificazione di una persona. In genere si fa derivare Catello da catulus che in italiano è tradotto sia cucciolo che cagnolino ed è proprio su questa ultima parola che avanziamo alcune ipotesi di ricerca.
Il cane nelle varie culture
Cagnolino o cucciolo di cane, mai il significato di un nome fu più appropriato per un vescovo! Per i Celti questo animale appariva come un essere appartenente a due mondi: quello umano e quello spirituale. E’ simbolo di protezione della comunità umana dei viventi, ma anche dei defunti, essendo il guardiano del regno dei morti, e dei misteri cari alla Dea della morte. Il cane ha anche funzioni di guaritore, ed è quindi associato alle acque curative e al potere di guarigione. Anche presso i Longobardi il cane è spesso collegato al mondo degli inferi; grande diffusione hanno avuto in tutta l’area padano-alpina, in epoca medievale, i cognomi ed anche i nomi che incorporavano la parola “cane”. Il cane si inserisce quale tramite tra il mondo dei vivi e dei morti nel suo aspetto più luminoso come in quello più spettrale. Ed il cane è colui che predice gli eventi ed annuncia le disgrazie in tutto il mondo germanico, normale dunque ritrovarlo tra gli animali che seguono l’eroe nel tumulo, ma di questo aspetto parleremo in seguito. Un capovolgimento di fronte si ha con il cristianesimo,4per il quale i cani rappresentano la fedeltà appassionata, fino al sacrificio,5 e proprio i successori degli apostoli vengono in genere raffigurati nella pittura e nella scultura come dei cani, per non andar lontano basta recarsi nella Concattedrale di Castellammare e ammirare il sarcofago detto del Buon Pastore (foto a lato), posto proprio sotto l’altare di San Catello: Gesù come si evince anche dal Vangelo di Giovanni si presenta come il Buon Pastore (Giovanni 10, 1-21) che va alla ricerca della pecora smarrita, al suo fianco vigile è il cane fedele al pastore che lo aiuta nel difficile compito di pascere le pecore (Giovanni 21, 15-23).
Se è vero che oggi viviamo, grazie ai media, nella civiltà delle immagini, non meno vero è che i cristiani odierni hanno perso la capacità di leggere i simboli appartenenti del cristianesimo, “siamo analfabeti”, evangelicamente parlando ed è chiaro che in un tal contesto, un qualsiasi Dan Brown di turno può prendere alla leggera venti secoli di Tradizione ed insinuare il dubbio nella nostra magra e miserevole fede. I primi cristiani sapevano leggere le espressioni figurative della Bibbia, tanto che San Gregorio Magno in una lettera del 599 al vescovo di Marsiglia Sereno afferma: “La pittura è adoperata nelle chiese perché gli analfabeti, almeno guardando sulle pareti, leggano ciò che non sono in grado di decifrare sui codici”; la data di questa lettera è anche molto vicina a quella dell’esistenza di San Catello. Ritornando alla simbologia del nome Catello (cagnolino) potrebbe inoltre indicare l’aspetto del Santo, di piccola statura ad esempio, oppure particolari tratti caratteriali o comportamentali: cordiale, affettuoso, ospitale, vigilante. Nel racconto dell’anonimo sorrentino emergono alcuni aspetti del vescovo Catello: – Anzitutto l’ospitalità nell’accogliere Sant’Antonino abate al suo arrivo a Castellammare, che gli è valso l’appellativo di amante dei forestieri un tratto che dovrebbe distinguere anche i cristiani (e gli stabiesi) di oggi. – La responsabilità di pastore della comunità cristiana di Castellammare è per lui un dovere, proprio del ministero dei successori degli apostoli, tanto che, quando si allontana da essa egli la affida sempre ad un vicario, tra cui proprio Sant’Antonino. – L’incessante bisogno di preghiera che lo porta spesso a lunghi eremitaggi sul monte Aureo e che susciterà le invidie di un chierico che muoverà nei suoi confronti accuse di idolatria. Il vescovo Catello sarà sospeso ed imprigionato a Roma sotto papa Sabiniano in attesa di essere giudicato.6
– La pazienza e la mitezza nel sopportare la prigionia quando fu dato in consegna ad un dotto e pio diacono al quale Catello preannuncerà l’elezione al soglio Pontificio, Bonifacio III.
Nuovi orizzonti da esplorare
Come accennato sopra, sono molti i nomi e i cognomi che hanno nella loro radice la parola “cane” o ad essa fanno esplicitamente riferimento. Il VI secolo, in cui l’Italia ebbe a soffrire per le guerre gotiche, portò con sé nel 568 la calata dei Longobardi. È vero che non riuscirono a conquistare Roma, ma si stabilirono nelle sue vicinanze, a nord a Spoleto, e a sud a Benevento.7 Proprio Sant’Antonino pagò le conseguenze di questa presenza, quando nel 589 il primo duca longobardo di Benevento, Zotone, assalì il monastero, (dove viveva il monaco), attirato dalle sue ricchezze. Non trascuriamo che l’etimologia più ricorrente, così come riportata da più di un’interpretazione, del nome “Winniler”, antico nome dei Longobardi, significherebbe “cani furiosi” o “cani vittoriosi” o secondo alcuni “cani urlanti”. Nei secoli successivi, troviamo dei rimandi ai “cani” riferiti ai Signori Della Scala o Scaligeri, una famiglia nobile di origine italiana, la cui presenza a Verona è attestata fin dal secolo XI, quando un esponente del casato, Balduino della Scala, rivestì un’importante posizione nell’ambito del Comune. Divenuti signori di Verona, gli Scaligeri esercitarono un potere incontrastato con Mastino I (morto nel 1277), podestà e capitano del popolo dal 1260, e soprattutto con Alberto I (morto nel 1301), che fu alleato dei Visconti di Milano nella lotta contro i guelfi. Alla sua morte, gli succedette alla guida della città il figlio Bartolomeo I (morto nel 1304), ricordato come il “Gran Lombardo” da Dante, che fu suo ospite, nel canto XVII del Paradiso.
Il massimo esponente della famiglia fu Cangrande I (1291-1329), che ampliò i territori della signoria scaligera con una politica di espansione militare. La sovranità della famiglia terminò nel 1387 con l’occupazione del territorio da parte di Giangaleazzo Visconti.
I tentativi operati dai successori di rientrare in possesso dei loro domini furono resi vani da Venezia che nel 1406 assoggettò definitivamente Verona. La famiglia Della Scala si estinse in Germania nel secolo XVI. Di notevole interesse anche i monumenti funebri di alcuni esponenti di questa nobile famiglia detti arche, proprio i cani vegliano nei monumenti di alcuni di questi condottieri, il cane qui oltre alla fedeltà simboleggia anche il comando; una rilettura del significato del cane pastore che qui però è un condottiero. E’ chiaro che si tratta solo di una piacevole suggestione, ma in relazione ai signori Della Scala alcuni studi affermano che la scelta di questi “strani nomi” Mastino e Cangrande sia dovuta ai primi resoconti sulla Cina da parte di mercanti veneziani.8 Sembra infatti che il nome Gengis Khan, titolo onorifico di Temujin (1167 ca. – 1227), fondatore dell’impero mongolo significhi “Signore universale”, da Khan (in turco “signore”), era un titolo attribuito ai sovrani ottomani dell’Asia centrale, successivamente adottato anche dai mongoli, in particolare da Gengis Khan e dai suoi successori alla guida dell’impero mongolo. Il termine fu usato anche in India e in Pakistan per definire non solo i re, ma anche gli uomini di alto rango.
Ancor più degna di nota perché ci riporta in ambito religioso è l’apparire, sempre in pieno medioevo, di due nuovi ordini religiosi: i francescani9 “cani di Francesco” e i domenicani10 o “cani di Domenico” entrambi gli ordini mendicanti si propongono, di vivere più fedelmente l’ideale evangelico.
Più aderente alla nostra ipotesi di ricerca è la presenza di un Catello nella Divina Commedia, il suo nome non è chiaramente esplicitato, ma rileggiamo i versetti:
“ Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
ne’ quali il doloroso foco casca,
non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi
che dal collo a ciascun pendea una tasca
ch’avea certo colore e certo segno,
e quidi par che ́l loro occhio si pasca.
E com’io riguardando tra loro vegno,
in una borsa gialla vidi azzurro
che d’un leone avea faccia e contegno”.11
Come nel canto degli avari e prodighi, Dante mostra di ignorare l’identità di questi peccatori: la borsa, simbolo della loro sfrenata cupidigia di beni materiali, appare come l’espressione più esauriente della loro personalità. Per maggior irrisione, sul sacchetto che pende dal collo dei dannati è dipinto lo stemma della loro famiglia.
Il leone azzurro in campo giallo rappresenta lo stemma dei Gianfigliazzi, famiglia guelfa fiorentina, alla quale apparteneva Catello di Rosso Gianfigliazzi, usuraio in Francia. L’attenzione del Poeta non si ferma sulla persona di questo peccatore, che rimane del tutto nell’ombra, come se non esistesse, ma sull’emblema del suo peccato.
Visualizza lo schema del Cerchio 7 dei Violenti Ancora Catello, stavolta però, usato come cognome e molto diffuso in Sardegna; la derivazione del nome è identica “catulus” solo che qui Catello suona così Cadeddu. Digitare Cadeddu in un motore di ricerca in internet dà l’idea di quanto sia notorio non solo in Italia ma anche all’estero, a motivo delle emigrazioni. I Catellini Per ultimo un altro cognome piuttosto interessante è quello dei Catellini,12
preferiamo però riportare dal sito “Le Famiglie nobili”, i dati estremamente precisi presentati nello schema grafico dell’albero genealogico della famiglia dei Catellini da Castiglione:
La famiglia
I Catellini erano iscritti al gonfalone Leon Bianco del quartiere di S. Maria Novella. La leggenda vuole che essi (detti da Castiglione per la signoria del castello situato nei pressi di Cercina, ai piedi di M. Morello, dal 1072) fossero originari di Roma e discendenti di Catilina. La famiglia comunque è una delle più antiche di Firenze e tra quelle che abitavano all’interno della prima cerchia di mura. M. Alberto fu uno dei senatori della Repubblica nel 1197, e Lancia fu valoroso condottiero di parte ghibellina nella battaglia dell’Arbia (nel 1268 venne bandito dalla città). Stoldo intervenne alla pace del Cardinal Latino (1280), ma essendo magnate e seguace di parte ghibellina fu escluso dalle magistrature nella riforma del 1282. I Catellini, citati da Dante nel XVI canto del Paradiso, rimasero sempre sospetti al partito popolano, cosicché non poterono mai accedere al governo della città.
“Io vidi li Ughi, e vidi i Catellini, Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi, già nel calare, illustri cittadini”.13
Poterono conseguire magistrature solo dopo il ritorno di Cosimo il Vecchio dei Medici che cercò di farsi appoggiare dalle famiglie magnatizie malcontente. Ebbero 6 priori tra il 1461 e il 1527. Difesero con le armi la Repubblica fiorentina, e soltanto Cosimo figlio di Vieri poté ottenere perdono, e tornato in patria fu anzi nominato senatore nel 1622. suoi figli Dante e Vieri (senatore) furono molto influenti sotto Ferdinando II: lo stesso Vieri sotto Cosimo III fu eletto marchese di Cavacurta e Binaga, titolo trasmesso nei figli del Cav. Bernardo loro fratello (1617-1666), ai discendenti del quale è stato trasmesso. Un ramo della famiglia si diceva Filitieri.
A Firenze
Le torri di questa casa erano presso la soppressa chiesa di S. Ruffilo. Ma in alcuni documenti si dice anche che le ebbero presso la chiesa di S. Andrea. Da essi fu fatta edificare la quarta parte del chiostro verde di S. Maria Novella, commissionata da Paolo Uccello. Il 20 settembre 1751 ottennero il decreto di iscrizione al Patriziato fiorentino. La cappella di famiglia si trovava nella chiesa fiorentina di S. Maria Novella.
Nel Contado
I Catellini avevano beni nelle loro terre d’origine, più precisamente nella podesteria di Sesto (popoli di S. Michele a Castiglione, S. Martino a Cercina, S. Margherita a Cercina Vecchia, S. Martino a Sesto, S. Martino a Bugliano, S. Lorenzo a Serpiolle, e S. Piero a Careggi), nel vicariato di Scarperia (popoli di S. Stefano a Pescina, S. Piero a Galigarza, e S. Michele a Fontebuona), e nella podesteria del Galluzzo. Nella podesteria del Pontassieve i Catellini acquistarono nel 1657 la villa Roncolino, situata nel popolo di Lubaco, non lontano da Castiglione, luogo d’origine della famiglia. La villa-fattoria era posta al centro di una tenuta composta da circa 6 poderi (Casa a Stento, Mazzocchino, Ronco, Roncolino, Patina e Patinuzzo) e da alcuni appezzamenti boscati situati a monte di S. Brigida.
Pubblicato nel 2009
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- Citata in: Alfredo Cattabiani, Santi D’Italia, RCS Rizzoli Libri, 1993, pag. 92-98. ↩
- Altre notizie su San Catello e il suo culto sono disponibili su “Liberoricercatore.it”, in Breve storia di San Catello. ↩
- Nuovo Dizionario di teologia biblica, Edizioni Paoline, 1988. ↩
- Per una documentazione più esaustiva vedi anche: Anna Ferreri, Dizionario di mitologia greca e latina, UTET, 2002 Torino; vedi anche Maria Pia Ciccarese, Animali simbolici. Alle origini del Bestiario cristiano I (agnello-gufo), EDB 2002, Vol. 1. ↩
- Il Cane in: Lucia Impelluso, La natura e i suoi simboli, (piante, fiori e animali), pag. 203, Electa 2003. ↩
- Per Alfredo Cattabiani, i Papi ai quali fu sottoposto San Catello, furono Sabiniano e Bonifacio III, secondo altri invece Pelagio II e Gregorio Magno, soprattutto il nome di quest’ultimo è legato a San Benedetto di cui ha scritto la vita nel secondo libro dei “Dialoghi”. ↩
- Vedi: Ludwig Hertling, Storia della Chiesa, la penetrazione dello spazio umano ad opera del cristianesimo, pag. 180, Città Nuova, V edizione, 1988. ↩
- A tal proposito non si può non richiamare alla mente la famiglia Polo e il Milione, vero e proprio best-seller del suo tempo. E fra il 1298 e 1299, proprio nelle carceri di Genova, Marco Polo detta al compagno di prigionia, Rustichello da Pisa, il suo resoconto di viaggio Le Divisament du Monde. Scritto nella redazione originale in franco-italiano, il libro sarà ben presto noto con il titolo di Milione: dal soprannome di tutta la stirpe dei Polo, per aferesi da Emilione, nome di un antenato della famiglia. ↩
- Francescani: Ordine religioso cattolico, fondato nel 1208 da Francesco d’Assisi e approvato da papa Innocenzo III nel 1209. ↩
- Domenicani: Membri dell’ordine religioso cattolico dei predicatori, fondato a Tolosa nel 1206 da san Domenico di Guzmán con lo scopo di combattere la diffusione dell’eresia degli albigesi e approvato da papa Onorio III nel 1216. ↩
- Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XVII, 52-58. ↩
- Stemma: “Scudo diviso orizzontalmente nel mezzo, rosso di sopra, bianco di sotto, con dentro tre cagnolini rossi rampanti”. In altre raffigurazioni dello stemma i cani diventano topi, faine, ermellini, orsi, e perfino becchi con corna. Lo stemma dei Catellini qui ripreso è visibile sotto il loggiato del Santuario del Sasso: esso si trova anche in vari depositi e facciate di chiese di loro patronato come quelle di S. Michele a Castiglioni, S. Maria a Starniano, S. Martino a Bugliano, e delle pievi di S. Appiano e di S. Andrea a Cercina, nonché anche su una casa attigua alla villa delle Sentinelle, alla Nave a Rovezzano. ↩
- Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XVI, 88-90. L’inciso è nostro. ↩