La Portella del Quartuccio: una scoperta sorprendente
ricerca/studio di Lino Di Capua
articolo del 28/07/2021
Premessa:
La proposizione di questo estratto, anche se rivisto e con l’aggiunta di qualche ulteriore nota a corredo, è dettata dal furto culturale di cui sono stato vittima, il plagio perpetrato su uno pseudo sito storico, consiste nell’appropriazione di una scoperta da me fatta, a proposito dell’individuazione della “Porta del Quartuccio”. Su detto sito, si sono limitati a rielaborare il mio lavoro senza apportarvi alcun ulteriore contributo di originalità, ma al contrario, confermando quelle che erano state le mie deduzioni e conclusioni pubblicate, a maggio del 2019, nel libro “Castellammare oltre la porta del Quartuccio. Ritrovamenti e rinnovamenti”, curato da me e dalla professoressa Gelda Vollono [cit. pag. 73 e seguenti]. Se avessero avuto l’onestà intellettuale di citare il faticoso e pregiato lavoro svolto, ne avrei avuto piacere e orgoglio, purtroppo è stata preferita ancora una volta la via breve dello sfruttamento del lavoro altrui. Ancor più grave è che su questo sito, viene condivisa la primogenitura dell’individuazione della “Porta del Quartuccio”. Un’azione scorretta e disonesta tanto più pervenuta da persone che dovrebbero almeno immaginare quanta fatica richiede un vero lavoro di ricerca storica. Tutt’altro che acquistare vecchie cartoline da un rigattiere.
Studiando le cartografie settecentesche dell’area fuori le mura del Quartuccio[1], durante le ricerche sul lavoro del casamento cosiddetto lo Stallone e della zona su cui esso insisteva, notai un particolare singolare: la legenda a corredo della rappresentazione cartografica del Pacichelli indicava con una abbreviazione la porta del Quartuccio (fig. 1).
Fino a quel momento, nessuno storico e nessun documento avevano mai riportato, quando si riferivano al varco del Quartuccio, la presenza di una portella[2]: era questa la interpretazione da dare a quella abbreviazione, secondo gli studiosi da me consultati, primo fra tutti l’archeologo e medievalista Domenico Camardo. Tale denominazione mi portava a sviluppare tutta una serie di congetture prima fra tutte, che questa fosse un’entrata più piccola, cosa verosimile, data l’esiguità dello spazio esistente tra la porta stessa e l’arenile, e che fosse adibita, a passaggio pedonale, soprattutto la sera, dopo la chiusura del varco principale; al transito di piccole carrette molto leggere ed agili, adatte a raggiungere la parte alta della città; considerando, inoltre, la vicinanza all’ufficio della bagliva[3], poteva essere utilizzata per il disbrigo dei dazio alla risoluzione di controversie di trascurabile entità. Di conseguenza, per l’ingresso dei carri trainati dagli animali era logico immaginare, che si utilizzasse un varco più grande.
Avevo finalmente trovato la prova, che il compianto dott. Giovanni Celoro Parascandolo ed io avevamo cercato per tanti anni, allorché ipotizzavamo, che l’ingresso in città della Porta principale del Quartuccio non era dove solitamente veniva posizionato.
La tesi più logica e razionale era che il varco principale dovesse trovarsi nella recinzione a sud prospiciente la piazzetta del Quartuccio, ubicato all’incirca dove attualmente si trova l’attività commerciale del sig. De Meo. Partendo dalla considerazione che i luoghi mantengono la memoria storica della loro funzione, a sostegno di questa ipotesi, si trovava situato, fino agli anni ’60 circa, nel succitato luogo (gioielleria De Meo), l’ufficio centrale dei dazi e consumi, non sfuggirà l’arco di piperno sotto l’insegna del negozio (figg.2e 3).
Quindi, come precedentemente scritto, una volta assolti gli adempimenti doganali nel vicino ufficio della bagliva, situato nei pressi del Torrione[4], si entrava in città attraverso la “portella” del Quartuccio o anche per mezzo dei varchi di accesso lungo i lati di nord-ovest, che ragionevolmente dovevano esserci (fig.4)
In merito alla presenza della bagliva nella nostra città le notizie sono scarse e frammentarie: le vicende relative alla sua istituzione riguardano un rogito riportato integralmente da padre Serafino De Ruggeri nella sua guida del Santuario di Pozzano[5] e dal nobile Gaetano Martucci[6] in due suoi scritti.
Siamo sul finire del XV secolo e Ferdinando I D’Aragona non tollerando il suo animo Reale di gravare con nuovi dazi i suoi vassalli, per supplire a’ gravissimi bisogni dello Stato, volle con magnanimità singolare, piuttosto alienare alcuni fondi suoi propri e impiegarne il prezzo alle urgenze del Regno. Fra questi fondi vi furono appunto la Bagliva, la Portolania, e la Mastrodattia della Citta di Castellammare, che prima avevano possedute Brando. Vulpula , e i suoi fratelli, e indi Niccolò di Toraldo, e dopo la morte di costui, erano ricadute alla Regia Corte , e in nome di lei venivano amministrate dal famoso Francesco Coppola, allora Regio Consigliere, e favorito del Re, ed indi perfido congiurato, che pagò la pena de’ tradimenti suoi .La vendita di questi corpi così rispettabili svegliò l’ attenzione de Nobili Cittadini, per farne l’ acquisto a vantaggio della patria; e come più offerenti, ne fecero la compra dalle mani del Re, in nome del lor Comune, pagandone prontamente il prezzo, col medesimo Re convenuto, per mezzo del Banco de Spannochiis.
Con questo contratto stipulato l’11 marzo del 1480[7] Castellammare si trova ad avere acquisito il Privilegio di non sottostare alle tasse dello Stato ma di avere un proprio autonomo regime fiscale, diremo oggi.
Note:
[1]Tra le varie ipotesi su questo toponimo la più accreditata sembra essere quella che lo fa derivare dall’unità di misura il Quartuccio; misura che veniva utilizzata sia per la capacità dei liquidi sia per individuare il peso dei solidi, in modo da pagare il giusto dazio sulle merci da introdurre in città.
[2]In assenza di essa nel varco principale spesso si trovava una sub apertura il “Portello”.
[3]Durante il periodo normanno-svevo il potere periferico fu affidato a diverse magistrature che continuarono nel loro esercizio senza sostanziali modifiche fino al periodo Aragonese, quando si stabilì di mettere per iscritto le norme che fino ad allora erano state di natura abitudinaria e esercitando tali funzioni senza sostanziali modifiche per alcuni secoli. La reggenza della bagliva era affidata al baiulo, che rappresentava uno dei cardini dell’amministrazione regia in sede periferica. Le competenze del baiulo si articolavano sostanzialmente in due ambiti, quello giudiziario e quello fiscale, in merito al primo operava in tutte le controversie di minore entità mentre uno dei compiti principali riguardo al ramo finanziario era suo compito verificare l’esattezza dei pesi e delle misure stabiliti dal re e controllare che tutti i mercanti li rispettassero, inoltre per limitare i rischi di peculato si stabilì, con lo stesso provvedimento, che la cassa della bagliva sarebbe stata chiusa con tre chiavi, affidate a tre differenti soggetti, e aperta solo in presenza del camerario.
[4]Il torrione dei Quartuccio fu costruito nel 1346 e inglobato dopo varie trasformazioni nelle strutture del palazzo Spagnuolo (Gran caffè Napoli).
[5]Istoria dell’immagine di S. Maria di Pozzano, e fondazione dell’antica e nuova chiesa e convento de’ Frati Minimi nella città di Castellammare di Stabia, scritta dal p. Serafino De’ Ruggieri dello sest’ordine e dedicata alla medesima città. In Napoli: nella Stamparia di Giuseppe Guarracino, 1743
[6] Martucci Gaetano:Esame generale de’ debiti istrumentari della citta di Castellammare di Stabia in cui si accennano le leggi così comuni. … di Gaetano Martucci In Napoli: nella stamperia Simoniana, 1786.
[7] Il De Ruggeri riporta invece la data del 1462.