Antico acquedotto (foto dott. Andrea Grosso)

L’antico acquedotto

articolo del dott. Andrea Grosso

Antico acquedotto (foto dott. Andrea Grosso)

Antico acquedotto (foto dott. Andrea Grosso)

Tra il 1880 e il 1884 fu costruita la strada che collega Agerola con Castellammare di Stabia, attraversando Pimonte (che allora contava intorno ai 1700 abitanti) e Gragnano.

Già nell’agosto del 1880, fu terminata l’apertura della galleria delle Palommelle (tra Agerola e Pimonte, in effetti completata nel 1885). Un’antenata ricordava che quando gli operai si incontrarono dai due versanti, fecero grande festa, a Pimonte (presso una taverna in via Casa Cuomo Piazza), con un pranzo a base di stocco e vino. Subito dopo questa data Pimonte risulta raggiungibile, in poco più di un’ora, da Castellammare, con una vettura a tre cavalli.

La Galleria fu costruita sotto il valico di S. Angelo, la mulattiera delle Palombelle dove si praticava la caccia dei colombi al passo. Già il generale Paolo Crescenzo Martino Avitabile di Agerola aveva domandato, con presentazione di progetto completo, al re Ferdinando II una strada rotabile che congiungesse Agerola con Gragnano. Le vicende della rivoluzione del 1848 impedirono al Re di mantenere la promessa.

Dal lato di Agerola un marmo ricorda l’inaugurazione della Galleria: Sotto gli auspici dell’Avvocato Carlo Gambuzzi, l’impresa costruzioni DRAMS & RIPESI col valido aiuto dell’Ing. Direttore dei lavori Luciano Della Martora e dell’Ing. dell’Impresa Gennaro Dramis questa Galleria in men di un anno costruì, oggi 22 agosto 1880.

Questa strada fu allargata e sistemata intorno al 1967 (i pimontesi da allora la chiamano “vianova”); nel 1961 (lavori iniziati nel 1959) fu terminata la deviazione per Sigliano (dove si accampò Silla con il suo esercito quando “delevit” Stabia, durante la Guerra Sociale dal 91 all’88 a.C.), che consente da allora, di raggiungere Castellammare senza necessariamente transitare per Gragnano.

Per rendere agevoli le comunicazioni tra questi paesi la costruzione della strada richiese il sacrificio di gran parte dell’antico ponte dell’Acquedotto Borbonico, in zona Tralia, la frazione che più direttamente collegava Pimonte con Castellammare, attraverso via Canti e Privati/Quisisana. Per i moderni Cantieri a Stabia si abolì il convento dei Carmelitani.

Lungo questo percorso a partire dal 1780, su iniziativa di Giovanni Eduardo Acton, ministro del re di Napoli (capo del Ministero del Commercio e Marina, dal 1779), Ferdinando IV di Borbone (il Re nasone e lazzarone), fu costruito quel meraviglioso acquedotto Borbonico (14 miglia di canaletti impermeabilizzati, con pozzi di ispezione, sfiati ed altre opere idrauliche… famosa, nella tradizione popolare, ‘a cerbia d’‘a Mastrascella, una di queste cisterne di raccolta ed ispezione, dove fu ritrovato il corpo di una giovane Pimontese, scomparsa da giorni e, sembra, lì annegata per vendetta) che avrebbe arricchito di altre, abbondanti acque quei Cantieri che già nel 1783 divennero i più grandi d’Italia, con ben 1.800 operai supportati da centinaia di galeotti. Instancabili antenati che vararono subito, il 13 maggio 1786 la bella corvetta Stabia. La direzione dei lavori fu affidata all’ingegnere francese Antonio Imbert.

Lungo il percorso di queste acque si contavano cinque mulini (vedi Analisi e facoltà delle acque minerali di Castellammare esposte per ordine del Ministero degli Interni, 1833) ed ancora nel 1859 un mulino con una macchina ad acqua pressa, per la molitura dei cereali (censito presso il Ministero dell’Agricoltura).

Dopo la distruzione di Stabia ad opera dell’esercito di Silla, la città era stata ricostruita più in basso, rispetto alla collina di Varano e già da allora alle pendici del Monte, piccoli cantieri privati lavoravano alla costruzione di piccole imbarcazioni, i mastri d’ascia stabiesi erano rinomati in tutta Italia. L’eruzione “Vesuviana” del 79 seppellì questo porto nascente. Si ricominciò!

L’attività ebbe un incremento nel XV secolo, quando numerosi cantieri si contendevano i lavori del settore.

Il ministro Acton ritenne questa località ideale per la costruzione di un grande, unico, cantiere navale: i boschi di proprietà demaniale di Quisisana garantivano ottimo legname, le 28 sorgenti di acque minerali permettevano un trattamento ed una stagionatura ottimali, il collegamento stradale con la Capitale era già comodo e veloce.

Da Agerola si incanalarono acque sgorganti dalla montagna di Scala e Acqua Fredda, (a circa 1000 di altezza), con una portata massima di circa 24 litri al secondo, fino a Castellammare, passando per Pimonte (frazioni Resicco e Tralia), Monte Coppola e palazzo reale di Quisisana.  Da qui il canale principale proseguiva fino alla strada sorrentina per arrivare al cantiere, rifornendo anche numerose fontane della città, monasteri e qualche abitazione privilegiata, una derivazione alimentava le fontane “del re” e la Reggia sottostante. La manutenzione era giornaliera. Dopo il 1808 il cantiere fu ingrandito, per ordine di Gioacchino Murat.

Così descrive (traduzione dal latino da parte di Giacinto d’Avitaja-Rapicano) il Milante l’acquedotto borbonico: “… Queste acque sgorgano nella montagna di Scala, luogo detto di S. Giuliano, e Acqua Fredda, ed in altre sottoposte montagne, discoste da Castellammare più miglia. Per via di condotti, e Ponti, e d’una infinita estensione, diede opera quel Sovrano, che esse discendessero per Pimonte, Tralia, Quisisana, e giungessero in Castellammare al luogo detto sotto ai Cappuccini, e di là passassero al Cantiere, e sulla riva stessa del mare al Molo varie fontane per comodo pubblico, e specialmente de’ naviganti. Di queste acque il lodato Re Ferdinando ne concedette una porzione alla Città; la quale ne ha formato diverse fontane, e l’ha guidata per li Monasteri, pubblici stabilimenti, e non poche abitazioni de’ Cittadini …”

Il Parisi (Cenno storico-descrittivo della città di Castellammare di Stabia) scrive di un’acqua dei Cappuccini… ad altre acque unita che nella montagna di Scala e nel luogo S. Giuliano detto sorgono, non che in quello acqua fredda chiamato ed altrove era per cura del benefico sovrano Ferdinando I dei Borboni mercè degli estesissimi acquedotti portata per Pimonte, Quisisana, le Botteghelle, sino al real Cantiere e sul Molo, animando molti molini nel suo cammino. Il Comune di Castellammare porzione dal generoso Sovrano ne otteneva onde accolta pur trovasi in varie pubbliche e particolari fontane nei monasteri Pace e di S. Bartolomeo, in quello di S. Francesco, nel seminario e nel giardino vescovile …

Di quella grande opera ingegneristica permane qualche significativo ricordo (a Tralia, Penetralia Castri Maris), sopravvissuto al sacrificio che dovette subire a favore della SS 366 (che copre gran parte di quel prezioso lavoro, soprattutto nei pressi dell’Hotel Montuori).

Antico acquedotto (foto dott. Andrea Grosso)

Antico acquedotto (foto dott. Andrea Grosso)

Quel che resta è prossimo al crollo, essendo gli archi gravemente compromessi, si continuano a trafugare mattoncini d’argilla! In verità l’amministrazione si è attivata, ma le autorità competenti (Marina Mercantile, Ministero beni Culturali), “negligono”, ‘ntalleano, come spesso accade!

Antico acquedotto (foto dott. Andrea Grosso)

Antico acquedotto (foto dott. Andrea Grosso)

Negligere è dal latino neglegĕre (o negligĕre), comp. di nĕc ‘non’ e legĕre ‘accogliere’, ‘non accogliere (nella mente)’, quindi ‘trascurare, non curare’. E la storia rischia di ripetersi!

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