Nascita di Funiculì Funiculà
a cura di Giuseppe Zingone
Chi se non Piero Girace, avrebbe mai potuto descrivere la potenza della musica con cui Luigi Denza, ricamò le parole di Peppino Turco? Qui vi è la genesi di una storia che in pochi conoscono, la vicenda di un brano musicale, che ancor oggi scuote le anime e il corpo di chi l’ascolta. Una storia intrinsecamente legata alla nostra Castellammare, che non è solamente come lui stesso la definisce, “La piccola città“, Castellammare afferma Piero Girace è una Repubblica, e come tale aveva bisogno di un inno: Funiculì Funiculà.
La stagione estiva volge all’autunno fra balli e ricevimenti. Pare che ci sarà quanto prima una gran festa. Se ne fa un gran parlare nello Stabia Hall. Ministri, sottosegretari di stato, principi romani, ambasciatori, giornalisti.
E’ una sera di settembre del 1880. Il Principe di Moliterno parla con i suoi collaboratori della gran festa che dovrà aver luogo. Il Principe è inesauribile nelle sue trovate. La sua idea è quella di fare una festa a mare con barche e velieri illuminati. Per far sì ch’essa riesca bene sono stati invitati due giovani artisti: Luigi Denza e Peppino Turco, i quali per l’occasione debbono «varare» (siamo nella città dei vari) una nuova canzone.
Luigi Denza è ormai assai noto non solo in Castellammare, ma anche oltre Napoli. Egli ha scritto delle romanze deliziose, che tutte le signorine di buona famiglia suonano al piano. Musica languida, sentimentalissima. O begli occhi di fata! O begli occhi di fata! Durante tutto il giorno nelle strade, nelle ville non si ode che l’eco del ritornello di questa sua romanza, che ha fatto molto rumore. Le sue barcarole, indimenticabili, modulatissime, navigano1nelle sere estive con le onde, ed accompagnano le comitive al largo del golfo. Nei salotti non si parla che del biondo Gigino, e gli spartiti delle sue musiche, si ammucchiano sui tavolini, accanto ai pianoforti, insieme con i ninnoli.
L’altro giovane, Peppino Turco, giornalista, una specie di Rochefort, il quale ha scritto già nel Fanfulla, ed ora è uno dei condottieri del Capitan Fracassa, giornale letterario romano, al quale collaborano Mezzabotta, Quadrio, Cristofari, Scarfoglio, il Saraceno e Gandolin che ne è il direttore.
Peppino Turco, grasso, rotondetto, che rallegra le tavolate con il suo scoppiettio di facezie rablesiane,2è frequentatore assiduo del famoso Stabia hall dove, tutte le sere, in mezzo alle gaie comitive, ha agio di esercitare il suo spirito caustico. Turco e Denza sono amici indivisibili, e da buoni amici accettano l’invito del Principe di Moliterno.
– Ma come fare a scrivere in poco tempo una nuova canzone?
La festa avrà luogo fra qualche sera. Hanno inaugurato pochi giorni prima la funicolare del Vesuvio, la quale da Pugliano porta fino all’Osservatorio. L’avvenimento ha destato grande entusiasmo nei napoletani, che si recano tutti i giorni a Pugliano per andare in funicolare. Vi si reca anche Peppino Turco, e la sera, di ritorno dalla emozionante passeggiata, improvvisa i versi per la canzone e li passa al suo amico Denza. Sono versi dialettali che inneggiano appunto alla funicolare del Vesuvio. Mai versi più rapidi, più semplici di questi furon concepiti.
La canzone si chiamerà: Funiculì – Funiculà. Denza la legge e si entusiasma.
– Bravo. Hai fatto dei versi bellissimi.
– Dici sul serio?
– Sul serio! Vedrai che musica uscirà fuori da questi versi!3Il musicista mette il manoscritto in tasca, poi dice: – Senti, ora debbo assolutamente lasciarti, Corro a casa.
– Ma aspetta – fa l’altro – Andiamo prima a cenare.
Peppino Turco ama i banchetti, i cibi saporiti e la buona compagnia.
La bella Bianca Sopranzi,4 sua moglie, è andata a Roma, Ritornerà fra qualche giorno ed egli non vuol cenar solo. Ha paura della solitudine.
Ma Denza non ha alcuna voglia di cenare. Si sente febbrile, inquieto. Ha voglia di ben altro.
Lascia alla fine l’amico, e corre a casa dove l’attende un altro amico, al quale egli fa tutti i suoi sfoghi.
L’amico dorme sotto una federa bianca, nel suo studio, dove su di un piccolo tavolo stanno alla rinfusa una quantità di spartiti musicali.
Egli scopre la tastiera e si mette a suonare. Quei versi di Peppino gli hanno comunicato un’allegria strana, e tutti i suoi nervi vibrano come corde tese.
«Se n’è sagliute, oinè
se n’è sagliuta la capa già.
E’ ghiuta, po’ è turnata
po’ è venuta
sta sempe ccà».
Getta giù le prime note, rapide, orgiastiche. La stanza ne vibra tutta. Il popolo canta ed esprime in quelle note il suo entusiasmo vulcanico.
Per la finestra aperta volano i ritmi.
La sera è piena di stelle.
I vicini di casa del maestro sono vivamente sorpresi nell’udir quella musica strana, quella specie di inno bacchico, che rompe il silenzio della sera quisisanese.5
Lasciano di attendere alle loro faccende e si mettono in ascolto. La musica aumenta di tono; si sfrena. Dà l’idea di una folla che si esalti e si inebbri.
– Non ho mai sentito – dice uno dei vicini – una musica come questa.
– Non è roba sua – dice un altro.
Continua così la discussione fra i vicini di casa, i quali conoscono di Denza altre canzoni, di tono assai diverso.
Il biondo Luigino delle languide romanze da salotto, che tutte le signorine perbene suonano nelle serate di ricevimento, ora sembra un invasato. Le chiome scompigliate, il volto contratto, è irriconoscibile.
Il vento settembrino agita le tendine della finestra.
***
La sera seguente il maestro Denza entra nello Stabia hall, e va a sedersi al piano. Molte signore gli si stringono intorno, e si fanno vento con i loro grandi ventagli piumati. La sera è calda. Lo Stabia halll affollatissimo. L’ammiraglio Acton sta nella sala verde dove alcuni soci giuocano un’agguerrita partita a carambola.
Senonché appena Denza incomincia a suonare – e le prime note fanno l’effetto di uno squillo – tutti abbandonano le partite di carambola e di tressette, ed accorrono nella sala dove suona il giovane maestro.
Funiculì-funiculà è un’esplosione di gioia collettiva. I soci, presi dell’entusiasmo, si mettono a cantare. Cantano le signore, canta perfino il vecchio ammiraglio Acton. Ma più di tutti canta Peppino Turco, in piedi, accanto al maestro, con la carta dove sono scritti di suo pugno i versi, e si agita, commosso, orgiastico, gesticolando come un matto.
E’ un vero trionfo.
Il maestro è costretto a ripetere la bellissima canzone infinite volte.6
A notte tarda quando lo Stabia Hall chiude le sue porte, i camerieri ed i garzoni, rincasando, la fischiettano per le vie deserte di Castellammare.
Poche sere dopo, sotto le terrazze dello Stabia Hall, si svolge la caratteristica festa a mare, ideata dal Principe di Moliterno. Le barche ed i velieri illuminati navigano lentamente, e si avvicinano alla banchina dove sorge il mondanissimo ritrovo. Gli equipaggi sono formati di cori che intonano Funiculì – funiculà.
La sera settembrina volge nel cielo dolcissimamente.7
LA PRIMA AUDIZIONE
Correva l’anno di grazia 1880. Da pochi giorni si era inaugurata la funicolare che conduce al cratere del Vesuvio; l’avvenimento importantissimo ebbe una larga eco in Italia e fuori. E Don Peppino Turco ed il giovane musicista Luigi Denza composero: Funiculi Funiculà!. La quale fu cantata nella festa a mare che si tenne la notte di Piedigrotta a Castellammare. Il successo fu immediato: un tripudio immenso. La canzone fu fatta ripetere quattro o cinque volte. Fu ripetuta, poche sere dopo, a Napoli. Successo anche qui strepitoso. Funiculì Funiculà! prese a girare pel mondo. Sono trascorsi tanti anni e gira ancora, senza mai invecchiare. Nessuna canzone può segnalare al suo attivo un successo di popolarità mondiale (*) pari a quello di questa bizzarra Funiculì Funiculà.
(*) Funiculì, funiculà, fu tradotta in tutte le lingue e in un anno se ne vendettero oltre un milione di copie. All’estero Funiculi, Funiculà viene eseguita pure … in occasione del cambio della guardia al Palazzo Reale di Danimarca. E quando tale canzone, richiesta dallo Zar, fu cantata alla Corte russa dal tenore Marconi, l’Imperatore e tutta la Corte ne ripetettero il coro. (PIETRO ELIA: Piedigrotta – La sagra della canzone napolitana, Romana Graf, Roma).8
Funiculì Funiculà
Aissera, Nanninè, me ne sagliette Tu saie addò?
Addò sto core ngrato chiù dispiette Farme non po’.
Addò llo fuoco coce, ma si fuie Te lassa stà
E non te corre appriesso, non te struje Sulo a guardà
Jammo ncoppa, jammo, jà… Funiculì – funiculà.
Nè jammo: da la terra a la montagna No passo nc’è;
Se vede Francia, Proceta, la Spagna…. E io veco a te.
Tirate co lli fune nnitto, nfatto Ncielo se va;
Se va comm’a llo viento, a l’antrasatto,
Guè, saglie, sà, Jammo ncoppa, jammo, jà…
Funiculì – funiculà.
Se n’è sagliuta, oie Nè, se n’è sagliuta, La capa già;
E’ ghiuta, po’ è tornata, e po’ è venuta… Sta sempe ccà!
La capa vota vota attuorno, attuorno, Attuorno a te
Llo core canta sempe no taluorno:
Sposammo, oie Nè!
Jammo ncoppa, jammo, jà… Funiculi – funiculà.
Leggi gli altri scritti di Piero Girace
Articolo terminato il 7 Gennaio 2023
- Piero Girace, Le acque e il maestrale, (Cronache estive di Castellammare) 1937. Estratto dalla: Ristampa (a cura) dell’Azienda Autonoma di Soggiorno, Cura e Turismo, del 4 gennaio 1961, arti grafiche SAV Napoli, pag. 151. ↩
- Scherzoso, satirico, sboccato, ma con la forza e il realismo espressivi tipici dell’opera di Rabelais. ↩
- Piero Girace, Le acque e il maestrale, (Cronache estive di Castellammare) 1937. Estratto dalla: Ristampa (a cura) dell’Azienda Autonoma di Soggiorno, Cura e Turismo, del 4 gennaio 1961, arti grafiche SAV Napoli, pag. 152. ↩
- Leggi anche: Max Vajro, L’episodio che dette origine alla canzone Funiculì Funiculà, in Michele Palumbo, Stabiae e Castellammare di Stabia, Aldo Fiory 1972, pag.641, numero 470. “E veniamo alla bella donna, con la quale ci sbrighiamo subito; a che scopo una descrizione letteraria di una bella signora che non la abbiamo mai conosciuta? Era Bianca Sopranzi, moglie di Peppino Turco, donna bellissima ed elegante (a quanto riferiscono le cronache e mi confermava il galante maestro De Leva, che la conobbe) che si divideva fra Roma, Napoli e Castellammare. Anzi, da questo suo andirivieni derivò, udite udite, lo spunto per il memorabile avvenimento che stiamo rievocando, con modesti indatti colori. (Del Vesuvio è inutile parlare, se non per ricordare che in quel settembre 1880 fumava a più non posso, e teneva in capo una bella coppola rossa, un’aureola di brace che si vedeva dalle colonne d’Ercole, poste, come ognun sa, in linea retta col famoso vulcano)“. ↩
- Piero Girace, Le acque e il maestrale, (Cronache estive di Castellammare) 1937. Estratto dalla: Ristampa (a cura) dell’Azienda Autonoma di Soggiorno, Cura e Turismo, del 4 gennaio 1961, arti grafiche SAV Napoli, pag. 153. ↩
- Piero Girace, Le acque e il maestrale, (Cronache estive di Castellammare) 1937. Estratto dalla: Ristampa (a cura) dell’Azienda Autonoma di Soggiorno, Cura e Turismo, del 4 gennaio 1961, arti grafiche SAV Napoli, pag. 154. ↩
- Piero Girace, Le acque e il maestrale, (Cronache estive di Castellammare) 1937. Estratto dalla: Ristampa (a cura) dell’Azienda Autonoma di Soggiorno, Cura e Turismo, del 4 gennaio 1961, arti grafiche SAV Napoli, pag. 155. ↩
- Francesco Dell’Erba, La prima audizione. In: Michele Palumbo, Stabiae e Castellammare di Stabia, Aldo Fiory, 1971, pag. 640 e 641. ↩
Quattro anni fa, in occasione di un mio viaggio a Londra, ebbi modo di ascoltare una esecuzione di Funiculí Funiculà ad opera della banda militare, durante il cambio della guardia davanti a Buckingham Palace.
Del resto, la cosa non deve destare meraviglia, dal momento che Luigi Denza visse oltre metà della sua vita a Londra, dal 1879 fino alla sua morte, avvenuta nel 1922