Terzo Capitolo - Le Chiese

Chiese, cappelle, sacerdoti ed ecclesiali

Premessa dell’autore

Il brano che segue è il terzo capitolo tratto da un libro ambientato a Castellammare di Stabia tra gli anni ’50 e ’80. Oltre agli aneddoti in esso contenuti, l’intento è quello di ritrarre gli ambienti della città in quell’epoca, di raccontare alcuni scorci di vita quotidiana e di evidenziare i valori che la caratterizzavano.

Eduardo Di Gioia

Terzo Capitolo - Le Chiese

Terzo Capitolo – Le Chiese

CAPITOLO 3

Chiese, cappelle, sacerdoti ed ecclesiali

Tratto dal libro “DIECI FIGLI” di Eduardo Di Gioia

Le chiese sono una tappa obbligata nel viaggio delle nostre infanzie, in un’epoca in cui una piccola cappella all’angolo di una stradina, o anche un crocifisso, beneficiavano del medesimo ossequio di un santuario. Legati a quel mondo, vi erano anche numerosi personaggi “particolari” che incontravi fuori e dentro i luoghi di culto. Di questi, alcuni erano di elevata statura morale, altri piuttosto bizzarri, altri ancora da “scansare” risolutamente!

La mia chiesa preferita era Porto Salvo, una piccola parrocchia che affacciava da un lato sul centro abitato, dove aveva il suo ingresso principale e, dall’altro, sull’acqua della Madonna. Era la chiesa dei marinai i quali, tutte le volte che passavano davanti all’entrata, si mettevano sugli attenti ed eseguivano un solenne saluto militare. Al cospetto di quella funzione noi ragazzini restavamo sempre colpiti e, per qualche attimo, fermavamo i nostri giochi e le nostre corse per ammirare quel breve “spettacolo”.

Quasi di fronte a Porto Salvo sorgeva la Parrocchia dello Spirito Santo presso la quale, dopo la mia prima comunione, ho fatto il chierichetto. In quella chiesa c’erano padre Mario, padre Esuberanza ed altri frati francescani che hanno trasmesso alla comunità valori sani e fatto del bene a persone in difficoltà. Ma il personaggio più singolare che frequentava quella parrocchia era, senza dubbio, Donna Sciurella che tutti, nei dintorni, apprezzavano e rispettavano.

Sguardo dall’espressione buona, a tratti severo, quello che in molti ricordano di lei era il modo inusuale in cui parlava ai santi: sembra, infatti, che Donna Sciurella avesse con loro un canale privilegiato di comunicazione, in particolare con Sant’Antonio, ragion per cui le sue preghiere venivano ascoltate in modo più attento rispetto alle altre.

Quando le donne del circondario, ad esempio, non riuscivano ad avere figli o avevano problemi di salute, si rivolgevano a lei che, ponendosi faccia a faccia col Santo, gli gridava moniti del tipo: «Uè! Zilluso, vide chello ch’ja fa! hai capito? Fa’ sta buono ‘o marito ‘e sta signora!» . E se la guarigione non arrivava nei tempi da lei imposti, per il povero Sant’Antonio erano sonori rimproveri.

Donna Sciurella è, ancora oggi, un vero mito per gli stabiesi che, recentemente, hanno commemorato, con una solenne cerimonia, i cinquant’anni dalla scomparsa della “donna che sgridava i Santi”.

Ma non tutti i rappresentanti del clero erano sempre animati da buoni propositi: è il caso di don Giulio, un sacerdote dalle dubbie qualità morali che, di tanto in tanto, veniva visto bazzicare per le stradine del quartiere. Egli, oltre a dispensare benedizioni, aveva l’insana abitudine di offrire, con altri fini, caramelle ai fanciulli. Quando ciò capitava, in pochi attimi “arraffavamo” il dolce promesso, ricambiando con scattose gomitate e calci ben piazzati con i nostri pesanti zoccoli. Ma, probabilmente, il momento peggiore per lui arrivava quando ridendo, da lontano, lo beffeggiavamo con irridenti improperi, facendogli vistosi gestacci con le braccia. A quel

punto, il prete ci rincorreva minaccioso ma, per fortuna, oltre ad essere troppo svegli per lui, eravamo anche velocissimi.

Come dicevo, tra gli ecclesiali si incontravano personaggi singolari: nel vicino quartiere di Santa Caterina, ad esempio, chi si arrogava il compito di intercedere per la salvezza delle anime, era Assunta la bizzoca, la perpetua della chiesa del Gesù la quale, ogni anno, organizzava la Festa del Crocifisso. Si trattava di un rito che si svolgeva intorno ad una croce, fatta di legno intagliato a mano, situata in una cappella nei pressi della sua abitazione. Per la celebrazione arrivava addirittura un sacerdote dalla Puglia, Nicolino il prete. Grassoccio e gote purpuree, Nicolino aveva un aspetto bonario e camminava con andatura barcollante, dispensando tarallucci ai bambini che incontrava. Li prendeva da tasche profondissime, ovviamente senza alcun principio di igiene, eppure quei tarallini pugliesi erano buonissimi e, a ben rifletterci, sospetto che lui li accompagnasse sovente con del buon vino.

Per la festa, noi ragazzini eravamo incaricati di raccogliere fondi nel quartiere per l’acquisto di fiori, di qualche candela e soprattutto di pizzette e dolci. La nostra speranza era che qualche pastarella arrivasse pure a noi, ma nulla! Al contrario, la bizzoca si abboffava con pizzette e pasticciotti insieme a Don Nicolino. Fu così che una volta, andando casa per casa in tutta Visanola, ci buscammo quattrocento lire, ma al prete e alla perpetua non facemmo arrivare nemmeno una lira, comprando invece tutte pastarelle per noi.

Quando la cosa venne allo scoperto, la bizzoca diventò furibonda: mi sembra ancora di sentirla quando si affacciò alla finestra che dava sulla cappella: «Assassiiiini! Assassiiiini!!», inveiva contro di noi con voce lunga e stridula, agitandosi vistosamente e suscitando, più che sdegno o disappunto, qualche risata tra gli abitanti del quartiere che assistettero alla scenata.

E sempre a proposito di soggetti stravaganti, proprio accanto alla perpetua abitava Mariuccia ‘a cicàta , una donna non vedente dall’età indefinita, che, coroncina alla mano, passava le sue giornate assorta a pregare seduta fuori alla sua casa. Mariuccia non vedeva ma, in quei vicoli, aveva il miglior udito di tutti e, inoltre, era dotata di un formidabile sesto senso: ogni volta che passavamo, anche quando sembrava fosse completamente assorta nelle preghiere, era capace di riconoscere con precisione ognuno di noi e, interrompendo di colpo le sue orazioni, riusciva quasi sempre ad afferrarci e a riempirci, energicamente, di abbracci e baci “azzeccosi”.

Ora, noi bambini non camminavamo mai, nel senso che ci spostavamo correndo, facendo sempre un gran baccano, ma quando dovevamo passare sotto l’abitazione di quella donna, chi si trovava davanti a tutti si fermava e avvertiva gli altri: «Guagliù, zitti! Ce sta Mariùccia! jammo chianu chianu!» , dopodiché, in modo cauto e circospetto, transitavamo tra le due scalinate, strisciando con le spalle al muro. Ma niente da fare! Qualcuno di noi, in un modo o nell’altro, veniva acchiappato: «Quanto si bello!», esclamava entusiasta Mariuccia, «Vieni ‘a ca, fatte da nu bacio!!» e, fin quando non si riusciva a sfuggirle, “deliziava” la sua vittima con una serie di sonori sbaciucchi, mentre gli “scampati”, a pochi passi più avanti, se la ridevano smodatamente nell’attesa che il malcapitato di turno riuscisse a svincolarsi.

Fuori Visanola, santi da venerare se ne trovavano numerosi, come la Madonna della Libera o le statue di San Catello. C’era poi, sulla strada per il castello, la Madonna di Pozzano alla quale, di tanto in tanto, veniva “sottratta” qualche offerta: la sua immagine era ritratta su un piccolo altare in fondo a una cappella, dove i turisti di passaggio lanciavano monete in segno di devozione. Poiché la cappella era protetta da un’inferriata, noi aggiravamo l’ostacolo attaccando all’estremità di un lungo bastone un sapone appiccicoso grazie al quale qualche moneta da dieci lire si riusciva a rimediare.

Altri luoghi di culto, tutti a distanza di poche centinaia di metri, erano la chiesa del Gesù, la parrocchia di San Giacomo, il Santuario del Sacro Cuore, la Cattedrale di Maria Santissima Assunta ed altri sacri affreschi, statue, chiesette e cappelle disseminate ad ogni angolo.

Eduardo Di Gioia


Note:

Tratto dal libro “Dieci Figli” di Eduardo Di Gioia

Ogni riferimento a persone esistenti o esistite o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

Per la lettura del primo capitolo: www.liberoricercatore.it/dieci-figli-i-delfini/

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