Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )
Quasi 90 anni fa, la prima cosa che i miei occhi appena dischiusi videro fu la torre dell’orologio nella piazza omonima. Quell’orologio a sua volta ha visto tutte le mie scugnizzesche marachelle che ho combinato fino al 1937, anno in cui la maturità mi ha messo davanti alla crudezza della vita.
Conoscendo questi precedenti, gli amici Maurizio Cuomo e Giuseppe Plaitano mi hanno dato da esaminare una vecchia fotografia di quel posto magico (per me!). E la domanda postami era molto semplice: “Quando frequentavi quel luogo c’era ancora la fontanella che si vede alla base della torre?”
La mia risposta è stata precisa e sicura: No! Non c’era. Figuriamoci! Io, con quelle sudate che facevo percorrendo di corsa quella salitella decine di volte al giorno: dal magazzino (deposito di sciuscelle di mio nonno, che si vede dietro la torre) alla banchina, accaldato com’ero l’avrei disseccata! Per rinfrescarmi invece, nella stagione bella mi buttavo a mare dalla banchina con addosso i pochi panni che vestivo: un calzoncino corto e una maglietta. Ma torniamo a descrivere la fotografia. Sullo sfondo si notano la fabbrica di biscotti, un negozio di “monopolio”, un portone dove c’era il magazzino di cui ho detto sopra.
A tutti e tre allora è venuta la curiosità di sapere almeno l’epoca in cui fu scattata quella foto. E qui è venuta in aiuto la mia memoria visiva e non. Ai miei tempi la base della torre non era così disadorna: la cingeva una specie di marciapiede ottagonale, che data la pendenza della piazza naturalmente era più basso verso l’interno e più alto nella parte verso il mare. Su di esso sostavano, in attesa di clienti, cocchieri, facchini e spicciafaccende. Le loro chiacchiere vertevano principalmente sugli avvenimenti storici politici e sportivi (le imprese dello Stabia, il Giro d’Italia, il Tour con i tifosi di Binda e Guerra – i Bartali e Coppi di allora). E poi i commenti salaci e maliziosi all’ancheggiante passaggio di qualche bella ragazza. Nel frattempo qualche cavallo, con la testa immersa nel sacco del mangime, con neghittosa noia, “sbatteva ‘e ccianfe ‘nterra” (questo inciso l’ho rubato a Totò, dalla poesia Sarchiapone e Ludovico).
Guardando a sinistra della foto, oltre i bambini vestiti di bianco, si nota un vicoletto senza sbocco il cui livello della pavimentazione è più basso di quello della piazza. Lì c’era una piccola bottega di maniscalco con un fornello quasi sempre acceso. In quel fuoco venivano forgiati e sagomati adeguatamente i ferri, che poi venivano inchiodati sotto le zampe dei quadrupedi. Oltre a questa operazione quel bravo artigiano aggiustava anche i finimenti di cuoio che servivano a tenere nella giusta posizione il collo e la testa del cavallo, la cosiddetta cavezza. Insomma, quella modesta bottega faceva da salone di bellezza dei cavalli.
Siam passati allora ad esaminare attentamente tutti i dettagli visibili. Sui manifesti teatrali affissi sulla torre si leggeva appena il giorno della rappresentazione, “Giovedì 17 luglio”, ma non l’anno.
Il nome degli artisti che si esibivano non ci dicevano nulla perché sconosciuti. Nella mia prodigiosa memoria (e diciamolo, và! Immodestamente) si è aperto uno squarcio nel leggere la scritta “MONOPOLIO” su quella bottega che si vede sullo sfondo. Quella insegna era adornata dallo stemma di Casa Savoia. Allora quella foto era stata scattata certamente prima dell’andata al potere del fascismo! Cioè prima del 1922. Difatti dopo questa data gli stemmi monarchici erano stati messi in ombra e al loro posto predominava il fascio littorio, simbolo del fascismo. Inoltre, ai miei tempi, i negozi che vendevano i prodotti del monopolio statale avevano la seguente insegna “SALI e TABACCHI” e qualche volta erano abbellite (si fa per dire!) appunto dal fascio littorio. Il bandolo della matassa era stato trovato. Se quella foto era stata scattata prima del 1922, in quale anno antecedente cadeva la data di giovedì 17 luglio? E qui ci ha soccorso l’abilità del buon Maurizio. Smanettando sul computer, attraverso il “calendario perpetuo”, ha scoperto che quel preciso giorno non poteva che cadere nel mese di luglio del 1919. Curioso e interessante, no? Molte volte conoscere la data di un avvenimento, di una fotografia, ci porta a rivivere con la fantasia il clima di quell’epoca: come si viveva, quali erano gli stili di vita, quali le abitudini, quali trasformazioni hanno subito i luoghi.
Insomma, la conoscenza del passato può aiutarci a vivere meglio l’avvenire…
…o a rimpiangerlo. Buona fortuna a tutti gli stabiesi!
Gigi Nocera
Un pezzo di storia Stabiese che prende ed emoziona come emozionano gli Esimi personaggi (a me sconosciuti, purtroppo) che raccontano e documentano Stabiae. Grazie di cuore.
Vincenzo Verdoliva (non residente)