Olga Ossani, Febea

Olga Ossani, Febea

di Giuseppe Zingone

Olga Ossani

Olga Ossani nasce a Roma il 24 maggio del 1857 da Carlo e Maria Paradisi.
I genitori furono portavoce di quei valori risorgimentali che segneranno la vita ed il carattere di Olga, imprigionati nelle carceri pontificie nel 1862, (Olga aveva solo cinque anni). Dai ricordi di questa drammatica esperienza familiare scrive nel 1908, il racconto La bambola in prigione.

Successivamente alla liberazione, la famiglia si trasferì a Napoli, aprendo una pensione, in località Pozzano, qui a Castellammare. Olga Ossani oltre a scrivere per vari giornali (come il Capitan Fracassa) con lo pseudonimo di Febea, strinse forti legami, con quella classe intellettuale napoletana, di fine ottocento ed inizi novecento che ancora oggi rimane uno dei capisaldi della cultura italiana. Fu profondamente legata all’amica, Matilde Serao ed al marito Eduardo Scarfoglio.

Carissima Olga,                                                       Napoli, venerdì, 19 agosto 1881

non son potuta venire perché mio papà è stato ed è indisposto. Ma ora accenna a star meglio e domenica col treno delle 7,20 vengo a Pozzano in compagnia di me stessa. Me ne andrò con quello delle 8,55 di sera o col festivo delle undici di sera. So che domenica vi sono le regate; ma io non vi sarò punto di fastidio. Se ci andate e vi è posto per una miserabile vagabonda, verrò con voi; se non ve ne è, rimango negli ozii di Pozzano; se non ci andate, rimaniamo insieme. Insomma di me si fa quel che si vuole, mi si mette dapertutto e vi resto, con quell’aspetto dignitoso di mummia che hanno tutte le persone cosiddette serie.
Dopo aver domenica assaggiato Pozzano, combineremo il giorno in cui vi trasferirò i penati miei e le mie pene.
Verdinois è venuto.1Se lo veggo ancora, lo persuado a venire domenica. Ma farà poi la corte a me o a voi? Questo dubbio atroce rovina la mia esistenza.
Bonjour, ma belle. Je vous embrasse sur les jucres.
                                                                                                             Matilde Serao2

Nel 1884 a Napoli scoppia una grave epidemia di colera,3Olga decide di non rimanere a guardare, collaborando con la Croce Bianca, per prestare aiuto ai sofferenti, il coraggio dimostrato le valse tra la l’altro una medaglia d’argento al valore civile e la stima dei napoletani. Fu dopo questi eventi che abbandonò lo pseudonimo di Febea e si trasferì a Roma.
Nella capitale ebbe modo di conoscere Gabriele D’Annunzio, furono in molti a rimanere affascinati dalla Ossani, come il pittore e scultore Francesco Jerace che riproduceva le fattezze di Olga in ogni sua opera.
Successivamente sposerà Luigi Lodi suo collega giornalista al Capitan Fracassa e con lui rimase fino alla fine. Olga Ossani morì improvvisamente l’11 febbraio 1933, a Roma, pochi giorni prima del marito.4

Capitan Fracassa,1916

Una donna forte5e promotrice dei diritti delle donne.6Ecco quanto emerge da due articoli del Corriere della Sera che qui inseriamo. Sul diritto del voto alle donne ricordiamo che: In Italia fino al 1880 aveva diritto al voto solo il 2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto di voto il 23 % ma solo la metà lo seppe e lo volle usare. Dal ’22 al ’45 il certificato elettorale non arrivò più a nessuno, ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose.7Solo il decreto n.74 del 10 marzo 1946, in occasione delle prime elezioni amministrative postbelliche, concederà alle donne con almeno 25 anni di età, la possibilità di  eleggere ma soprattutto essere elette.

Corriere della Sera, 28 Ottobre 1900

Petizione per il voto alle donne, Corriere della Sera ,11 marzo 1906

Delle vicissitudini di Olga Ossani a Castellammare ha scritto Piero Girace, nel suo Le Acque e il Maestrale. Emerge sempre più la consapevolezza che molti dei racconti cronologicamente più significativi o che fanno riferimento a fatti accaduti a Castellammare, sono frutto dei ricordi del barone Francesco Girace, padre dello scrittore e critico d’arte, Piero.  Anche Olga Ossani fa parte di questo piccolo Olimpo di grandi personaggi che frequentavano un tempo (soprattutto d’estate) la nostra bella Città.

Una rarissima foto del barone Francesco Girace con suo figlio Piero

XVI  VILLEGGIATURE DI ALTRI TEMPI

Sono gli ultimi anni dell’ottocento.
L’estate ha portato in Castellammare forestieri a non finire. Non si contano i nomi illustri. C’è un sole che spacca le pietre, e le strade sono piene di carrozzelle, le quali con i loro strani ombrelloni bianchi dan l’idea di tante piccole barchette, che navigano in un fiume di luce.
Ma dove vanno tutte queste carrozzelle? Formano carovane.
Alcune vanno alle Terme, altre sono dirette verso le spiagge di Pozzano e dello Scraio, che sta roccioso con le terrazze sul mare, altre arrancano lamentandosi sui vecchi viali di Quisisana, dove stanno tutte le ville antiche, altre prendono la piccola strada, canora di cicale, che mena sulla collina di Pozzano, dove il campanile della chiesa si leva, robusto, sulla piazzetta solaria, ed ascolta impassibile i murmuri del mare, che al di sotto batte contro gli scogli disseminati lungo la strada sorrentina.

Fig. 10 La Basilica di Pozzano e la croce in una cartolina di inizio ‘900

La Basilica di Pozzano e la croce

Su questo amenissimo colle, dove i monaci serenamente attendono alla cura della propria anima, ed i vignaioli si attardano fra i sentieri a cogliere pesche mature e fichi per i forestieri, vi è anche la pensione “Cottage“, piccola, pittoresca, dall’aria romantica, dove molti stranieri vanno a soggiornare, ed alcuni artisti a parlar di poesia e di ideali.
La gestiscono due esuli, i coniugi Ossani, patrioti che soffrirono (pag. 113) le persecuzioni austriache, che scamparono ulteriori pericoli, e ripararono qui, dove, per tirare innanzi la vita, misero su la piccola pensione, che intitolarono “Cottage”, perchè la casina aveva tutta l’aria romantica del cottage.
Una signorina vestita di bianco, alta, bruna, molto bella, esce dalla piccola pensione, e si ferma presso il muricciolo della piazzetta, di là dal quale i pini marini, che hanno messo radici nella roccia, precipitano fino alla strada sorrentina, dove il mare si allarga sereno.
La signorina è la scrittrice Olga Ossani, figlia dei proprietari della piccola pensione. Ha già pubblicato alcuni racconti ed articoli che sono stati molto apprezzati da gente che se ne intende non poco. Si firma Febea. E tutti gli amici di arte e le amiche la chiamano la Febea. Questo pseudonimo dietro il quale si nasconde, glielo invidia persino Matilde Serao, che è sua amica e già molto nota per il suo “Cuore infermo“, pateticissimo romanzo, nel quale parla delle ville di Quisisana, e dalla vita fastosa di Castellammare.
La Febea sosta presso il muricciolo a contemplare il mare, ed infine si avvia per la stradetta tortuosa dove strillano le cicale.
Ma non è giunta nemmeno a metà strada che ella s’imbatte in due giovani, in “paglietta” ed abito bianco di lino, collettone duro e cravatta fantasia. I quali vengono da Napoli, ed hanno fatto un viaggio disagevole e lungo, con l’affannosa vaporiera, che durante tutto il percorso ha strillato agli alberi della campagna ed ai paesotti della linea un saluto pettegolo e vanitoso. Tutto ciò hanno sopportato per bere un bicchiere di acqua (pag. 114) minerale delle Terme, e per stare un po’ insieme con la collega scrittrice Febea.
Questi due giovani si chiamano, l’uno Salvatore di Giacomo, l’altro Roberto Bracco.
Hanno tutte e due già un nome. L’uno per molte canzoni e sonetti, di una potente plasticità, di cui si dice un gran bene, e l’altro per certe commedie, umanissime, piene di sentimento, le quali hanno riportato successi strepitosi sui teatri italiani. Insomma tutte e due artisti, e già noti.
Scendono dalla cigolante carrozzella e si avviano con la Febea verso lo stabilimento delle acque minerali, che in quell’ora è affollatissimo. Agosto ha portato con sé donne bellissime, che fanno mostra della loro bellezza e delle loro tolette elegantissime.
Il sole scotta, e le cicale della piccola strada del colle cantano a più non posso. Una di esse, mentre così disperatamente canta, scivola dal ramo dell’albero su cui si nasconde, il quale si protende sulla strada, e cade, nientemeno, sulla paglietta di don Salvatore.
Prorompono tutti e tre in una bella risata.
Camminano e conversano.
Gabriele D’Annunzio ha pubblicato un nuovo volume di poesia, che ha suscitato un putiferio di commenti. S’intitola “Intermezzo“. Tutti ne parlano e criticano l’immortalità di questo libro. Chiarini e Panzacchi danno su per le gazzette letterarie severi moniti al giovanissimo poeta, che essi stessi alcun tempo prima tennero a battesimo. Si fa una polemica intorno alla verecondia. Tanto che in tutta Italia non si parla che di (pag. 115) Gabriele e della verecondia. Luigi Lodi, il Saraceno8del “Capitan Fracassa“, assume la difesa del giovane poeta abruzzese, il quale è sceso a Roma portando nel cuore una stranissima barbarie. Conversano animatamente.
Ma Salvatore Di Giacomo, che ammira la Febea, se ne sta tutto silenzioso, e rumina idee ed elabora già i versi che poi scriverà, durante il pomeriggio, nell’album della scrittrice.
L’album è di moda; e non v’è signorina che non ne abbia uno, nel quale raccoglie, con una febbre da collezionista, parole gentili e firme di notorietà artistiche.
I tre amici giungono allo stabilimento. Sono le undici e mezzo. La piazza del cantiere è piena di sole. Lunghe file di carrozze patronali stazionano davanti allo stabilimento, e carrozzelle da fitto giungono e vanno in lunghe carovane.
Questa è l’ora vera delle Terme.
Si vedono nel parco passeggiare tranquillamente deputati ed ambasciatori, nobili e prelati.
E tutti bevono.
Sull’altra collina, a Quisisana, nella villa del Principe di Moliterno, dove alberi giganteschi si levano dal suolo, sicché il bel parco pare una colossale scenografia da opera wagneriana, con ombre profonde e luci forti, la poetessa Vittoria Aganoor-Pompili, trae commossa dalla sua cetra dolorosa sospiri di amore. Ella ama appassionatamente, e l’amore le si tramuta quasi (pag. 116) sempre in dolore. Solo lo spettacolo grandioso del golfo può per un poco placarla.
… Minaccioso in fondo fuma il vulcano, ma da presso io sento fremere un lor segreto inno le rose alla gioia fuggente, e l’aria intorno sussurrarmi: “Non vedi? Il giorno è breve; augurio del domani avida accogli per entro la rapita anima il vivo balsamo di quest’ora“.9

La giovane poetessa passeggia per i viali del parco e s’inebbria del paesaggio sereno che le si offre alla vista. Ama la solitudine del parco, dove gli alti alberi, sollecitati dal maestrale, compongono altre musiche. Poi se ne va nel bosco di Quisisana, presso le Fontane del Re, e fantastica del suo amore.
Staremo ad ascoltare i mormoranti rami, nello spavento dell’ebbrezza; senza uno sguardo, senza una carezza, pallidi in volto come agonizzanti“.
Ella in preda ad un travaglio torturantissimo di amore, e perciò lascia le comitive allegre, e si rifugia, come inseguita, nel bosco.
Questa giovane, che ora siede sulla panchina di pietra del viale del bosco, dove passa don Ciro il guardiano con la carabina (pag.117) ed il cane, è una nobile poetessa, colta, altera, che ama follemente.
Il sole picchia sui tetti rossi della città marina, dove continua il via-vai delle carrozzelle con gli ombrelloni bianchi, che sembrano vele gonfie di vento.

Il principe di Moliterno, in una caricatura di Solatium

É l’ora canicolare. I muri delle case si sgretolano nella luce abbagliante. Ma nello Stabia Hall, dove impera il principe di Moliterno, qualcuno prova al piano una romanza di Denza, il musicista stabiese, autore di “Funiculi-funiculà“; mentre nelle altre sale le signore conversano e si ventilano pigramente.
L’ora del pranzo è quasi suonata. Fa un caldo d’inferno.
Le signore lasciano le sale dello Stabia Hall e prendono posto delle ampie vittorie, che fanno ritorno alle ville di Quisisana.
Nel pomeriggio vi è un ricevimento dai Moliterno. I grandi alberi del parco vedono passare nei viali le più belle donne della villeggiatura.
Il principe di Moliterno, allegro, mondanissimo, mantiene di buon umore tutta la comitiva. Vuole organizzare una festa in costume nei boschi.
– Faremo la rievocazione di Carlo d’Angiò, di Boccaccio e di Fiammetta.
Tutte le signore battono le mani.
– lo impersonerò Boccaccio, e prenderò come protagonisti delle mie novelle gente di nostra conoscenza. (pag. 118) L’idea del principe è geniale. Tutti l’approvano.
Si ride. Si scherza.
Ma dov’è la poetessa? Non si vede.
Il pomeriggio trascorre in un baleno, e le prime ombre si abbattono sul suolo.
Intanto nella piccola pensione Cottage, dopo colazione, i tre amici, Di Giacomo, Bracco, Febea, s’impegnano in una calorosissima discussione di arte. Argomento: il recentissimo romanzo “Fantasia” di Matilde Serao, del quale si parla tanto nei giornali. Luigi Lodi gli ha dedicato un lungo articolo nel quale esalta l’arte di questa giovane scrittrice. Eduardo Scarfoglio invece, giovane abruzzese, focoso, carduccianamente, il quale è già molto noto per certi suoi violenti articoli letterari, ha pubblicato in un grande settimanale letterario romano un lungo scritto nel quale dice corna di questo romanzo e della scrittrice.
-Quella Lucia Altomare veramente non mi piace troppo – dice Bracco.
– Però, incalza la Febea, ha del sentimento. Il romanzo è bello.
-lo, in verità sono dell’opinione di Scarfoglio.
Salvatore Di Giacomo non parla. Rumina i versi che deve scrivere nell’album dell’amica scrittrice. L’album è sul tavolo ed offre al Poeta più di una pagina bianca.
Alla fine egli prende la penna, e con la sua grafia minuta e (pag. 119) chiara, di abate settecentesco, incomincia a scrivere i primi versi, fermandosi di tratto in tratto, come per riprendere fiato.
Uocchie de suonno, nire, appassiunate, ca de lu mmele la ducezza avite, pecchè, cu sti guardate ca facite, vuie nu vrasiero mpietto m’appicciate?
Ve manca la parola e mme parlate, pare ca senza lacrime chiagnite, de sta faccella ianca anema site. uocchie belle, uocchic doce, uocchie affatate!
Vuie, ca nzieme a li sciure v’arapite e nzieme cu li sciure ve nzerrate. vuie, sentimento de li nnammurate, m’avite fatte male e lu sapite,
uocchie de suonno, nire, appassiunate“.10

 

Terminato di scrivere, sospira. Poi, dopo aver riletto i versi, porge l’album alla scrittrice, la quale legge tutto di un fiato, ed è felicissima del bel madrigale.
Intanto, nel calore della conversazione, non si sono accorti che il tempo è trascorso. I due amici debbono ripartire per Napoli.
Perciò si accomiatano dall’ospite gentile e riescono sulla piazzetta del santuario che ora è deserta, con il campanile che (pag. 120) guarda impassibile la distesa del mare mosso dal maestrale, sotto la collina.11(pag.121)

Già amico di Ugo Cafiero, noto giornalista stabiese Gabriele D’Annunzio fu un grande ammiratore della Ossani, sia durante che dopo il suo periodo stabiese, come attesta il seguente biglietto che ho ritrovato, presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.12

D’Annunzio ad Olga Ossani 1

Mia cara amica, la vostra lettera mi da un grande piacere. Io seppi, alcuni giorni fa, che voi eravate a Pozzano; e sarei certo venuto a vedervi anche senza essere invitato.

D’Annunzio ad Olga Ossani 2

Io spero di poter venire sabato. Vi cercherò al bagno, o salirò al santuario. Non vi date alcuna pena, tanto più che la mia gita di sabato è ancora incerta. Io non conosco Pozzano. Mi pareva

D’Annunzio ad Olga Ossani 3

un tempo favolosa nelle vostre parole. A rivederci cara Olga. E grazie! Salutate per me vostro marito – tutti i vostri cari. Vi bacio le mani Gabriele D’Annunzio.

Articolo terminato il 21 giugno 2023


 

  1. Federigo Verdinois, nacque a Caserta il 2 luglio 1844, morì a Napoli, 11 aprile 1927, giornalista, scrittore e traduttore italiano, fu prima bibliotecario, scrisse poi per il Fanfulla di Roma, il Corriere del Mattino di Napoli e l’Illustrazione italiana di Milano. Il suo pseudonimo Picche.
  2. Ferdinando Cordova, Caro Olgogigi, Lettere ad Olga e Lugi Lodi, FrancoAngeli 1999, pag. 94.
  3. Tra il 1884 e il 1886, Napoli fu interessata da un’epidemia di colera particolarmente devastante che causò circa 6000 decessi, pari a due terzi delle morti totali in Italia, e portò migliaia di persone a fuggire dalla città.
  4.  La morte di Luigi Lodi, in: Corriere della Sera, 21 febbraio 1933, Anno XI, pag. 5: Roma 20 febbraio notte. La notte scorsa, a pochi giorni di distanza dalla morte della moglie Olga Ossani Lodi («Febea») è morto Luigi Lodi. Quando si spense la compagna della sua vita, egli era già in gravi condizioni: la triste notizia gli fu perciò nascosta ed egli è morto ignorandola. I figli hanno così voluto risparmiargli l’ultimo dolore.
  5. La scrittrice Febea aggredita da un ladro, Corriere della Sera, 28 Ottobre 1900.
  6. Una petizione di donne al Parlamento per ottenere il diritto di voto, Corriere della Sera,11 marzo 1906.
  7. Don Luigi Milani, Lettera ai Giudici, 18 ottobre 1965, lettera a difesa dell’obiezione di coscienza.
  8. Saraceno, era lo pseudonimo con il quale si firmava Luigi Lodi.
  9. Vittoria Aganoor, Poesie Complete, Successori Le Monnier, Firenze 1912. Tratto da:

    Villa Moliterno (Quisisana)

    Minaccioso in fondo
    fuma il vulcano, ma da presso io sento
    fremere un lor segreto inno le rose
    alla gioia fuggente e l’aria intorno
    sussurrarmi : « Non vedi? il giorno è breve ;
    augurio del domani avida accogli
    per entro la rapita anima il vivo
    balsamo di quest’ora ».

    Ecco si sfoglia

    una rosa, e laggiù distende i veli
    mesti il tramonto per le rive e i porti ;
    mentre immutata, del silente golfo
    sovra il tremulo specchio, al cielo incontro,
    del Vesuvio l’estrema erta sfavilla.

  10. Napulitanata, testo di Salvatore di Giacomo,  musicata da Pasquale Mario Costa, anno di pubblicazione il 1884.
  11. Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, cronache estive di Castellammare, S.A.C.E.L. Napoli 1937, pag. 113-121.
  12. Biblioteca nazionale centrale di Roma, Lettera di D’Annunzio ad Olga Ossani, manoscritti, mm 204 x 125.

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