Alla ricerca della votapesce1 smarrita
articolo di Pasquale Cirillo
Quanti personaggi sul nostro Presepe a far corona ai Protagonisti, veramente possiamo dire “‘na foll’’e ggente….”. Ma noi li conosciamo tutti, uno per uno. Per il loro mestiere: ‘a castagnara, ‘o canteniere, ‘o pisciavinnele, ‘a lavannara, ‘o chianchiere, ‘o ncenzatore…qualcuno proprio per nome, come Ciccibacco o il più famoso di tutti che è Benino (non Benito, mi raccomando), il pastorello che dorme nel pagliaio e suo padre, Armenzio, che lo va a svegliare per andare alla Capanna. Molti, non tanti, conoscono pure il cacciatore che si chiama Cidonio, che è il fratello di Benino, oltre che amico di Ruscellio, il pescatore. E poi c’è la numerosa, folta, colorata, fantasiosa schiera dei “pastori in cammino” che recano in dono al Bambino ricotte, formaggi, salami, prosciutti, galline, uova, broccoli, cavoli, meloni gialli e verdi e pure qualche anguria fuori stagione, insomma tutta roba da mangiare. Niente di male, se pure il Poverello di Assisi voleva che a Natale tutti facessero festa con un pasto abbondante, compreso l’asinello del convento al quale ordinava fosse data doppia biada. Fra la folla anonima del “cammino” spiccano due personaggi: il monaco “cercante” (di offerte) e la zingara. A proposito di quest’ultima si è scritto tanto. Vecchie tradizioni la identificano come la Stefania del miracolo del sasso trasformato in bambino, attribuendole addirittura la maternità di Santo Stefano.
Altri se la immaginano triste perché, avendo fama le zingare di capacità divinatorie (c’è chi con occhi palepolesi ci vede la Sibilla), si muove a pietà nel prevedere la tragica fine di quel Bambino che ora dorme tranquillo nella mangiatoia; in fondo il suo bambino, per quanto misero, è meno sfortunato. Mi piace molto questa immagine e, qualche anno fa’, realizzando un diorama pasquale raffigurante la Deposizione di Gesù dalla Croce, ho posizionato in secondo piano la stessa zingara del presepe, triste testimone del compimento della sua previsione. Proprio la stessa zingara ho usato, regolarmente munita di “votapesce”, che in italiano si chiama “schiumarola”, che sarebbe quella paletta bucherellata che si usa per rigirare le fritture nella padella. Ma che ci fa la zingara in cammino sul presepe con una votapesce in mano? Semplicemente la vende ai passanti, assieme ad altri piccoli manufatti in ferro, come mestoli, forchettone, paletta per il braciere…
In pratica, lo zingaro li realizzava e la zingara si occupava della vendita ambulante. Un modo come un altro per guadagnarsi onestamente la campata. Ben poca cosa, considerata la fama di abili fabbri di cui godevano gli zingari, fin dal loro lontano arrivo nel Regno di Napoli (“‘e zinghere caurarare” costruivano e stagnavano ottime caldaie). Sulle loro piccole incudini nasceva il favoloso scacciapensieri, noto in Sicilia come “marranzana” e da noi come “tromba degli zingari”. Anche grossi chiodi forgiavano e qualcuno ha avutola la inquietante idea, grazie a Dio non molto diffusa, di porli tra le mani della zingara del presepe come drammatico segno di presagio. Troppo triste per carità, meglio ‘a votapesce.
In una incisione di metà Ottocento, tratta da “Usi e Costumi di Napoli” di F. de Bourcard, si vede come il modesto fabbro, si accovacciava per strada e allestiva la sua modesta fucina: una piccola incudine, pochi attrezzi e un ingegnoso manticetto fatto con pelli animali per alimentare il fuocherello necessario ad arroventare il ferro e ding… ding… ding… nascevano mestoli, palette e votapesce che la zingara vendeva per strada porgendoli con la mano lasciata libera dall’immancabile fantolino in braccio. I nostri pastorari l’hanno per lungo tempo rappresentata così. Io me la ricordo con almeno tre oggetti in mano, perlopiù fili di ferro rivestiti di creta, vagamente modellati e infilzati nel fianco. Poi mi ricordo che gli oggetti sono diventati due, poi uno e, infine, puf… si è perduta la votapesce. E sono convinto che sia lei l’ultima superstite perché le ultime presentano nella creta impronte che suggeriscono i forellini atti a scolare l’olio della frittura. Prima di scomparire del tutto, la povera votapesce era diventata un semplice dischetto di creta infilzato sul solito filo di ferro fissato nel fianco della povera zingarella ed era ormai impossibile riconoscerla.
Eppure qualche pastoraro continuava a realizzarla, forse senza sapere neppure più cosa fosse quell’oggetto, spingendo qualcuno a porsi la fatidica domanda: “Ma ‘a zengara, se po’ sape’ che ttene mmane?” La mia speranza è che fra i pastorari di San Gregorio Armeno spunti qualche anima buona che torni a plasmare la zingara come quelle di una volta. E, magari, tornando a produrre, perché no?, anche i soldati della “strage degli innocenti”: se ne vede qualche sommario tentativo in giro raffigurante un soldato che tiene per i piedi un neonato che è chiaramente un Gesù Bambino. Il soldato è pure disarmato perché si vede chiaramente che è una figura adattata. Forse anche lui avrà perso la spada. Quante cose ci stiamo perdendo negli ultimi tempi…
Note:
- La “votapesce”, in italiano si chiama “schiumarola”, ovvero l’arnese da cucina bucherellato che si usa per rigirare le fritture nella padella.
Gentile Dott. Cirillo, grazie per le informazioni preziose, corredate di immagini ricercate.
Cordiali saluti.