Poesia di Murolo

Poesia di Murolo

Giuseppe Zingone

Vincenzo La Bella, Ernesto Murolo, disegno acquerellato, Certosa e Museo Nazionale di San Martino, 1897

Un articolo apparso sul Mattino del 13 novembre del 1942, di Piero Girace, viene qui ripresentato,  questo scritto, celebrava la pubblicazione edita da Bideri,1delle poesie di Ernesto Murolo, a qualche anno dalla morte (era il 1942) del celebre poeta, giornalista e commediografo.

Poesie, edizioni Bideri 1942

Ernesto Murolo, nasce a Napoli il 4 aprile 1876 e a Napoli muore, il 30 ottobre del 1939.  Per coloro che hanno poca dimestichezza con la storia nostrana era figlio (almeno sulla carta) del ricco commerciante Vincenzo Murolo, in realtà anche lui come i De Filippo, era figlio illegittimo di Eduardo Scarpetta. E proprio al padre genetico che mai lo riconobbe, Ernesto Murolo contrappose sempre il suo giudizio, le sue opere di drammaturgo ed insieme a molti giovani artisti napoletani, riuscì ad innescare quell’inimicizia con Gabriele D’Annunzio, che sfociò in una causa per plagio.2

Nel 2021, Mario Martone, porta alla 78ª mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il magistrale film, QUI RIDO IO, interpretato da uno straordinario Toni Servillo.3

Qui rido Io, di Mario Martone, fotogramma del film 2021

Da non dimenticare il legame esistente tra Piero Girace e Roberto Murolo, figlio di Ernesto, il quale eseguì il brano Sola, di cui potete trovare notizia nel seguente articolo: “Sola di Girace – Nardella“.

L’ARTICOLO

Poesia di Murolo

Renato Serra nel suo volume «Le lettere», che è del 1911, parlando dei poeti napoletani, dice: – « C’è Murolo che ha delicatezza ».4
Mi viene in mente il giudizio del critico Cesena proprio oggi, che a distanza di due anni dalla morte del Poeta, in casa Bideri pubblica una edizione definitiva con note e glossario delle poesie di Ernesto Murolo, cioè del vero cantore del popolo napoletano.
Sfoglio il bel volume, rileggo le poesie, quelle del primo periodo, maliziose galanti secentesche, che esalano il profumo delle vecchie stagioni come i cassetti dei canterani panciuti dei nonni, quelle recenti elegiache e favolose, pervase di malizia e di malinconia; e più mi persuado della definizione Seriana di tanti anni fa.
Delicatezza per Renato Serra voleva significare molte cose: grazia, buon gusto e soprattutto quel fermarsi a tempo, che è la virtù maggiore di tutte le arti e specialmente della poesia.
Quegli di cui accenna Serra era un Murolo giovane, passionale, un po’ idillico, un po’ malizioso, un po’ sentimentale, che si alimentava della poesia di giacomiana e se ne distaccava con una disinvoltura sorprendente, riuscendo ad esprimere già un suo tono ed anche una sua atmosfera poetica concerti assaporamenti di parole con certe assonanze e sensuosità verbali, che spiccano sulla pagina come pennellate dense, e che non sfuggono nemmeno ad un lettore poco attento.
Difatti giovanissimo egli cantava: «‘Ncopp ‘o capo ‘e Pusilleco addiruso, addò stu core se n’è ghiuto e casa, ce sta nu pergolato d’uva rosa e nu barcone cu ‘e mellune appise… Ncopp ‘o capo ‘e Pusilleco addiruso…»
Se Renato Serra avesse avuto la ventura di assistere allo sviluppo di questa poesia, che esprime sia pure con minore limpidezza di quella di Di Giacomo ma certo con maggiore emotività, i sogni e le malinconie del nostro popolo, avrebbe chiarito e sviluppato il suo giudizio con molti altri attributi.
Murolo è come tutti ormai sanno un poeta istintivo: colloca le parole nelle sue poesie con felicità d’intuito, con un senso di necessità assoluta; e la e là le parole hanno aria, luce, trasparenze, sapori e odori come le cose che rappresentano e danno a chi legge lampi e fragranze.
La sua poesia certe volte così sensuale, così pregna di umori, richiama alla mente perfino D’Annunzio, che egli amava molto, ma un D’Annunzio panico e meridiano, dai sensi esasperati e pronti: «Arde ‘o tturreno ‘e sole… E miez’ addore d’uva ‘nzurfata e perzeche ammature che frischezza sti vase! E che sapore ca tiene mmocca ‘e frutte e comm’addure!…»
Durante la lettura di questa raccolta definitiva, in cui sono stati incluse molte delle delle poesie dell’ultimo periodo del Poeta mi è parso di entrare nel vivo dell’anima napoletana. – tra sogni e malinconie ataviche passioni e nostalgie – vedendo svolgere cieli e campagne, in una luce dalboniana con le trattorie e le terrazze che danno sul mare o sulla campagna estiva, arse dal sole.
Perché nessuno fra i nostri poeti è più napoletano di Murolo; nessuno è più acuto osservatore di lui: egli non si chiude in un soggettivismo disdegnoso, ma si fa popolo voce di strada, di collettività festose: «O Miercurì d’a madonna o Carmene», «Ritorno», in cui circolano voci, rumori e si avverte un che di spaziale e di drammatico, ne sono un esempio. In queste poesie ora citate l’uomo di teatro si accoppia al poeta.
Ma c’è un muro lo popolaresco, agreste, e fantasioso, che fra malizie garbate reali impeti lirici, riesci a dare di sé un’immagine più sincera e sentita. Es: «Napule ca se ne va», «O Cunto e Mariarosa», «Quando ammore vò filà». Egli qui canta la stessa maniera con cui Don Edoardo Dalbono dipingeva, sollecitato da fantasie vaghe e delicate.
E grande pittore, violento e sensuale, egli si rivela appunto in quella sua ormai famosa «Pasca rusata», in cui si sente il calore dell’estate che si avvicina risvegliando uomini e cose.
«’E vestite già pesano… ’E llenzole già nfòcano… Nun è cchiù fredda, ’nfaccia, l’acqua, ’a marina: mo a calore ’e sole, scorre… e se fa cchiù fresca… e sguazzarià — cu ’a scumma d’ ’o ssapone— te può, bellezza mia!… Già veco ’e braccia — nun appanna ’o balcone… — veco sta mana chiattulella e nfosa fermà cu duie ferrette sta trezza ancora nfosa, nera e lucente comm’a nu gravone…»
Le pennellate sono decise; il disegno è netto. Dalle sensualità esasperate passa ad una dolce malinconia. Basterebbe citare «Marina piccola» che è secondo me una delle più belle felici interpretazioni poetiche sinora tentate dell’isola di Capri.
Egli è un visivo: Ecco perché il senso della pittura è più che mai evidente nella sua opera poetica; Ecco perché, da anni ormai per trovare riferimento alle sue poesie si insiste nel richiamare o la pittura della scuola di Posillipo o più specificamente quella di Dalbono, al quale egli è vicino per il gusto sentimento e fantasia.
Si dice non esistono in lui drammi intimi, travagli spirituali. Che importa? Egli ha l’esuberanze, gli entusiasmi vi dico dalle repentine malinconie la coscienza della provvisorietà di tutte le cose che è proprio dei napoletani, per cui non poche volte quando canta e sollecitato da questa remota malinconia, e riesce a far vibrare, nel breve spazio di una strofa, la sua tristezza, che poi la tristezza della razza:
«Figliole ‘e Capemonte,
cu zuóccole e tammórre,
aunìmmoce e abballammo,
ca è festa e ‘o tiempo corre.»
Bisogna notare molte altre cose ancora e cioè la comicità, l’ironia garbata, la causticità, doti naturali di Ernesto Murolo (A storia ‘e Roma fu scritta quand’egli era giovanissimo e si firmava con lo pseudonimo di Ruber);5ogni tanto spuntano quasi ad interrompere la pateticità o la passionalità di certi motivi (In licenza. Armammoce e., ghiate, Confidenze) e traducono la poesia in scene bozzetti di sicuro effetto. Ma, secondo me quello che più conia e resta nella storia della poesia napoletana e il muro Murolo popolaresco e lirico al quale basta una strofa o verso per creare paesaggi indimenticabili o farti sentire la afa di un pomeriggio di estate (Cuntrora), Ho la nostalgia di stagioni trascorse, o una notte stellata piena di mistero, ho la solitudine dell’uomo innamorato al cospetto della natura, e certe ebbrezze e certi abbandoni (Notte e silenzio, Stelle, nisciuna… tanto è ‘o chiarore ‘e sta luna) che esprimono certi stati di animo molto comuni a noi meridionali, e che danno conto di una liricità considerevolissima. Certe aperture ariose (Villanova! E che balcone pe chi è giovane e vò bene) certe espressioni di una plasticità unica, (Rose d’o munastero ‘e San Martino, Loggia ca ncielo fravecata stai.) (Na puntigliosa cu nu musso astrinto) certe malizie così garbate e care (Cancielle ‘e massari, Cancielle nchiuse – che catenaccio mamma nc’eve miso!) Certe sensazioni olfattivi e tattili certe sintesi che danno dei punti a tutte le arditezze espressive dei futuristi, sono tipicamente muroliane, si danno inaugurato una nuova poesia contrassegnata da caratteri inconfondibili.
Senza portare oltre il discorso ci basti dire che Ernesto Murolo è tra i poeti napoletani quello che maggiormente si adegua all’anima del popolo e perciò il più amato e sentito.6
                                                                                                                          Piero Girace

Poesia di Murolo, Il Mattino, 13 Novembre 1942, Anno XXI, pag. 3

Articolo terminato il 24 ottobre 2023

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  1. Fondata a Napoli nel 1876 da Ferdinando Bideri, questa casa editrice raccoglie la maggior parte delle canzoni napoletane in auge da quegli anni sino ad oggi, la sede si è spostata a Roma ed è ancora nelle salde mani della famiglia, nella persona di Silvia Bideri.
  2. La difesa di Scarpetta e del suo teatro, fu felicemente appoggiata anche da Benedetto Croce.
  3. Eduardo Scarpetta, nel 1906 mette in scena Il figlio di Jorjo, una parodia dell’opera dannunziana La figlia di Iorio.
  4. Renato Serra, nacque a Cesena il 5 dicembre 1884, morì a Monte Podgora il 20 luglio 1915 è stato un critico letterario e scrittore italiano.
  5. Molti furono i giornalisti e gli scrittori, soprattutto all’inizio della propria carriera i quali celavano la propria identità dietro uno pseudonimo, vedi: Olga Ossani, in arte Febea, lo stesso Girace si firmava Michele Grigorief, Ernesto Murolo, Ruber ossia rosso, dal colore dei suoi capelli.
  6. Piero Girace, Ernesto Murolo – «Poesie» con note e glossario – Editrice Bideri – Napoli, in 8°, pagg. 407, 1942. Il Mattino, Napoli 13 Novembre 1942- Anno XXI, pag. 3.

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