Alleati a Castellammare (Anno 1943)

Castellammare di Stabia nei giorni della Resistenza e dell’orrore nazifascista

articolo del dott. Raffaele Scala

Castellammare di Stabia nei giorni della Resistenza e dell’orrore nazifascista

 1 – settembre – 1 ottobre 1943

Alleati a Castellammare (Anno 1943)

Alleati a Castellammare (Anno 1943)

Premessa – Napoli si appresta a festeggiare gli 80 anni dalle gloriose Quattro Giornate che consentirono al capoluogo campano di essere la prima città europea a liberarsi dall’occupazione nazifascista senza l’intervento delle Forze Armate Alleate. Un fatto ancora più incredibile se si pensa che a farlo, a prendere le armi furono soltanto alcune centinaia di semplici cittadini, civili, uomini, donne, addirittura ragazzi, alcuni poco più che bambini, senza nessuna regia, nessuna organizzazione alle spalle. Tra loro molti militanti antifascisti, alcuni dei quali avevano pagato con il confino politico e il carcere la loro dissidenza durante il regime. Tra i partecipanti agli scontri armati non mancheranno alcuni stabiesi, come Ciro Verbale (1898 – 1960), Catello Bruno (1899 – 1971), riconosciuti Partigiani Combattenti e Catello D’Auria (1902 – ?), anche se la sua domanda sarà respinta dalla Commissione.  Caduto per la Liberazione sarà invece Alfredo Mauriello (1903 – 1943), figlio di Angelo e di Luisa Violetta, gravemente ferito il 28 settembre e successivamente deceduto in ospedale. Altri, pur partecipando non  furono riconosciuti per carenza di documentazione.

Quanto accaduto fu un fatto senza precedenti, o forse si, ma bisognerebbe andare indietro nel tempo di diversi secoli,  ad altre gloriose giornate, quelle di Masaniello del luglio 1647, ai dieci giorni che fecero tremare un Regno intero, o se vogliamo, forse più attinente, ai giorni della Repubblica Napoletana del gennaio 1799. Certo, scenari storici e motivazioni completamente diverse e sicuramente paragoni azzardati, ma serviva giusto per dare un idea di cosa è capace il popolo napoletano, forse uno dei più tolleranti del pianeta, quando viene portato alla esasperazione.

Ma non è di questo che vogliamo parlare. Noi vogliamo soffermarci su altre giornate che vennero ancora prima di quelle, ormai leggendarie, vissute a Napoli tra il 27 e il 30 settembre 1943. Intendiamo quelle meno famose, meno clamorose e sicuramente più sfortunate che interessarono Castellammare di Stabia, dove un manipolo di operai e pochi altri militari dell’Esercito e della Marina italiana provarono a salvare l’onore del Paese e a difendere la Città delle Acque e le sue industrie dalla furia nazista e dal suo complice, un fascismo locale ormai in disarmo e per questo ancora più pericoloso. Dal primo al 29 settembre 1943, Castellammare di Stabia, la futura Stalingrado del Sud, fu teatro di manifestazioni contro la guerra, di frenetici assalti a mulini e pastifici, incuranti del pericolo, di scontri armati, di una vera e propria guerriglia urbana che provocò morti, feriti, feroci rappresaglie, deportazioni di massa, fucilazioni, veri e propri assassinii, atti di puro eroismo, fino al sacrificio supremo della propria vita.

Questa è la storia di quei giorni della Città Medaglia d’Oro al Valor Civile.

L’antifascismo negli anni del regime – Quando il 10 giugno 1940  il duce Benito Mussolini dichiarò guerra alla Francia, accompagnata da roboanti vuoti discorsi, nonostante la consapevolezza di un Paese militarmente impreparato ad uno scontro del genere, mai avrebbe potuto immaginare che questo rappresentava l’inizio della fine della sua ventennale dittatura, iniziata con la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, al culmine di un biennio nero fatto di intimidazioni, distruzioni, violenza e di assassinii di centinaia di vittime innocenti per fermare l’avanzata del movimento operaio  e del Partito Socialista Italiano, che tanto aveva spaventato la piccola borghesia bottegaia  e quella ricca delle industrie e del commercio, mettendo in discussione il potere degli agrari della vasta pianura padana e del ricco tavoliere pugliese, granaio d’Italia.

Il popolo, nel suo insieme, sembrò in un primo momento accogliere favorevolmente lo scontro armato contro i cugini francesi, sicuro che questo sarebbe durato solo pochi mesi, forse addirittura poche settimane, così come lo avevano fatto presagire gli immaginifici comizi del suo Capo supremo, i successi dei Legionari in Spagna in soccorso del golpista Francisco Franco, la facile vittoria sull’indifesa Albania fulmineamente occupata, ma soprattutto la ferrea potenza germanica capace di travolgere in un battibaleno le fragili resistenze dei vasti Paesi occupati da quel primo settembre 1939. E così sembrava alla moltitudine, alla folla oceanica ubriaca di parole altisonanti e gesti vacui, abbagliati dalle poderose parate militari, impressionati dall’essere sudditi di un Regno d’Italia e d’Albania e di un Re Imperatore che aveva riunito le quattro sponde sotto la sagacia guida dell’indomito condottiero, il Duce.  Il sogno era però destinato a durare poco, sopraffatto dalla realtà, presentatasi nella sua forma più spaventosa, quando fu chiaro che la  capacità militare del Vincere e vinceremo era tale solo nella mente malata del regime. Le Forze Armate, di terra,  di mare e dell’aria, decantate dal duce, non erano  nelle condizioni di fronteggiare il nemico, ben più agguerrito e motivato, ma soprattutto meglio armato. E arrivarono le sconfitte disastrose, in Grecia come in Russia e in Africa Orientale, fino allo sbarco anglo americano in Sicilia del 10 luglio 1943 e la conseguente caduta di Mussolini, sfiduciato, spodestato e arrestato dopo la lunga notte del Gran Consiglio del 25 luglio. La fine del fascismo e l’inizio di una lunga sanguinosa guerra civile che terminerà soltanto il 25 aprile 1945 con la definitiva resa del nazifascismo in Italia.

In Italia le proteste contro la guerra erano cominciate molto prima, inizialmente con timidezza, da parte delle donne del popolo contro il razionamento del pane, manifestando nelle strade e nelle piazze, davanti ai municipi e alle sedi del Fascio, poi sempre più aggressive, fino a quando non toccò agli uomini, agli operai delle fabbriche far sentire la loro protesta, sempre più possente, incrociando le braccia. Dal Nord al Sud, una sola voce, prima blandita con inutili, insufficienti misure, censurata dalla stampa e  infine repressa con durezza dalle milizie armate del fascismo.

Castellammare di Stabia non fu da meno e non fu tra le ultime. Il suo antifascismo lo aveva ampiamente dimostrato nel corso del ventennio con i tanti pestaggi e olio di ricino subiti, con le devastazioni di case, degli arresti indiscriminati e confino politico per gli irriducibili. Anzi lo aveva pagato anzitempo già il 20 gennaio 1921, quando i fascisti del neonato fascio di combattimento assalirono la sede del municipio rosso di Piazza Spartaco, provocando sei morti innocenti, cinquanta feriti e centoventi arresti.[1] E non erano mancate proteste di operai e di donne, come l’8 aprile 1932 quando trecento donne  esasperate invasero Piazza Municipio andando a protestare sotto il balcone municipale del Podestà chiedendo lavoro e distribuzione di viveri.[2]

    Negli anni del regime fascista le proteste e le manifestazioni delle donne furono una costante, l’unico modo per far sentire la voce del popolo ed evitare ai propri uomini di esporsi ed essere arrestati. Non a caso furono numerose le donne denunciate per offesa al capo del Governo, tra le tante ricordiamo  l’anziana Maria Cesarano energica donna di casa del 1859 e la figlia Emiddia Avagnale, nata nel 1895 dal matrimonio con il contadino Giovanni e precocemente scomparsa nel 1929. Si arrivò a indagare perfino su una quindicenne, Rosa Negri, colpevole di scritte sovversive sui muri cittadini. Tra gli uomini denunciati per le stesse motivazioni citiamo il meccanico Domenico Mauriello, i già anziani Antonio Esposito, Giovanni Aprea e l’operaio Francesco De Carolis.

Poi vi era stata l’iniziativa eclatante del nucleo comunista guidato da Luigi Di Martino (1897 – 1969) con il lancio di volantini contro Mussolini e contro la guerra d’Etiopia il 20 gennaio 1936, in ricordo e in memoria della strage del 1921 e contro la guerra in Etiopia. Proprio due giorni prima,  dal porto di Castellammare si era imbarcato il 10° Gruppo Artiglieria e partito per l’Africa Orientale.[3] Una iniziativa del gruppo comunista pagata a caro prezzo con condanne tra i cinque e gli otto anni di carcere.[4]

Arrivò infine la farneticante e velleitaria dichiarazione di guerra con  le sue sofferenze sempre più insopportabili per la popolazione con il passare dei mesi e degli anni e prime proteste cominciavano a registrarsi un po’ dappertutto, con le donne ancora una volta protagoniste delle manifestazioni contro le autorità locali. Il 24 e 25 febbraio 1942, contro la riduzione della già scarsa razione di pane, si ebbero proteste a Frattaminore e ad Atella, il 26 a Castellammare di Stabia, il 3 marzo a Portici e il 16 a Resina, l’odierna Ercolano. I risultati di tante manifestazioni di piazza, da Palermo a Milano, non si fecero attendere e dal 14 marzo fu aumentata la razione del pane, seppure a discapito di quella del riso. Nel giugno 1943, furono nuovamente le indomabili donne di Stabia a far sentire la loro voce, quando in 300 si assembrarono in Piazza Municipio chiedendo l’intervento del Podestà contro il razionamento sempre più insufficiente, riuscendo solo ad ottenere lo sgombero forzato e violento. In un discorso tenuto da Mussolini il 24 giugno 1943 al direttorio nazionale del PNF, invocando la necessità di reprimere ad ogni costo il mercato nero, dettagliò minuziosamente quanto accadeva nel Paese e tra gli altri citò Castellammare di Stabia dove erano stati sequestrati 264 chili di patate e denunciate cinque persone per acquisti clandestini. Forse con un pizzico d’orgoglio, fece presente che il Fascio stabiese era tra i pochi ad applicare la direttiva impartita di punire severamente non soltanto chi smerciava, ma soprattutto chi acquistava. Soltanto i ricchi, ricordò il duce agli astanti, si consentono il lusso di fare ingenti acquisti, i poveri possono permettersi soltanto piccole compere.[5]

La caduta di Benito Mussolini e primi scontri armati con gli antifascisti – Intanto il regime aveva ormai le ore contate: venne, infatti, il 25 luglio, con la lunga notte del Gran Consiglio del Fascismo e la rovinosa caduta del duce, portando nuova linfa all’antifascismo dormiente. Mussolini era arrivato al potere con una sorta di Colpo di Stato, uccidendo il Movimento Operaio  e con la stessa arma fu deposto, ridando vita alla sua vittima del 1922.

La prima prova si ebbe il 22 agosto, quando ci fu una grande ma sfortunata riunione clandestina nelle campagne di Napoli, a Cappella dei Cangiani,  per decidere la ripresa della lotta. L’entusiasmo per la repentina caduta del regime allentò la prudenza, provocando in questo modo, ancora prima che la riunione si concludesse, una nuova retata d’arresti, 49 su 75 presenti, tra cui gli stabiesi, Luigi Blundo, Luigi Cuomo, Catello Esposito, Espedito Lambiase, Bartolomeo Pappacoda e Gaspare Gaudiero.[6] Ma chi poteva ormai frenare l’inarrestabile voglia di voltare pagina, di farla finita con vent’anni di angherie e soprattutto con questa guerra fatta solo di sacrifici e di sconfitte?

Sul quotidiano napoletano, Roma, un tempo repubblicano, poi fascista ed infine monarchico, in una corrispondenza da Castellammare, ci si chiedeva quando sarebbe cominciata l’epurazione, ritenendo il fascismo responsabile di quella guerra inutile. Come assurda sembrava la sua prosecuzione dopo la defenestrazione del duce da Presidente del Consiglio. In realtà già il 12 agosto, fiutando il nuovo vento che soffiava forte modificando i colori della politica, dal nero verso il rosso, il Commissario Prefettizio, Gioacchino Rosa Rosa (1895 – 1958), non perse tempo, precipitandosi a modificare i nomi di due importanti piazze cittadine, togliendo le targhe di Piazza Italo Balbo e di Piazza Ciano, imposte dalla vecchia nomenclatura del PNF e ripristinando le precedenti Piazza Municipio e Piazza Terme; il 20, sulla scia di quanto in realtà stava già accadendo, aveva provveduto a scrivere al Prefetto chiedendo delucidazioni sul da farsi, avendo avuta notizia di prime sospensioni e licenziamenti del personale squadrista presso alcune industrie ed Enti. La sua principale preoccupazione era che queste sporadiche iniziative potevano non essere sufficienti a placare la voglia di giustizia, se non di vendetta da parte della popolazione e dei vari Movimenti antifascisti che si andavano formando, poi riunitosi nella Consulta Antifascista ed infine nel locale  Comitato di Liberazione, inizialmente guidato dal democristiano Silvio Gava (1901 – 1999) e, successivamente, dal comunista, Pietro Carrese (1875 – 1949).[7]

I primi inconvenienti arrivarono il 28 di quello stesso mese, quando fu trovato un foglietto affisso alla porta dell’ufficio di conciliazione e della disoccupazione. Poche righe scritte dalla mano malferma di uno stabiese con poca dimestichezza con la penna e l’italiano, chiedendo il licenziamento immediato dei dipendenti  comunali, ex squadristi. In caso contrario si sarebbe scatenata l’ira popolare [8]

Intanto la caduta del fascismo non aveva fermato i bombardamenti Alleati e dei suoi micidiali raid, continuando a provocare terrore e morte, non mancando di  mitragliare innocenti cittadini, a Castellammare come nella vicina Gragnano. Alle forze alleate interessava ben poco il risveglio collettivo degli italiani contro il fascismo, né importava la caduta del regime e del suo duce, per loro la guerra continuava, con il suo inevitabile corollario di morte. Nella notte tra il 16 il 18 luglio, ci furono due violenti raid aerei notturni, provocando quattro morti e numerosi feriti, nuove incursioni aeree seguirono tra il 24 e il 25 agosto, sempre protetti dal buio notturno, seminando terrore e danni ingenti alle linee di comunicazioni. La popolazione trovava riparo nei diversi rifugi antiaerei dislocati nei vari punti cittadini: uno di questi era situato all’ingresso della Navalmeccanica in Piazza Ciano, un secondo in Piazza Ferrovia, un terzo nei pressi del liceo classico, un quarto rifugio era il tunnel della Circumvesuviana tra la stazione centrale e quella delle Terme.

 Arrivò infine il primo vero scontro, l’anticipo di quello che sarebbe accaduto dieci giorni dopo, quando si scatenò la guerriglia armata con morti e feriti su entrambi i fronti. Era  il 1° settembre e toccò  agli operai delle fabbriche scendere in piazza, provocando l’immediata, violenta reazione delle forze dell’ordine, seguita da numerosi arresti. Il commissario prefettizio sintetizzò quanto accaduto in uno stringato comunicato, forse volendo ridimensionare l’episodio per evitare ulteriori problemi con gli scomodi alleati d’oltralpe di stanza nella città.  Si è proceduto al fermo di 80 persone circa. Non si sono verificati incidenti e non fu compromesso l’ordine pubblico, scrisse alterando non poco la scabrosa verità per il regime ormai crollato. Uno dei protagonisti della manifestazione contro la guerra, il comunista Luigi Di Martino, l’antico antifascista mai domo, uscito dal carcere nel gennaio 1941 a seguito di una amnistia, ricordò anni dopo, con estrema lucidità i momenti salienti dello scontro con i nazifascisti:

Il 1° settembre 1943 si profilava già la sconfitta della guerra scatenata dal fascismo, gli operai erano esasperati per la continuazione di questa ingiusta guerra che aborrivano, gli operai abbandonano il lavoro e si riversano per le strade, protestando contro la continuazione della guerra e reclamando la pace; io e alcuni compagni incominciammo a guidare la manifestazione in quelle strade dove lo schieramento delle forze dell’ordine non era riuscita a bloccarla, partimmo da Piazza Ferrovia ed arrivammo a condurla sino al centro di Castellammare, manovrando strategicamente per sfuggire all’accerchiamento. La manifestazione mise in agitazione il popolo di Castellammare; arrivati all’altezza di Piazza Quartuccio fummo arrestati, io, il compagno D’Auria Giovanni, Acanfora Luigi ed altri. Trasferiti al carcere locale fummo denunziati al Tribunale marziale per insurrezione contro i poteri dello stato, sotto il governo Badoglio. Dopo 17 giorni di detenzione, una folla enorme, composta in maggioranza da donne, si presenta al carcere a reclamare la nostra scarcerazione. Il pretore sotto la minaccia della folla fu costretto a farci scarcerare, convinta che se i tedeschi avessero individuato i fautori della manifestazione li avrebbero senz’altro fucilati. Io di notte tempo varcai le nostre montagne con alcuni compagni [9]

 L’insperata liberazione li salvò dalla sicura deportazione di massa verso i duri campi di concentramento, posti in Austria, in Germania, in Polonia e nella Russia Orientale. Meno fortunati furono gli oltre duemila stabiesi rastrellati nelle giornate tra il 21 e il 28 settembre. In molti, militari e civili, non ritorneranno più a casa, come Alberto Amendola classe 1923, Luigi Apuzzo (1917), Michele Armeno (1925), Aniello D’Auria (1908), Andrea Di Capua (1914), Francesco Esposito (1922), Antonio Ferrara (1922), Gaetano Infante (1926), Catello Ingenito (1918), Raffaele Russo (1920), Ferdinando De Martino (1906), tutti morti di stenti e malattie nei vari campi di concentramento e di lavoro ubicati nei vari territori del Terzo Reich.[10]

 Tra i rastrellati vi furono tre dei cinque figli dello stesso ex Commissario Prefettizio, il facoltoso commerciante in legnami con villa a Scanzano, Gioacchino Rosa Rosa, nonostante fosse iscritto al Partito Nazionale Fascista fin dal 1925. I tre ragazzi furono deportati nel famigerato campo di concentramento di Dachau, il primo aperto in Germania dai nazisti, dove sui 200mila prigionieri che vi transitarono, oltre 41mila vi lasciarono la vita.[11] Forse anche in seguito a questa tragica vicenda, Gioacchino Rosa Rosa lascerà l’incarico, abbandonando Castellammare al suo destino. Al suo posto il Maggiore Simpson, Comandante Civile delle Forze Alleate insediatosi in città, nominerà il segretario capo del comune, Eusebio Dellarole, nonostante l’evidente incompatibilità, ma soprattutto nonostante la sua, ampiamente provata, collaborazione con il regime appena defunto e con il locale presidio tedesco, anche dopo l’occupazione militare. Non a caso, chiarendo il suo pensiero politico, il maggiore Simpson si dimostrerà apertamente ostile nei confronti dei Comitati di Liberazione che si andranno ad insediare a Castellammare come nel resto della provincia. A chiarire come stavano le cose provvidero due rapporti negativi stilati sia da parte del Sottocomitato di Liberazione Nazionale, sia dal locale commissariato di polizia, chiedendone l’immediato trasferimento.[12] Il suo posto, a metà dicembre, sarà preso, su indicazione del Comitato di Liberazione, dal cinquantenne dottor Carlo Vitelli (1893 – 1971), tra i fondatori della sezione stabiese di Italia Libera nel novembre 1924 e aderente ad una loggia massonica, assaltata e distrutta da un manipolo fascista nell’inverno del 1925, secondo altri da un incendio avvenuto in modo misterioso.[13]

Nella repressione contro i moti popolari, al fianco dei nazisti e della camicie nere si distinsero due carabinieri, il capitano Angelo Simio e, secondo alcuni, il maresciallo Turchetti, ma sul quale nutriamo molti dubbi, se non una certezza d’innocenza. Il primo sarà condannato a sedici anni di carcere dal Tribunale Militare di Napoli, per essere l’autore del manifesto per la deportazione dei giovani stabiesi, dell’attiva propaganda compiuta per indurre gli uomini a presentarsi, per non essere intervenuto a favore del pretore catturato dai tedeschi. L’accusa, ritenendo l’imputato colpevole di aver aiutato il nemico, chiese 25 anni di carcere, se la cavò infine con sedici anni, usufruendo di fantomatiche attenuanti generiche propedeutiche alla grande amnistia del ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti.[14] Il suo sottoposto, il maresciallo Turchetti fu meno fortunato, rimanendo ucciso dai partigiani nel corso del tentato e riuscito assalto alla caserma di via Coppola.[15]

Paradossale la vicenda del maresciallo maggiore a cavallo, Francesco Infantino, comandante  della stazione dei carabinieri di Castellammare Cantieri. Questi fu denunciato nel 1944 da un gruppo di madri al Commissario per l’Epurazione, con  l’accusa infamante di aver collaborato con i nazisti obbligando i giovani stabiesi a presentarsi al Comando tedesco, minacciandoli di passarli per le armi in caso di mancata presentazione. Una rapida inchiesta consentì di appurare che il maresciallo, quando i tedeschi iniziarono a disarmare i militari italiani stanziati in città, si barricò  in caserma disponendone la difesa, dando l’ordine ai suoi uomini di resistere ad oltranza. Solo l’ordine pervenuto dal comandante della Compagnia di non opporre nessuna resistenza contro i tedeschi lo fece desistere. Il comandante era il famigerato Capitano Angelo  Simio.[16] Chi ha ragione, le donne che lo denunciarono o la troppo rapida inchiesta che lo scagionò da ogni accusa? Più avanti avanziamo una ipotesi non favorevole a Infantino e tesa a scagionare Turchetti.

Sulla morte del maresciallo Turchetti abbiamo una testimonianza dello storico Antonio Barone. Nella sua  ricostruzione segnala i nomi di alcuni partigiani, i quali però non trovano riscontro nella documentazione ritrovata e depositata presso l’ACS:

Un altro gruppo formato da Vincenzo De Rosa, Carmine Cardone, Paolo Carolei, Antonio Faricella ed altri, quasi tutti di Scanzano, affrontarono con grande coraggio tedeschi e collaborazionisti. Alcuni di essi giustiziarono alla luce del sole un maresciallo che prestava la sua opera nel rastrellamento dei giovani cittadini..[17]

Il nome del maresciallo dei carabinieri, Turchetti, viene da sempre associato a quello del suo capitano, Angelo Simio, quale collaboratore dei tedeschi nel rastrellamento dei giovani stabiesi. Su questo nutriamo più di un dubbio e forse non sarebbe sbagliato provare ad approfondire quanto veramente accadde in quei giorni relativamente alle responsabilità del maresciallo. Se veramente, come sembra, il sottufficiale fu ucciso dai partigiani stabiesi nel corso dell’assalto alla caserma, come dimostrerebbe qualche testimonianza, e questo è avvenuto tra il nove e il 12 settembre, allora Turchetti non può aver collaborato con i tedeschi, considerando che i rastrellamenti si ebbero non prima del 21 settembre. Dal sito del Ministero della Difesa, nella parte relativa alla banca dati dei caduti e Dispersi della seconda guerra mondiale, rileviamo il nome di un Felice Turchetti, nato il 7 luglio 1921 a Fiastra (Macerata) e caduto il 10 settembre 1943 in luogo non specificato, ma comunque in territorio italiano. Potrebbe essere lui il maresciallo ucciso dai partigiani, ma non abbiamo dati certi. E allora chi fu il maresciallo collaboratore? Qualche sospetto lo abbiamo e questo ricade inevitabilmente sul maresciallo Francesco Infantino, sul quale grava l’ombra di una denuncia presentata da un gruppo di madri stabiesi accusandolo di aver collaborato con i tedeschi nel rastrellamento. È vero, aveva difeso la caserma da lui comandata dai tedeschi, ma ancor prima dello scontro a fuoco col nuovo nemico fu fermato dal suo superiore, il famigerato capitano Simio. Questi può benissimo  averlo indotto a collaborare con i tedeschi, magari ordinandoglielo e quindi obbligandolo ad eseguire i tristi e nefandi ordini. Sapremo mai la verità?

 A Castellammare, tra il 9 settembre e il 1 ottobre si contarono almeno 31 morti e 16  feriti, tra militari e civili, lasciati sulle strade dai tedeschi in fuga. Tra questi, eroi sconosciuti, caddero nell’adempimento del loro dovere, il carabiniere, nato a Salerno, Alberto Di Maio (1914 – 1943), mentre tentava di opporsi alla distruzione dei Cantieri Metallurgici da parte dei tedeschi, in un giorno imprecisato tra il 9 e il 19 settembre, non concordando la data le diverse fonti consultate e l’appuntato Michele Manzella, ucciso il 28 settembre colpito a morte, non è ben chiaro se da un delinquente scoperto mentre tentava  uno dei tanti saccheggi o dai tedeschi in precipitosa ritirata. Il Manzella, nato a Vietri di Potenza nel 1897, fu decorato con medaglia di bronzo al valor militare nel 1946.

Nei giorni precedenti, il 15 settembre, fucilarono il giovane operaio dei Cantieri Metallurgici Italiani, il carpentiere Oscar De Maria (1925 – 1943), colpevole di aver difeso la sua fabbrica dalla furia vendicativa degli invasori. Catturato, tentò la fuga, senza avere fortuna, lanciando alcune bombe a mano. Gli è stato riconosciuto di essere Caduto per la Lotta di Liberazione.

A cadere sotto il fuoco tedesco, vittima del proprio senso del dovere, fu anche l’eroico capitano di vascello, Domenico Baffigo (1912 – 1943) mentre alla testa di un gruppo di marinai tentava d’impedire ai nazisti d’impossessarsi di un incrociatore in fase d’allestimento, ormeggiato nei cantieri navali.  Un primo iniziale scontro a fuoco mise momentaneamente in fuga i tedeschi, poi con la scusa di parlamentare fu vigliaccamente catturato con l’inganno e fucilato con altri due ufficiali.  Era l’undici settembre 1943. Altri stabiesi cadevano, lontano dalla propria città, combattendo nella fila della Resistenza, come Talamo Manfredi (1895 – 1944), tenente colonnello dei carabinieri, catturato dai tedeschi e fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, Renato Rajola (1916 – 1944), comandante partigiano in Emilia Romagna, catturato dai tedeschi e fucilato a Bettola in provincia di Piacenza, Rocco Mosca, nato nel 1910 e caduto a Maddaloni (Caserta) il 10 novembre,, Carmine D’Aniello, nativo di Gragnano dove era nato nel 1915, ma residente a Castellammare, caporale dell’esercito, partigiano in Abruzzo, catturato e fucilato dai tedeschi nel giugno 1944,Gabriele Esposito, nato nel 1925, partigiano nel Triveneto e lì caduto nel luglio 1944, il carabiniere Alfonso Natale, classe 1920,  del Comando Raggruppamento Divisione Osoppo Friuli, partigiano caduto il 17 gennaio 1945,  ed infine Attilio Uvale, fucilato a Firenze con altri undici innocenti cittadini.[18] Altri ancora caddero a Cefalonia, trucidati dai tedeschi, tre militari, due ufficiali dell’esercito, i sottotenenti Luigi Lanzaro e Alcide Broschi e uno della marina, il capitano del Genio Navale, Francesco Castellano.

Se da un lato troviamo partigiani stabiesi fucilati dai nazifascisti, non mancarono cittadini di Castellammare fucilati per la loro adesione al fascismo: è il caso del giovane Raffaele Infante (1917 – 1945), 28 anni, arruolatosi nella Repubblica Sociale Italiana, uno dei pochissimi condannati a morte da un Tribunale italiano dopo la fine della guerra, accusato di collaborazionismo con il tedesco invasore. Infante fu fucilato alla schiena con altre cinque camicie nere, da un plotone d’esecuzione il 23 settembre 1945 dopo una sentenza emessa dal Tribunale Straordinario di Assise di Novara, presieduta dal giudice Oscar Luigi Scalfaro (1918 – 2012), il futuro Presidente della Repubblica.[19]

Molti altri fascisti stabiesi accorsi a difendere la neonata Repubblica Sociale Italiana caddero in scontri con i partigiani o fucilati se fatti prigionieri, quasi tutti ragazzi poco più che ventenni, ne ricordiamo alcuni come Vincenzo Tregrosso (1920 – 1944), sottotenente della Divisione San Marco, il milite Angelo Pecoraio (1908 – 1946), il sottotenente Luigi Minelli (1906 – 1943), il milite Antonio Gargiulo (1925 – 1944), il sottocapo della X Mas Ciro Gargiulo (1924 – 1945), il capitano Giovanni Acanfora (1911 – 1945)[20], il bersagliere Vincenzo Russo (1925 – 1943) e altri di Gragnano, Torre Annunziata, Boscoreale, Torre del Greco, Vico Equense, Sant’Agnello, un fiume di sangue inutilmente versato per una idea sconfitta dagli uomini e dalla Storia.

E mentre volontari fascisti, giovani e non, correvano verso il Nord cercando di riscattare un presunto onore perduto con l’armistizio, negli ultimi giorni, tra il 26 e il 28 settembre, inseguiti ormai dagli anglo americani sbarcati a Salerno, i tedeschi saccheggiavano, incendiavano e distruggevano la Cirio, i Cantieri navali, l’Avis, i Cmi, l’oleificio Gaslini e i diversi pastifici cittadini. Dietro di loro le orde affamate del popolo, in gran parte donne e ragazzi, ne approfittarono per portare via tutto quanto era commestibile, dallo scatolame delle conserve alimentari della Cirio, ai sacchi di farina dei molini e pastifici. Altri saccheggi  si erano avuti all’indomani dell’otto settembre, quando i militari avevano abbandonato le caserme per tornare a casa, altri rimasero a difesa dei cantieri navali e delle altre industrie, unendosi ai partigiani, dando vita al pur breve, sanguinoso tentativo di resistenza, tra il nove e il  dodici settembre.

Dovettero passare sessanta anni perché a questa città fosse riconosciuto quanto fatto per difendere la propria e altrui libertà, il valore della sua gente, il sacrificio di tanti antifascisti, il martirio di tanti innocenti. Bisognò attendere il 25 gennaio 2005 per riconoscerle questo diritto e conferirle il successivo 25 aprile, nel sessantesimo anniversario della Liberazione, la Medaglia d’oro al valor civile per mano del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, con queste motivazioni:

Importante centro del Mezzogiorno, all’indomani dell’armistizio, fu oggetto della violenta reazione delle truppe tedesche che, in ritirata verso il Nord, misero in pratica la strategia della “terra bruciata”, distruggendo il cantiere navale, simbolo della città eroicamente difeso dai militari del locale presidio, e gli altri stabilimenti industriali. Contribuì alla guerra di liberazione con la costituzione spontanea dei primi nuclei partigiani, subendo deportazioni e feroci rappresaglie che provocarono la morte di numerosi concittadini. 1943 – 1945/Castellammare di Stabia.

I Partigiani di Castellammare di Stabia – ma chi furono questi sconosciuti eroi, ignorati fin da subito dalle subentranti forze politiche antifasciste costituitosi all’indomani della liberazione da parte delle forze anglo americane entrate in città il 29 settembre 1943? E perché non furono degnamente onorati  e ricordati negli anni successivi?  Addirittura cancellati dalla memorialistica locale e dalle Istituzioni. Solo dagli anni Novanta è iniziata un’opera di ricostruzione di quegli eventi, non ancora degnamente conclusa. Una risposta sicura allo stato non l’abbiamo, molto probabilmente la causa prima è che a guidare la Resistenza nelle cruciali giornate del 9-12 settembre non furono i dirigenti del risorto Partito Comunista Italiano, né tanto meno quelli del Partito Socialista o degli altri partiti del cosiddetto Arco Costituzionale. In realtà, nessun militante della Sinistra Ufficiale, né tanto meno degli altri partiti, cosiddetti democratici, dalla Democrazia Cristiana al Partito Repubblicano, a quello liberale,  risulta aver partecipato agli scontri armati di quei giorni. A discolpa dei socialcomunisti vi è che molti, i più attivi, erano rinchiusi nel carcere mandamentale, come Luigi Di Martino e Giovanni D’Auria, altri in galera a Napoli per aver partecipato alla riunione clandestina di Cappella Cangiani del 22 agosto,  tutti gli altri avevano preferito rinchiudersi in casa e salvare la pelle per poi rivendicare l’italico vizio di meriti, onori, poltrone e medaglie.[21]

Disgraziatamente nessuno dei veri partecipanti lasciò scritto nulla delle imprese alle quali aveva partecipato, limitandosi, e non tutti, a fare domanda al Servizio Riconoscimento Qualifiche e per le ricompense ai Partigiani. Poi ognuno si chiuse nel suo privato, quasi vergognandosi del loro inaspettato e forse non voluto protagonismo di quei giorni. Nessuno li cercò e tutto scomparve nella nebbia del tempo.

Sull’antifascismo stabiese diversi storici, pur con notevole colpevole ritardo, tra cui i compianti Antonio Barone, Pippo D’Angelo e Antonio Ugliano, hanno provato a ricostruire le vicende legate ai fatti accaduti a Castellammare di Stabia dopo l’8 settembre 1943: le violenze, le stragi, i rastrellamenti, le distruzioni operate dagli ex alleati, poi trasformatosi in invasori dopo la firma dell’armistizio. Una violenza alla quale gruppi di operai, studenti, soldati, marinai e carabinieri risposero eroicamente difendendosi e attaccando con le armi, provocando e subendo vittime. E’ sconosciuto il numero di nazisti uccisi, alcuni, riferendosi ad una imprecisa relazione conservata nell’Archivio Storico Comunale, parlano di almeno 4 tedeschi ammazzati in combattimento, indefinito il numero dei feriti; almeno 31, ma forse di più, sono invece i nostri, tra militari e civili, caduti combattendo o per rappresaglia, sedici i feriti ufficialmente riconosciuti.

Più recentemente ne hanno scritto Antonio Ferrara, Antonio Cimmino e il sottoscritto, basandosi sulla poca documentazione disponibile nei vari archivi e su ricordi e testimonianze di quanti vissero quel periodo, con tutti i limiti di memoria e voglia di protagonismo a posteriori, da parte di alcuni, che questo comporta. Molto rimane ancora da scoprire, infatti solo in questi ultimi tempi si stanno catalogando nuovi documenti riferiti a quanti furono impegnati concretamente nella Resistenza, contro il nazi-fascismo, nelle giornate successive all’otto settembre. E da questi documenti, di fatto molti ancora inediti, emergono volti ed episodi finora ignoti, eroismi rimasti sconosciuti. E probabilmente eroi ridimensionati ed altri da rivalutare.

Tra gli eroi ignorati da tutti ricordiamo, per esempio, Luigi Mas (1901 – 1967), figlio secondogenito di numerosa prole, di Emanuele e di Maria Catella Esposito. Operaio della Corderia, come il padre e il nonno Michele, ed abitante, all’epoca, in via San Bartolomeo, sul quale diverse testimonianze, raccolte pochissimi anni dopo e conservate nell’Archivio Centrale di Stato (ACS), concordano che l’11 settembre 1943 assunse il comando di un gruppo armato di concittadini partecipando a diverse, pericolose azioni di guerriglia urbana[22].  Scrive, per esempio, Ciro Coppola nella sua testimonianza del 25 giugno 1946 che incontratosi con alcuni partigiani comandati dal capogruppo Luigi Mas, questi gli diede alcune bombe a mano da utilizzare contro i nazifascisti. Al gruppo si unirono alcuni militari. Il primo scontro lo ebbero con quattro tedeschi, ferendone uno. Questi preferirono poi fuggire, rifugiandosi verso la stazione della Circumvesuviana.

Soprattutto emergono altre verità che dimostrano una resistenza più diffusa di quanto si pensava finora, seppure sfortunata e pagata con il sangue di tanti innocenti e la deportazione di migliaia di giovani, molti dei quali non sono più tornati. Una storia quest’ultima, ancora tutta da scrivere, considerando che a 80 anni dagli eventi non esiste un’anagrafe completa dei deportati civili nei campi di concentramento situati in Italia e nei territori del Terzo Reich. Solo elenchi parziali, realizzati soprattutto grazie ad Enti ed associazioni private composte da ex deportati rientrati fortunosamente in Italia. Nell’Archivio Storico Comunale è presente un elenco, con relative schede, di  627 nomi di deportati, che presentarono domanda per la pensione di guerra.

I fatti documentati – Fin dalle prime ore del mattino, Luigi Mas, Nunzio Sorrentino, Ciro Coppola, Santolo Contaldo, il giovane elettricista, Davide Coda appena ventenne ma già sposato con due figli, ed altri, si erano impossessati, con l’aiuto degli stessi militari di quel comando, di fucili con caricatori e bombe a mano prelevati da una caserma sita alla via Calata Oratorio. Forse a spingere il 42enne Luigi Mas, sposato con figli, verso la lotta armata, fu l’esempio del tenente del Genio Navale Ugo Molino, nato nel 1920, in servizio alla Corderia, strenuo difensore dei Cantieri Navali quel fatidico undici settembre, vilmente fucilato dai nazisti con Domenico Baffigo.

Al gruppo dei neo guerriglieri si unì anche il giovanissimo saldatore autogeno, Francesco Iaccarino (era nato il 6 settembre 1925) e il giovane meccanico Agostino Circiello che a loro volta, riusciti a infiltrarsi nel Comando militare situato al Corso Vittorio Emanuele, si erano impossessati di alcune casse contenenti bombe a mano e pistole con caricatori. Da subito Luigi Mas dimostrò di avere le doti del capo, assumendo la guida del gruppo. Con queste armi attaccarono, in collaborazione con alcuni marinai del quartiere, un piroscafo francese sul quale si era asserragliato un nutrito gruppo di militari tedeschi, cercandovi riparo. Nello scontro, riuscito vittorioso, obbligando il nemico alla ritirata, lasciando un loro camerata morto, si impadronirono di altri 25 moschetti e di un centinaio di bombe a mano. Armi sequestrate dai tedeschi ai nostri marinai nelle ore successive all’armistizio. Il piroscafo sarà poi affondato dagli stessi militari tedeschi.

Il gruppo di coraggiosi partigiani, avvertiti per tempo dell’arrivo di due micidiali carri Tigre, provenienti, pare, dalla vicina Pompei, si ritirarono verso piazza Municipio, dove si scontrarono con altri tedeschi, ferendone due. Lasciata anche piazza Municipio si diressero verso la villa comunale dove attaccarono con una mitraglia e bombe a mano alcune camionette tedesche, riuscendo a distruggerne una. Negli stessi luoghi, non è ben chiaro se in maniera autonoma o seguendo un medesimo piano d’azione, agirono anche altri gruppi armati. Tra questi, alcune testimonianze ricordano la presenza del giovane Giordano Worowski,  il quale, ben appostato su di un tetto, riuscì a colpire in pieno una camionetta militare ferma davanti al bar Spagnuolo, facendola incendiare.[23]

Ancora una volta, a soccorrere i commilitoni in pericolo, arrivarono i carri Tigre, probabilmente gli stessi già visti nella precedente azione bellica. Ad avere la peggio fu il povero Agostino Circiello colpito ad una natica da un proiettile. Pur ferito, Agostino reagì ma il moschetto gli scoppiò tra le mani e fu nuovamente colpito a morte dai tedeschi da altri tre proiettili che lo presero nella pancia. Agostino era solo un ragazzo, poco più che diciottenne. Era nato il 11 gennaio 1925.

A cadere in villa comunale, sotto i micidiali colpi tedeschi, fu anche Santolo Contaldo, nato a Pagani il 3 marzo 1900 ma residente a Castellammare, in vico San Catello 36. Era un operaio dei Cantieri Navali e fin dal mattino si era unito a Luigi Mas e agli altri partigiani, partecipando ai vari combattimenti. Rimase colpito in villa comunale da due colpi di fucile. Morì in ospedale, dove vane risultarono le cure prestatigli.

Antonio Barone nel suo, Il tragico 43, così ricostruisce la sua morte:

Una raffica di mitra colpisce alla spalle Santolo Contaldo, che cade a terra in una pozza di sangue. I soccorritori lo trasportano su una scala a pioli al vicino ospedale, i cui infermieri chiamati per telefono tempestivamente si erano rifiutati di accorrere per paura dei tedeschi. Morirà dissanguato ancor prima di arrivare al pronto soccorso.[24]

Nella stessa giornata, intorno alle 16,30, un altro gruppo composto da Antonio Aiello, allora studente universitario appena ventenne, il ferroviere Giuseppe Staibano e il giovane perito industriale Ignazio Scala, nato nel 1921, figlio di Catello e di Teresa Perfetto, si unirono in Piazza Principe di Napoli, a un plotone di circa quindici soldati italiani per opporre resistenza alle truppe germaniche che avevano iniziato l’occupazione armata di Castellammare di Stabia.  Giuseppe Staibano, nativo di Maiori, il più anziano del gruppo essendo nato nel 1896, era già stato decorato con medaglia d’argento al Valor Militare per azione svolta contro i tedeschi nella precedente guerra mondiale del 1915-18. Era mutilato di guerra per aver perduto un braccio, quello sinistro.

Racconta il partigiano Antonio Aiello nella sua testimonianza scritta rilasciata il 18 maggio 1946 alla Commissione per il riconoscimento delle varie qualifiche (partigiano, patriota, mutilato, caduto per la lotta di liberazione) e suffragata dagli altri partecipanti:

Durante il combattimento svoltosi quel pomeriggio demmo la scalata ad un tetto di un palazzo sito in fondo a via Surripa nel difficile ma riuscitissimo tentativo di distruggere un camion tedesco carico di munizioni, che fu da noi fatto esplodere in seguito a precisi lanci di bombe a mano (…). Procedendo coraggiosamente nell’azione intrapresa, e con l’ausilio di una mitragliatrice in nostro possesso, incendiammo un secondo camion tedesco, anch’esso carico di munizioni, il cui scheletro rimase per alcuni mesi abbandonato nella locale villa comunale.[25]

Poiché il sottoscritto, come altri, in più occasioni ha già scritto sulle sanguinose giornate di quel tragico settembre del 1943, soffermandosi sui diversi episodi, in questa sede non dirà nulla in più di quanto già accennato nelle pagine precedenti, su quelli ormai famosi, come la difesa del Cantiere navale da parte del capitano di corvetta Domenico Baffigo. Abbiamo già detto sull’eroismo del giovane carabiniere, Alberto Di Maio e del carpentiere Oscar De Maria, caduti difendendo i Cantieri Metallurgici. Citerò appena il trentunenne Gaetano Aprea, nato nel 1912, fucilato dai tedeschi il 21 o il 22,  sorpreso dalle truppe tedesche mentre tagliava i fili di comunicazione telefonica, forse come atto di sabotaggio. Il corpo fu ritrovato il 28 settembre a Largo Pozzano.[26]

 In questa località trovarono la morte otto persone, fucilate sulla spiaggia tra il 16 e il 22 settembre, in tre furono sorprese e uccise durante atti di sabotaggio e per questo riconosciuti Caduti per la Liberazione. Le altre cinque, fucilate per rappresaglia, furono   Antonio Giannullo, Liberata Infante, Pietro Longobardi, nato nel 1918, Luigi Santaniello (1922) e il piccolo Umberto Palatucci di appena otto anni.  Secondo Barone, nel suo già citato racconto sul 1943, la giovane donna, Liberata Infante, trovò invece la morte schiacciata da una pietra a seguito di una esplosione causata dalle mine poste dai tedeschi sotto il cosiddetto ponte di ferro al Corso De Gasperi.  A trovare la morte, oltre al già citato Gaetano Aprea, furono Vincenzo Curcio (1909), ucciso in combattimento il 16 settembre, almeno stando alla dichiarazione rilasciata dalla vedova alla Commissione istituita all’epoca, e Vincenzo Pennarola, nato a Napoli il 19 febbraio 1899, ferito il 18 settembre e morto lo stesso giorno a Vico Equense. In base alla dichiarazione della vedova sembra morto in combattimento e per questo riconosciuto Caduto per la Lotta di Liberazione.[27] Una lapide nella basilica di Pozzano ricorda il sacrificio di queste persone cadute vittime della barbarie nazista. Assassini che non si fermarono neanche di fronte a donne e bambini inermi.

Altri caddero a Scanzano, come Vincenzo De Simone, classe 1918, ucciso il giorno sedici nei pressi della sua abitazione in via Monaciello e riconosciuto come Combattente Caduto per la Liberazione[28]. Ad Anna Foresta, 22 anni, toccò in sorte di essere ammazzata il 27, di fronte allo stabilimento della Cirio,  mentre con altri partecipava al saccheggio delle scatole di confezioni alimentari, fenomeno diffuso in quei giorni di paura, di disperazione e di fame da parte della popolazione che assalì mulini e pastifici, incuranti della minacciosa presenza armata dei militari  germanici,  mentre Luigi Di Somma, di anni 35,  rimaneva ucciso presso la Reggia di Quisisana, non lontano dalla sua abitazione di via Fratte, non si sa bene se morto in combattimento, colpito da una mitragliata, come dichiarato dalla vedova, o fucilato per rappresaglia.[29] La Commissione regionale gli riconobbe comunque il merito di essere Caduto per la lotta di Liberazione

Tra gli ultimi sfortunati concittadini caduti sotto i colpi dei teutonici ricordiamo il ventiduenne Francesco Paolo Franchino, massacrato il 30 settembre e Gennaro Esposito, caduto addirittura il 1° ottobre.  Probabilmente ad uccidere Franchino ed Esposito fu una retroguardia rimasta nella zona  per compiere atti di sabotaggio e coprire la ritirata dei camerati, incalzati dalla Quinta Armata del Generale Clark, sbarcati sulle coste del salernitano il precedente 9 settembre, la famosa, Operazione Avalanche. A Castellammare di Stabia le Forze Armate Alleate vi entreranno nella tarda mattinata del 29 settembre dopo essere rimaste inerte per oltre due settimane  sui monti di Agerola, sordi agli appelli di alcuni antifascisti che ne chiedevano l’immediato intervento. Se effettuato avrebbe evitato l’ inutile strage di decine di poveri innocenti e le migliaia di deportazioni che ne seguirono. Alle avanguardie americane presenti sul Monte Pendolo interessava soltanto evitare scontri a fuoco ed inutili perdite, per aspettare comodamente l’inevitabile ritiro delle forze germaniche. Tutto quanto accadeva nella sottostante pianura del Sarno non interessava, non era un problema loro.[30]

Il primo in assoluto ad essere ucciso, tra gli estranei agli scontri armati, pare sia stato invece Raffaele Lupacchini,  il cui unico errore fu quello di affacciarsi al balcone di casa sua, in Piazza Ferrovia, oggi Piazza Matteotti, nel momento sbagliato. O forse anche lui volle collaborare come tanti altri concittadini, a lanciare suppellettili di varia natura sui tedeschi che stavano attaccando il comando italiano posto nell’Albergo Italia, lo stesso palazzo dove oggi è situato il bar Fontana. Scontri che si ebbero l’11 settembre e che terminarono con la resa dei nostri militari per evitare eventuali rappresaglie contro i civili.

Non si hanno ulteriori notizie di una motobarca, la Giovannini dei fratelli Aponte di Sant’Agnello che, proveniente da Napoli, fuggiva in direzione di Sorrento. Centrata da alcuni colpi di cannone sparati dai tedeschi dal cantiere navale di Castellammare fece cadere in mare  una parte degli oltre cento  passeggeri imbarcati. Sconosciuto il vero numero e l’identità delle persone a bordo. Secondo Benedetto Croce, che soggiornava a Sorrento dal dicembre 1942 in Villa Tritone, furono una decina, altre fonti parlano di una trentina.[31]

Violenze, distruzioni, rastrellamenti e stragi si ebbero anche nei comuni limitrofi, da Scafati a Pompei, da Torre Annunziata a Gragnano, da Sant’Antonio Abate a Casola e Pimonte, colpendo perfino nel piccolo, tranquillo, isolato borgo di Santa Maria la Carità, dove quattro innocenti furono massacrati senza pietà, colpevoli di aver tentato di sfuggire al rastrellamento operato dai tedeschi. Uno di essi, l’operaio edile, Pietro Cesarano (1904 – 1943) fu ucciso mentre lanciava una bomba a mano  contro la pattuglia nazista nel generoso tentativo di salvare un gruppo di giovani dal rastrellamento e per questo riconosciuto Partigiano caduto combattendo contro i tedeschi.[32]

Subito dopo la ritirata delle truppe naziste, scappate via non senza aver prima minato industrie e ponti alle proprie spalle, si ricostituirono partiti, sindacati e associazioni civili. Tra i primi il PCI sotto la guida di Giovanni D’Auria, il PSI con Raffaele Guida, la DC con Silvio Gava, il Partito d’Azione con Andrea Luise e Achille Gaeta, i liberali con Antonio Sorrentino. Infine si ricostituì anche la Camera Confederale del Lavoro con il mai domo Antonio Cecchi (1895 – 1969), bordighista convinto, già Segretario Generale nel 1919, quando la rifondò all’indomani del primo conflitto mondiale, appena rientrato dal fronte e tra i costituenti del PCd’I nel gennaio 1921 a Livorno. Cecchi fu tra quanti parteciparono attivamente alle battaglie campali delle Quattro Giornate di Napoli e riconosciuto Partigiano Combattente. Non molto tempo dopo, il 30 gennaio 1944, anche l’Associazione commercianti riaprì i battenti eleggendo Giuliano Balbi suo primo Presidente e come vice Catello Sorrentino.[33]  Tra i primi consiglieri ricordiamo Raffaele Perna (1880 – 1953), poi prosindaco fino alla prime democratiche elezioni amministrative del 7 aprile 1946, il negoziante, Sebastiano Coccia (1871 – 1948) e Ferdinando Spagnuolo, tra i proprietari del famoso Gran Caffè Napoli, uno dei più antichi e celebrati locali stabiesi, frequentato dai maggiori intellettuali e artisti di Napoli e provincia, da Matilde Serao a Luigi Denza, da Enrico De Nicola a Piero Girace, passando per Benedetto Croce.[34]

La democrazia riprendeva il suo lento, faticoso e tortuoso cammino dopo venti lunghi anni di dittatura, a Castellammare di Stabia, come nell’Italia intera.


Note:

[1]Raffaele Scala: L’altra faccia di Piazza Spartaco. La strage impunita, pubblicata nel sito web, Libero Ricercatore, il 20 gennaio 2021.

[2] ASC, Alto Commissariato per la Città e la provincia. Fonogramma al Podestà. 8 aprile 1932, busta 614

[3]La Stampa, 19 gennaio 1936: Il Principe Umberto saluta truppe partenti per l’A.O.

[4]Per approfondire l’argomento cfr. Raffaele Scala: L’antifascismo a Castellammare di Stabia. 1922-1943, pagg. 101-127,  in Cultura e Territorio, Rivista di Studi e Ricerche sull’Area Stabiana e dei Monti Lattari, Nuova Serie, I-2019. Dello stesso Autore: Luigi di Martino, un Partigiano di Castellammare di Stabia, pubblicato nei siti web, Nuovo Monitore Napoletano il 2 settembre 2021 e su Libero Ricercatore il 30 gennaio 2022 e Catello e Francesco Marano, storia di due antifascisti stabiesi, rispettivamente il 24 agosto e il  6 agosto 2022.

[5] Renzo De Felice, cit. pag. 174

[6] Antonio Barone: Pagine di storia, Ed. Godot, Castellammare di Stabia, pag. 113

[7] ASC, 1943, Squadristi e fascisti, facinorosi, busta 337, inc. 4

[8] Ibidem

[9] Franco Ferrarotti – Elio Uccello: cit., pag. 150

       Gli altri stabiesi arrestati furono, secondo la testimonianza dello storico Antonio Barone, Saul Cosenza, Francesco Staiano, Alfonso Amato e Salvatore Barone.

[10]Tra i deportati civili rientrati a Castellammare si ricordano, tra gli altri, il giovanissimo Giovanni Desiderio, deportato a Dachau quando aveva solamente 16 anni, i 18enni Umberto De Cunto, Francesco Paolo Pappalardo e Salvatore Donnarumma; Ernesto Manfredonia, Francesco Paolo Giordano, Mario Cusatti, Giuseppe Lauro, Ernesto Buono, Vittorio Russo e Michele Covito, internato ad Auschwitz, padre della scrittrice Carmen. In ultimo ricordo mio zio, Matteo Cinque, anch’egli deportato poco più che ragazzo. Era nato nel 1924.

[11]  Dei tre fratelli Rosa Rosa deportati si ricorda qui Domenico Rosa Rosa (1922 – 2005) che partecipò al secondo conflitto mondiale come ufficiale carrista prima di essere fatto prigioniero e deportato a Dachau. Trasferitosi a Foggia, dove aprì uno dei depositi di legnami dell’azienda familiare, divenne nel 1961 Presidente dell’Unione Sportiva Foggia che militava in serie C. Il suo capolavoro fu di portare nel giro di pochi anni la squadra in serie A. Gli altri due fratelli deportati furono i gemelli Ciro e Catello, nati nel 1925. Catello, con i fratelli minori, Alfonso (1928) e Gioacchino (1935), porterà avanti la tradizione di famiglia guidando l’importante azienda di legnami, Rosa Rosa Legno Sud, poi definitivamente fallita nel 1986.

[12] Cfr. ASN Gabinetto Prefettura, secondo versamento, Defascistizzazione, busta 92

   Eusebio Dellarole era nato ad Avigliano Vercellese il 27 novembre 1883 ed era giunto a Castellammare di Stabia nel 1940, proveniente da Valenza, in provincia di Alessandria. Di sentimenti fascisti e filo tedeschi, cooperò attivamente con l’ufficiale tedesco comandante del presidio stabiese. La stessa figlia di Dellarole, Lucia, collaborò con i tedeschi occupanti con la funzione di interprete   e a sua volta collaboratrice e assidua frequentatrice del circolo ufficiale tedesco. Stando ad un rapporto di un ufficiale di pubblica sicurezza, stilato all’epoca la ragazza: non avrebbe prestata una vera e propria collaborazione ai tedeschi, ma si sarebbe trattato soltanto di aver prestato la sua opera per la conoscenza della lingua tedesca, non essendosi potuta esimere per timore di eventuali rappresaglie. Cfr.  Maria Porzio: Arrivano gli Alleati. Amori e violenze nell’Italia liberata, nota 512, Laterza 2011.

    L’ex Podestà continuerà a rimanere Segretario Comunale fino a quando non sarà sostituito da Geremia Ludovico Broccoli il 15 maggio 1948, lasciando definitivamente Castellammare di Stabia.

[13]Antonio Barone: Piazza Spartaco, Editori Riuniti 1974, pag. 162

[14]Avanti!,14 dicembre 1944: Il capitano Simio condannato a sedici anni di reclusione.

[15] Cfr Antonio Ferrara: La Resistenza a Castellammare nel settembre 1943, in Cultura e Società, n.  5/6,  2013

[16]Giovanni Cerchia: La memoria tradita. La seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno d’Italia, Edizioni dell’Orso, 2016, pag. 181

[17]Antonio Barone: Pagine di storia, cit. pag.119

[18] Attilio Uvale, partigiano, fu fucilato con altri undici cittadini inermi a Firenze il 5 agosto 1944 dai tedeschi all’età di 23 anni, per rappresaglia. Attilio era stato portato via da Castellammare durante un rastrellamento all’indomani dell’otto settembre 1943, riuscendo fortunosamente a scappare nei pressi di Firenze. Qui si era unito alle forze partigiane, combattendo per la libertà del nostro Paese dall’occupazione nazista. Prima della ritirata, i tedeschi uccisero per rappresaglia 12 cittadini, tra cui Attilio, per vendicarsi di una presunta azione partigiana che in realtà non c’era stata.  L’eccidio è ricordato come la strage di Castello, un popoloso quartiere fiorentino. Pochi giorni dopo, l’undici agosto, Firenze sarà liberata dalle truppe alleate. Una lapide affissa nell’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze ne ricorda il martirio.  Cfr l’Unità del 6 gennaio 2008: Otto mesi per far luce sulla strage della menzogna, di Valerio Giglioli.

[19] Francesco Fatica: Mezzogiorno e Fascismo clandestino. 1943 – 1945; Cfr. anche Corriera della Sera del 14 ottobre 2006: Scalfaro e la figlia del fascista fucilato. Lo interrogai. Era colpevole? Non so, di Dino Messina

[20]  Il nome di Giovanni Acanfora è in un elenco di fascisti caduti per difendere la Repubblica Sociale di Salò, altre fonti lo indicano semplicemente come capitano della Guardia di Finanza imprigionato dagli slavi con tutti gli uomini della sua caserma. Si riporta qui una sintesi scritta da Antonio Cimmino nella sua rubrica, Spigolature stabiesi, del sito web, www.liberoricercatore.it. Giovanni Battista Acanfora di Luigi, nato a Castellammare di Stabia il 7 febbraio 1911, Capitano della Finanza; arrestato a Trieste il 2-5-1945 nella caserma di Via Campo Marzio e deportato per ignota destinazione. Il Capitano Acanfora fu massacrato assieme ad altri 97 finanzieri ed i loro corpi gettati in una delle foibe tra Basovizia e Monrufino. La II compagnia G.d.F. comandata da Acanfora aveva scacciato con le armi i repubblichini delle caserme dell’artiglieria e della milizia portuale, nonché la caserma tedesca di Villa Micher. I finanzieri, inoltre, avevano occupato la zona portuale del molo Fratelli Bandiera, ove un raggruppamento tedesco stava per far esplodere gli impianti; i tedeschi furono disarmati e catturati. La caserma di Campo Marzio fu fortificata e predisposta a difesa contro i tedeschi. Ciò nonostante i partigiani jugoslavi perpetrarono l’eccidio senza una motivazione apparente.

[21]Sugli arresti di Cappella Cangiani del 22 agosto 1943 e sui suoi protagonisti, cfr. Giuseppe Aragno: Le Quattro Giornate di Napoli. Storie di Antifascisti, Edizioni Intra Moenia, 2017

[22]  Testimonianza di Davide Coda resa il 25 giugno 1946 alla Commissione Regionale Campania per il riconoscimento della qualifica di partigiano e di altri partecipanti agli scontri armati. Luigi Mas era sposato con Teresa Manzo, una ragazza nativa di Casola di Napoli. Luigi Mas morirà, completamente dimenticato, il 2 ottobre 1967.

 In realtà su Luigi Mas, scomparso il 2 ottobre 1967, ne ha brillantemente scritto recentemente Gianni Cerchia nel il suo bel volume: La memoria tradita. La seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno d’Italia, Edizioni dell’Orso, 2016, Cfr. pag. 179 – 181

[23]A Worowski Giordano fa riferimento Vittorio Iovino nella sua rievocazione dei fatti pubblicati su Libero Ricercatore, con il titolo: L’8 settembre a Castellammare c’ero anch’io.  Anche Antonio Cimmino lo cita, sempre sullo stesso sito web, nella sua cronistoria: Castellammare di Stabia (8 – 28 settembre 1943) ricordando che il giovane Worowski e l’avvocato Mariconda, posti sul vicino tetto di un palazzo, lanciarono bombe a mano sulle camionette tedesche dirette verso il cantiere navale e provenienti probabilmente dal Corso Vittorio Emanuele, dove era situato il loro quartier generale. A proposito dell’avvocato Mariconda, il cui nome è riportato nella memorialistica locale, va segnalato, a onor del vero, che nessun documento ufficiale riporta il suo nominativo. Tra le tante testimonianze a caldo conservate presso l’Archivio Centrale di Stato non una fa riferimento alla sua presenza in quei giorni di fuoco e di morte, per cui cominciamo a dubitare di queste altre testimonianze raccolte oltre mezzo secolo dopo. Presumo che con Mariconda ci si riferisca a Sebastiano Mariconda, all’epoca dei fatti descritti uno studente comunista, poi socialista, socialdemocratico e perfino un passaggio nel Partito Repubblicano nel suo lungo navigare nelle perigliose acque della politica stabiese e di protagonista, non sempre positivo nel Consiglio comunale di Castellammare di Stabia. Originario di Gragnano, figlio di Andrea e di Caterina Massa, Sebastiano era nato il 8 febbraio 1924.

     Worowski –  Le leggi fascistissime imporranno l’italianizzazione dei nomi stranieri, e in particolare di quelli ritenuti sovversivi, così Woronski divenne Nunzio per l’anagrafe, ma non per chi lo conosceva –   era il figlio primogenito, nato il 18 luglio 1924, di Vincenzo Giordano e di Annamaria Raiola. Carpentiere del Regio Cantiere, comunista, Vincenzo Giordano aveva pagato la sua opposizione al regime con tre anni di confino politico. Con lui furono arrestati gli altri due irriducibili, Antonio Cecchi e Giovanni D’Auria, considerati i tre più pericolosi esponenti comunisti della zona. Vincenzo Giordano fu tra i protagonisti dei fatti di Piazza Spartaco del 20 gennaio 1921. Nel dopoguerra fu membro del Comitato di Liberazione locale.

[24] Antonio Barone: Castellammare di Stabia. Pagine di storia. Cfr. Capitolo X, Il tragico ’43. Pag. 111-120, Edizioni Godot, Castellammare di Stabia, 1990

[25]ACS, Compart Campania: Antonio Aiello, fasc. 2775, pratica 3254, Ignazio Scala, f. 2794, pratica 3335, Giuseppe Staibano, f. 2797, pratica 3327.

     Dalla documentazione recentemente messa a disposizione dalla Direzione Generale degli Archivi (DGA) emergono altri nomi di combattenti, stabiesi e non, di cui si ignorava l’esistenza, tra questi è utile ricordare Donato Montesano, napoletano, rimasto invalido durante gli scontri ai quali aveva, probabilmente, partecipato. La Commissione regionale per il riconoscimento della qualifica di partigiano non gli riconobbe tale status. Giuseppe Cammisa, originario di Trentola Ducenta e Andrea Brusciano di Aversa,  Michele Sarcinelli e Sante Monachese, gli ultimi due stabiesi.  Ai quattro sarà riconosciuto il titolo di partigiani combattenti per aver partecipato agli scontri del 9-11 settembre 1943. Mancano ancora altri nomi, presto ne sapremo di più, appena saranno disponibili i nuovi documenti.

[26]Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia: Episodio di Largo Pozzano, scheda curata da Isabella Insolvibile. Documentazione anche in ASC,  busta 410, inc. 2, f. 9.

[27]Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, cit.

[28]Antonio Cimmino nella sua Banca della memoria dei marinai su Libero Ricercatore, cita Vincenzo De Simone come marinaio torpediniere, fucilato dai tedeschi per aver partecipato alla difesa dei cantieri navali con il comandante Baffigo. Deve obbligatoriamente trattarsi della stessa persona, seppure Cimmino lo citi come nato il 1 settembre 1918, sulla falsa riga del sito del Ministero della Difesa,  Banca Dati dei Caduti e Dispersi 2ª guerra Mondiale. In realtà De Simone era nato il 19 di quel mese, figlio di Antonio e Luisa Marino. Stando alla scheda redatta dalla Commissione per il riconoscimento degli uomini e delle donne della Resistenza, De Simone fu ucciso per rappresaglia.  Antonio Barone chiarisce che fu ammazzato dai tedeschi nei pressi della sua casa  a causa di un cerino acceso durante il coprifuoco. La sua morte quindi non si deve ad una rappresaglia ma frutto di un terribile, mortale equivoco da parte della pattuglia nazista di passaggio nella strada, convinta che stesse facendo dei segnali, quando in realtà stava probabilmente accendendosi una banale sigaretta.

[29]Atlante delle stragi, cit. ad nomen

[30]Ad Agerola e intorno alle pendici del monte Pendolo erano presenti fin dal 10 settembre tre Compagnie del 4° Battaglione Rangers e pare che qualche pattuglia si fosse spinta fin dentro Castellammare, ritirandosi velocemente all’apparire dei tedeschi.

[31]Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, cit. Nota della curatrice Isabella Insolvibile

[32]Cfr. Raffaele Scala – Ettore Cascone: Santa Maria la Carità. 23 settembre 1943: una strage dimenticata, Booksprintedizioni, 2017 e, di R. Scala su Nuovo Monitore Napoletano: Pietro Cesarano, un Partigiano di Santa Maria la Carità, pubblicato il 3 settembre 2023

[33]ASC, Costituzione Associazione Commercianti. Busta 763, inc. 16. Il precedente Circolo dei commercianti era stato fondato nel 1928 da Adolfo Limarzi (1873 – 1956), in gioventù giornalista, redattore e direttore  di diversi giornali locali, avvocato e Segretario generale del Comune. La sua primogenita, Irma, sposò il futuro senatore, Silvio Gava.

[34]La storia del bar Spagnuolo, di Enzo Cesarano e Corrado Di Martino, pubblicato nel sito web, Libero Ricercatore, il 29 marzo 2018.

    Sull’insurrezione di Castellammare di Stabia contro l’invasore tedesco Cfr. Antonio Barone: Il tragico 43, in Castellammare di Stabia. Pagine di storia, Edizioni Godot 1990; Giuseppe D’Angelo: 9 settembre – 1 ottobre 1943 su L’Opinione di Stabia, nn 102, 103, 104 di novembre, dicembre 2005, gennaio 2006; Antonio Ugliano: Per non dimenticare, su L’Opinione di Stabia, pubblicato a puntate tra dicembre 1999 e aprile del 2000; Antonio Cimmino: Castellammare di Stabia (8 – 28 settembre 1943) e La Resistenza nasce a Castellammare di Stabia, entrambi  su Libero ricercatore;  Antonio Ferrara: La Resistenza a Castellammare nel settembre 1943, Cultura & Società, anno VI, n. 5-6, pag. 151-166; infine di Raffaele Scala:Quei terribili giorni del 1943; Settembre 1943. I partigiani di Castellammare di Stabia e I giorni della memoria  a Castellammare di Stabia tutti pubblicati sul sitoweb, Libero ricercatore rispettivamente  il 8 settembre 2015, 8 settembre 1917 e  il 28 agosto 2019.

     Sempre dello stesso autore Cfr. la più complessiva vicenda dell’antifascismo stabiese in Cultura e Territorio, Nuova serie, n. 1, 2019: L’antifascismo a Castellammare di Stabia. 1922 – 1943, pag. 101/127

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