Fig. 3 Pisa. Il Gioco del ponte in una incisione del 1649.

I Conti di Castellammare – Capitolo I

Il Gran Tour dei Conti di Castellammare

CAPITOLO I

30 aprile – 8 maggio Napoli, Livorno; 8 maggio – 9 maggio Livorno; 9 maggio – 15 maggio Pisa; 15 maggio- 16 maggio Livorno; 16 maggio – 19 maggio Pisa; 19 maggio – 22 maggio Livorno; 22 maggio Lucca; 22 maggio – 24 maggio Pisa.

Nella primavera del 1785 Ferdinando IV, re delle due Sicilie, e sua moglie Maria Carolina d’Austria, per rafforzare i rapporti diplomatici con gli altri Stati d’Italia, ma anche per organizzare matrimoni politici[1] per i figli, attraverso i quali aumentare l’influenza e il prestigio del Regno di Napoli in Italia e in Europa, intrapresero un tour nell’Italia centrosettentrionale. Infatti, durante questo viaggio, i due sovrani concordarono un’accorta strategia matrimoniale, da attuare negli anni successivi, con i rispettivi fratelli granduchi di Toscana, che di lì a poco avrebbero ereditato la corona austriaca. Decisero così i matrimoni di due ancor giovanissimi figli: la secondogenita Luisa Amalia, all’epoca appena dodicenne, con il secondogenito di Pietro Leopoldo, Ferdinando, e il piccolo Francesco, nato nel 1777, erede al trono per la morte prematura del primogenito Carlo Tito, con l’arciduchessa Maria Clementina.

Il viaggio iniziò il trenta aprile dal porto di Napoli dove essi s’imbarcarono di prima mattina sul vascello san Gioacchino[2] riccamente adornato per l’occasione. A capo del vascello reale, con al seguito altre sedici navi, vi era il Maresciallo di Campo Francesco Bologna, mentre il comandante in seconda era Bartolomeo Forteguerri, Maggiore dell’armata in mare di S. M. e Colonnello degli eserciti reali. Il titolo assunto, per conservare il più assoluto incognito, fu quello di Conti di Castellammare, sotto il quale salparono alla volta di Livorno tra i festeggiamenti della nobiltà e del popolo accorsi sul molo per assistere alla partenza.

Dopo una navigazione di otto giorni approdarono nel porto di Livorno, accolti dal Generale Governatore Conte di Montauto[3] e consorte che, saliti a bordo per adempiere ai saluti di rito, li accompagnarono a terra dove furono accolti dallo sparo di numerosissime salve di cannone. Quindi si diressero a piedi al palazzo reale dove furono ricevuti dal Granduca di Toscana Pietro Leopoldo D’Asburgo-Lorena, fratello di Maria Carolina, e dalla moglie Maria Luisa di Borbone, sorella di Ferdinando.

L’indomani, nove maggio, accompagnati dai parenti, si recarono a Pisa, dove giunsero intorno a mezzogiorno, ricevuti da una folla festosa tra gli spari di un gran numero di mortaretti. Entrati in città per la Porta Fiorentina[4] (fig.1), dove si trovavano il comandante, i deputati, e gli ufficiali della parte di Mezzogiorno, ossia di S. Antonio, colle Bandiere spiegate e i tamburi battenti, furono preceduti e accompagnati da questo comitato di festeggiamento fino alla metà del Ponte. Qui li aspettava l’altra fazione, la Tramontana, ossia di S. Maria, con gli stessi festeggiamenti ed acclamazioni di gioia e di giubilo.

Fig. 1 Pisa. Porta Fiorentina in una cartolina inizio ‘900

Fig. 1 Pisa. Porta Fiorentina in una cartolina inizio ‘900

Fig. 2 Pisa. Palazzo Reale visto dalla piazza di san Nicola (inc. Bazzicaluva 1639)

Fig. 2 Pisa. Palazzo Reale visto dalla piazza di san Nicola (inc. Bazzicaluva 1639)

Intanto pochi minuti prima del loro arrivo era giunto dalla Porta a Lucca S. A. R. l’arciduca Ferdinando governatore di Milano, ricevuto da S. E. il conte di Thurn[5], maggiordomo maggiore, che, andati loro incontro, insieme si trasferirono in carrozza al Palazzo Reale[6] (fig.2). Nel pomeriggio si recarono in calesse a passeggiare lungo il corso concludendo, infine, la giornata a teatro.

Nel pomeriggio del giorno seguente si svolse la festa del “Cartello d’invito”, ossia la cerimonia della richiesta di sfida tra le due fazioni di Tramontana e Mezzogiorno, per eseguire in loro onore il famoso gioco del ponte[7] (fig. 3).

E riempitesi d’immenso popolo le vicinanze del Ponte, e preparata ad uso di ricca loggia la ringhiera del Palazzo Pretorio, si legge nella rivista “La Gazzetta universale”[8], vi comparvero i nostri Sovrani con i RR. Ospiti nell’istessa carrozza, e la Corte in diverse altre. Sorprendevano la vista degli spettatori le ricche “gioie” delle quali erano adorne le RR. Persone, ma molto più sorprese l’affabile degnazione con cui si compiacquero corrispondere agli universali applausi. Erano già passate nei rispettivi Campi le truppe dell’una, e dell’altra parte, sotto la loggia dell’Uffizio de’ Fossi si vedeva alzato un Padiglione allusivo alle Squadre di S. Antonio per la residenza dei Comandanti, Deputati et. Parimente sotto la loggia delle Sette Colonne era stato già disposto l’altro Padiglione colle rispettive Divise, e Bandiere per il Comandante, e Ufficiali della parte di S. Maria, ed in questo intervallo si sentivano tamburi battenti, e bande all’ uso militare. Ricevuto l’ordine dal Sovrano seguirono le reciproche disfide, eseguite con tutte le formalità sì dall’una, che dall’altra parte, fra gli incessanti evviva, e trasporti di una indicibile gioia. Quindi si dette principio alla marcia delle truppe riccamente vestite, e sfilarono verso la Piazza del Duomo, ove era stata imbandita una lauta merenda sotto dei Padiglioni; e gli Ufficiali furono trattati di squisiti rinfreschi, il tutto a spese della Corte, che onorò di sua presenza, in compagnia sempre dei prelodati illustri Viaggiatori. Questa festa riuscì nuova, magnifica, e brillante.

La sera ritornarono a Livorno per recarsi a teatro.

Fig. 3 Pisa. Il Gioco del ponte in una incisione del 1649.

Fig. 3 Pisa. Il Gioco del ponte in una incisione del 1649.

Il giorno dodici maggio, nonostante la mattina fosse piovuto, si svolse la gara che ancora una volta si trova relazionata nella rivista citata sopra:

 Giunta la Corte nella Loggia consueta prese posto l’infanteria venuta qua espressamente con i suoi Ufficiali nell’una e nell’ altra parte del Ponte, come altresì le Reali Guardie, e dai rispettivi suoi Campi defilarono le truppe dei Giocatori, e visitati, e numerati stavano sulla rispettiva Piazza. I Giocatori impazienti di dimostrare la loro bravura e animati dai continui applausi vennero dagli Ufficiali messi in ordine, per così dire, di battaglia, alla quale fu dato il consueto segno col tiro d’ un mortaletto. Era un singolare colpo d’occhio il vedere riunite nelle vicinanze del Ponte tante migliaia di spettatori. Circa 18 Lance Napoletane comparvero dalla parte di Mare superbamente guarnite, e piene tutte d’Ufficialità della flotta, e corredate di Strumenti Militari. Le finestre, i palchi, e le ringhiere che giungevano fino sopra i tetti erano ricolme di spettatori, i quali fra il brio, e fra gli evviva formavano un colpo d’occhio di cui non abbiamo memoria. Si è combattuto dall’una e dall’altra parte con tutto l’impegno, ed è restata vincitrice gloriosamente la sempre valorosa S. Antonio. Ora si preparano le feste in attestato di questa compiuta Vittoria.

La rivista “La Gazzetta toscana”[9] ci introduce nelle pieghe del festeggiamento che fu dato al termine dello spettacolo:

Nella sera medesima fu aperta la magnifica Sala preparata per la festa di ballo nell’Atrio della Sapienza. E più facile, l’immaginare che il descrivere la sontuosità del nobile apparato, la vastità della Sala da ballo, ed il vago contorno delle capaci stanze tutte riccamente montate, ed illuminate a giorno con gran numero di lumiere, e specchi distribuiti tutti con nobile simmetria. Le pitture per la vaghezza dei colori, e per la bene intesa distribuzione aggiungevano un nuovo pregio al ben intero spettacolo. L’Area della Sapienza ridotta a Sala spirava in allegra foggia di tutta la maestà e magnificenza del nostro Real Sovrano dimostrata con special modo in questa giuliva occasione. La gran Sala di cui si parla è lunga braccia[10] 59 e larga 36. contornata da 28 archi dipinti parimente con ottimo gusto, sopra ognuno dei quali era formata un’apertura a guisa di loggia di Teatro, di dove per altra parte si concedeva l’ingresso al basso popolo. La soffitta era tutta adornata, di bianco con arabeschi di gallone d’oro intrecciati con un ornato di fiori; da questa scendevano vari cordoni di color cremisi a cui rimanevano attaccate le molte, e ben situate lumiere. Il pavimento rimaneva coperto da un panno verde, e dall’una e dall’ altra parte comparivano due ben dipinti palchi per i suonatori vestiti uniformemente da una di color celeste, e dall’altra di color, d’oro con cappelli adorni di bianche piume. Accrescevasi il colpo d’occhio dal loggiato largo otto Braccia per il quale potevano gli spettatori spaziosamente passeggiare, e comodamente sedere, da cui si dava l’ingresso in circa 14 stanze, in ciascheduna delle quali era tutto l’occorrente per trattenersi al gioco. Con tali disposizioni grandiose oltremodo e nobilmente ideate, e con la moltitudine del popolo intervenuto alla festa è ben facile l’immaginare di qual sorpresa sia stata la medesima, Vi comparvero i Reali Viaggiatori con gli Augusti nostri Sovrani, vi si trattennero per molto tempo, e rallegrarono con la loro presenza le Persone concorse, la maggior parte delle quali era in sfarzosa gala. Queste furono servite con ogni sorte di squisiti, ed abbondanti rinfreschi, di biscotteria, e gelati, che furono incessantemente distribuiti dai soldati della truppa Civica per tutto il tempo di tal grandioso, spettacolo, il quale continuò fino alle ore 6 della mattina.

I festeggiamenti continuarono con la corsa dei cavalli sul lungarno organizzata nel pomeriggio del giorno quattordici e con un premio di trecento zecchini per il vincitore.

Sbarazzato il corso, si continua a leggere nella stessa rivista, comparvero otto cavalli estratti a sorte fra i molti che erano stati presentati, adorni delle divise di otto Squadre dei Giocatori del Ponte estratte parimente a sorte. Ciascheduno era guidato col seguente, ordine da due palafrenieri vestiti in abito di raso corrispondente al colore delle gualdrappe contornate con gran galloni d’oro. Divisa bianca dorè, e verde della Squadra di Calci: bianca e verde di Dragoni: bianca e celeste di S. Maria: ponsò[11] e nera di Satiri: bianca e nera di Leoni: bianca e gialla di S. Marco: bianca e rossa di S. Michele: rossa di S. Antonio. Rimase vincitore un cavallo, raccomandato al nobile Sig. Michele Venerosi Pesciolini, e siccome portava la Divisa della parte di S. Maria sollevò alquanto una tal vittoria i di lei partitanti. Terminata la corsa fu aperto il Teatro con la solita Opera, e fu onorato dalla presenza dei Reali Personaggi.

Trascorsero la domenica a Livorno dove pranzarono a bordo del san Gioacchino con diverse personalità e alti ufficiali del loro seguito. La sera, ritornati a Pisa, si trasferirono al Teatro Prini[12] in cui, a spese dell’impresario, era stata organizzata una grande festa da ballo, che si protrasse fino al giorno dopo.

Il lunedì successivo si continuò nelle manifestazioni con l’illuminazione di sera del Duomo (fig. 4).

Fig. 4 Pisa. Cattedrale di s. Maria Assunta (inc. F. Fambrini, sec. XVIII)

Fig. 4 Pisa. Cattedrale di s. Maria Assunta (inc. F. Fambrini, sec. XVIII)

Qui fin dalla mattina erano state esposte alla pubblica adorazione le reliquie del patrono san Ranieri, per cui c’era stato per tutta la giornata una grande affluenza di popolo. In serata arrivarono anche Ferdinando e Maria Carolina insieme agli arciduchi e alle arciduchesse, che, adorato il SS. Sacramento, si diressero a venerare le Reliquie. Allora dal Monsignore. Arcivescovo in abiti Pontificali fu intonato l’Inno, cantato dai musici della cappella con accompagnamento degli strumenti. Infine, fu recitata un’orazione in lode del Santo il cui altare era magnificamente illuminato e addobbato. Dopo di ciò uscirono dalla chiesa per una porta laterale per rientrarvi da quella principale e in questo spazio di tempo brevissimo ebbero la sorpresa di ammirare il Duomo magnificamente illuminato e decorato (fig. 4). Dopo avere espresso la loro ammirazione e la loro soddisfazione per simile spettacolo si recarono a Palazzo e in seguito a teatro. Il periodico “La Gazzetta universale”[13] ci dettaglia minuziosamente sulla festa che il giorno seguente fu eseguita in onore della fazione vincitrice:

Nel martedì dai vincitori Geniali di S. Antonio fu celebrato il loro Trionfo, ed andarono in tal guisa per le principali vie della Città.

Aprivano la marcia diversi furieri a cavallo, e la Vanguardia delle varie truppe era comandata dai rispettivi Ufficiali con tamburi battenti: compariva in seguito il Carro Trionfale tirato da sei Cavalli e preceduto dalle Bandiere Vincitrici e strumenti militari: in esso stava assiso il Comandante con i diversi Ufficiali dello Stato Maggiore, adorno di diversi emblemi allusivi alla riportata Vittoria. Formavano la retroguardia le altre truppe con gli Ufficiali tutti a cavallo, spettacolo che formava il più bel colpo d’occhio, ed i Reali Personaggi furono a goderlo nella solita ringhiera del Palazzo Pretorio. Continuamente vennero gettati da ogni parte poetici componimenti ed il rimbombo dei mortaletti durò per tutta quella giornata. Terminato il giro fu imbandito un lauto pranzo a spese del Comandante, e Ufficialità copioso di 100. Coperte nel Salone del Gran Priorato di Malta; adornato tutto di Bandiere, Cimieri, e Targoni coronati di lauro. Vennero invitati alla mensa secondo lor stile anco i Sigg. Comandante, Maggiore, e Deputati della parte di Santa Maria. Nel tempo medesimo risuonavano sempre musicali strumenti con profusione di rinfreschi e confetture fino alla sera, nella quale i Vincitori dettero una magnifica festa di ballo nel Teatro Prini, ornato parimente di Bandiere, ghirlande e di altri gloriosi emblemi. Tutte le Reali Persone v’intervennero in bautta[14]: la festa riuscì assai brillante, e continuò fino alle 6 del giorno seguente.

Infine, per il giorno ventuno, giorno prima della partenza dei due sovrani napoletani, fu organizzata una grandiosa illuminazione sul lungarno alla quale assistettero anche un gran numero di lance napoletane, arrivate appositamente da Livorno per godere di tale spettacolo. Ma facciamoci accompagnare nell’anima di questa festa ancora una volta dalla descrizione che ne dà la rivista “La Gazzetta toscana”[15]

Nel dopo pranzo le LL. MM Siciliane in compagnia delle LL. AA. RR e di tutta la R. Famiglia montarono nella Lancia Maggiore, e si portarono a passeggiare per il nostro Fiume. Era preceduto il Convoglio da tutte le suddette Lance, le quali formavano una vaga comparsa per le varie, e regolate figure nelle quali di tratto in tratto si distribuivano: ora si dividevano in tante colonie; ed ora si riunivano in un perfetto cerchio nel di cui centro restava situata la Lancia Reale. Lo spettacolo fu sorprendente, e la folla dal popolo radunato intorno alle Sponde faceva corona al nostro Arno. Dopo tutto ciò i Reali Personaggi andarono al passeggio  in carrozza, che fu oltremodo brillante e numeroso, ed ivi si trattennero fino a tanto che fu dato principio ad accendere i lumi Tutti i Lungarni erano talmente arricchiti di macchine, e così ben intese che scintillando sulle ore 24  la grande illuminazione, questa compariva quasi del tutto nuova anche per chi ne aveva goduta altre volte – Il Palazzo Regio, che aveva un intelaiatura bene assicurata, e staccata dalla muraglia fermava un superbo loggiato adorno nei vacui di lumiere, e terminava nelle parti laterali in un ballatoio dove erano statue trasparenti, e nel mezzo in un triangolo risedevano l’ Armi di S. A. R. Non è descrivibile la vivezza e la distribuzione dei lumi per i qua li tanto risaltava la macchina nuovamente ideata. Il prospetto della Dogana era parimente di nuova invenzione, come pure la facciata della Casa, abitata dal Conte Mocenigo Ministro di S. M. Russa. Ove era la Fortezza brillava più del solito perché più ricca la macchina una volta situata su quel vicino Ponte, essendo stato lasciato libero. Per il passo, e sfogo del popolo. Fuori della Porta alle Piagge nel punto di vista che guarda la Città si scorgevano diverse macchine, e fra queste la veduta del Casino Campestre dell’Inviato di Spagna. Il Ponte a Mare rideva per il suo ben ornato disegno, e nelle vicinanze compariva in diverse vedute tutta l’illuminazione solita farsi sulla Piazza dei Cavalieri che figurava diversi Palazzi, e l’Architettura dell’Arsenale, ora Regia Scuderia scorgevasi tutta ritrovata di lumi – Questi stavano lungo le Sponde in doppia lista per tutti i Lungarni, come pure negli ornati dei due Ponti di quello di Marmo, e dell’altro detto della Fortezza. Non vi era casa, né angolo da cui non si dipartisse una, chiara luce, e la notte rimasta quieta, ed in parte oscura contribuì a formare un complesso di vaghezza grato insieme, e degno d’ ammirazione. Il Ponte di mezzo era libero dalle carrozze, e gli altri due potevano transitarsi comodamente. Il corso composto d’una sola fila non impediva che le persone potessero godere di tale spettacolo. Tutti i Reali Personaggi l’osservarono in carrozza, in Arno nelle Regie Lance, ed a piedi mascherati in bautta.  I diversi luoghi riflettevano altrettanti diversi punti di vista, potendosi dire,

Esser la vista tal sì varia e vaga

Che in mille modi i riguardanti appaga.

Fu innumerabile il concorso, ed il tutto passò col maggior ordine, e quiete. In seguito, fu data dall’Impresario festa di ballo al Teatro.

È doveroso sottolineare che, nel corso di questo soggiorno, quando non erano organizzati eventi particolari, i sovrani napoletani ritornavano sul loro vascello, il San Gioacchino, ormeggiato a Livorno, sul quale venivano organizzati ricchi pranzi e feste con la partecipazione di alti ufficiali napoletani e toscani e la presenza di alti funzionari come il governatore conte Montauto e consorte[16].  Si legge sulla rivista “Notizie del mondo”[17]:

Il Vascello suddetto, in tale occasione non rassembrava più un bastimento, ma nella sua superiore coverta ad arte formava un bellissimo salone ricoperto di tende bene ordinate, e adorne di festoni. Tra i due alberi di maestra, e trinchetto stava preparata la gran mensa e sopra il Cassero le tavole del dessert, e tutt’altro che è necessario per il più magnifico pranzo.

La mattina del ventidue si incamminarono verso Pistoia e giunti a Lucca intorno a mezzogiorno si recarono al Palazzo del Sig. Luigi Mansi[18], dove furono ricevuti da tutta la nobiltà italiana ed estera in gran parata. Dopo circa un’ora fu imbandita una tavola in due stanze contigue, una con cinquanta e l’altra con trenta convitati, cui parteciparono le principali cariche di corte, di ministri, di primi ufficiali della squadra napoletana, oltre ai più alti titolati della nobiltà lucchese ed altri distinti forestieri venuti appositamente a Lucca in occasione di questo evento.

Terminato il pranzo, dopo essersi intrattenuti a parlare con la maggior parte dei convitati, salirono in carrozza e, accompagnati da tutto il seguito, si recarono a visitare il duomo[19] (fig. 5) nel quale si venerava il Volto Santo[20] e da lì andarono al campo per assistere alla corsa dei cavalli con il Fantino.

Fig. 5 Lucca. Il Duomo (inc. T. Salmon 1750).

Fig. 5 Lucca. Il Duomo (inc. T. Salmon 1750).

 La tradizione della corsa dei cavalli, scrive Gabriele Calabrese[21], era antichissima anche a Lucca. Anche qui come in altre città si correvano i palii con cavalli e a volte anche quelli grotteschi come ad esempio quegli con gli asini come ancora oggi si corre ad esempio a Querceta presso Pietrasanta. Il premio” in palio”, era quasi sempre un prezioso drappo di sete lucchesi. Fu comunque in occasione di un importante evento, che nel 1785 si pensò di rinnovare per intero la struttura di questo anfiteatro (fig. 6), ampliandolo quanto possibile nelle dimensioni, dotandolo principalmente di un nuovo palco per le autorità, un parterre ornato da preziosi giardini all’italiana con fontane, statue lignee raffiguranti alcuni dei dell’olimpo e vasi detti all’etrusca riprodotti sull’onda della neonata passione per l’archeologia. L’occasione si venne a creare per l’attesa e sospirata visita in Toscana del re delle due Sicilie Ferdinando e della sua gentile consorte, seguiti dalle rispettive corti e da uno stuolo di ambasciatori e nobili provenienti da ogni dove. In quella occasione la piccola ed ormai declinante repubblica di Lucca dette sfoggio con ogni mezzo e risorsa possibile di tutto lo sfarzo che si addiceva ad uno stato certamente piccolo, ma dal passato glorioso. Si consideri che si spesero somme tali da non essere minimamente paragonabile con alcun evento analogo accaduto a memoria d’uomo nei secoli precedenti e successivi. Gli aneddoti a questo riguardo sono numerosi e saporiti, ma dovrei fare una pubblicazione intera in merito. Oltre all’anfiteatro si riattarono con incredibili scenografie ed effetti speciali del tempo ben due teatri cittadini contigui: il Castiglioncelli in via del moro ed il Pantera in via Fillungo, per l’occasione uniti da un tunnel ligneo soprelevato all’interno del quale facevano sfoggio i più bei quadri e arazzi lucchesi (quelli che oggi si ammirano in palazzo Mansi per intenderci). Come ci raccontano le colorite e pungenti cronache dell’abate Chelini[22], per la prima volta la popolazione lucchese poté assaggiare gratuitamente un rinfresco mai gustato in precedenza: il gelato! L’abate racconta che un goloso prete di campagna ne mangiò talmente tanto che il giorno dopo ne morì di indigestione. Per la cronaca si sappia che il re Ferdinando fu entusiasta dei ricevimenti lucchesi ed in particolare della corsa dei cavalli. Incitava a gran voce il cavallo sul quale aveva scommesso aiutandolo con ampi gesti ed un colorito dialetto napoletano che il pubblico presente si sforzava di comprendere senza per altro riuscirci. I cavalli ormai prossimi al traguardo, quasi fossero giunti alla fine privi dell’energia necessaria per l’ultimo scatto vincente, rallentarono tutti di colpo tranne il preferito del re che…vinse.

Alla fine dello spettacolo, si recarono in carrozza al Casino dei Nobili[23] da dove, attraverso una galleria appositamente fatta costruire, passarono direttamente dagli appartamenti della casa del nobile Paolino Santini al Teatro Castiglioncelli[24], per presenziare alla rappresentazione Partenope sul lido etrusco[25]. Al termine, attraverso la stessa galleria, si portarono al contiguo Teatro della Pantera[26], per una grandiosa festa da ballo che, per contenere l’enorme numero di partecipanti, costrinse le autorità a riaprire il Castiglioncelli. In seguito, andarono a casa del Santini dove cenarono insieme ad altri cento illustri convitati ed infine, intorno alla mezzanotte, ripartirono per Pisa insieme ai parenti toscani ad eccezione del granduca Ferdinando, che proseguì il suo viaggio per Firenze.

Il poeta Giovanni Fantoni (Fivizzano 28 gennaio 1755, 1°​​ novembre​​ 1807​​, probabilmente per tifo), accademico della Crusca con il nome di Labindo Arsinoetico, in occasione della venuta dei reali napoletani dal Granduca Pietro Leopoldo, compose odi elogiative in loro onore. Quattro le pubblicò in un opuscolo dal titolo, Per la faustissima venuta Toscana di Ferdinando di Borbone re delle Due Sicilie etc. etc. e di Carolina d’Austria di lui consorte odi di Labindo.

Tra tutti i componimenti ne abbiamo scelto due quello scritto a Livorno per il compleanno di Maria Luisa di Borbone e quello dedicato a Maria Carolina d’Austria scritto a Pisa. Tali composizioni gli fecero ottenere dalla regina Maria Carolina un invito a recarsi a Napoli alla sua corte infatti, egli vi andò soggiornandovi dal 1785 al 1788 accolto con molto onore dai più famosi letterati e personaggi colti dell’epoca, il cui appoggio e assistenza molto giovarono alla sua crescita nella lirica.




Note:

[1] Fin dal ‘400 l’Austria in politica estera aveva adottato il motto “Bella gerant alii, tu Austria felix, nube” ossia “Le guerre le facciano gli altri, tu Austria felice, sposati”.

[2]Si sta in trattato di vendere al Re delle due Sicilie i due Vascelli il san Gioacchino, e il san Zaccaria; a tal effetto furono deputati 4 commissari, ed avendo questi fatta la relazione favorevole con alcune modificazioni, è stato incaricato in Napoli il Sig. Bali Carignani per ultimare quest’da affare. (cfr. Notizie del mondo, Malta 21 marzo 1780, p. 252).

[3] Il conte Federigo Barbolani da Montauto (1742-1789), studiò legge e fu impiegato dal granduca Pietro Leopoldo in numerosi incarichi nelle magistrature dei confini, delle decime e del catasto, e nelle soppressioni degli ordini gesuita e barnabita. Il 12 gennaio 1782 fu eletto governatore di Livorno e nel 1785 presidente dell’Ufficio sanitario di Livorno e del litorale (cfr. Siusa).

[4] Porta Fiorentina anticamente denominata Porta San Marco fu edificata nei primi decenni del 1500.

[5] Si tratta di Antonio, conte di Thurn e Valassina (1748-1790).

[6] Edificato tra il 1583 ed il 1587 per volontà del granduca Francesco I de’ Medici, su progetto dell’architetto fiorentino Bernardo Buontalenti, il palazzo sorge in una zona prestigiosa di Pisa, dove già nel X secolo si trovava la residenza cittadina dei marchesi di Tuscia. Nella nuova costruzione furono inglobati alcuni edifici preesistenti, tra cui la torre detta “della Vergadoro”, appartenuta all’importante famiglia dei Gaetani, altre case-torri di proprietà delle consorterie dei Dodi e dei Gusmari e la torre detta “del Cantone”, ancora visibile in buona parte della sua struttura originale tra via S. Nicola e via S. Maria. Altri edifici, botteghe e persino una chiesa furono invece distrutti, per lasciare posto al nuovo complesso architettonico e alla adiacente piazza Carrara. Tra il XVIII ed il XIX secolo il palazzo continuò a svolgere la funzione di residenza abituale dei Granduchi di Toscana. In particolare, ospitò spesso Pietro Leopoldo I, che amava trascorrervi l’inverno per il clima mite della città. In epoca post-unitaria vi trascorsero alcuni periodi di soggiorno anche i Savoia, donde assunse la denominazione odierna (cfr. www.turismo.pisa.it)

[7]Il Gioco sul ponte iniziò alla fine del XVI secolo per volere dei Medici che estesero la pratica dello spettacolo cavalleresco a tutto il Granducato. Il Gioco si disputava sul Ponte di Mezzo che già allora rappresentava il punto centrale della città. Gli spettatori assistevano allo spettacolo dai tetti, finestre e balconi delle case oppure direttamente dalle barche; orgogliosi di prendervi in qualche modo parte. Lo scopo del Gioco era la conquista del centro del Ponte: Tramontana e Mezzogiorno (quartieri della città) si sfidavano con duelli e lotte corpo a corpo, lanciando gli avversari nell’Arno. La disputa veniva preceduta da sfide, proclami e poemi che confermavano un’atmosfera bellicosa e cavalleresca. Il Gioco vero e proprio era preceduto dalla messa celebrata in forma solenne: le parti si riunivano rispettivamente nelle chiese di San Michele in Borgo o San Nicola (Tramontana) e San Martino o Santa Cristina (Mezzogiorno). Durante la messa avveniva la benedizione delle bandiere, rito allora concepito come segno propiziatorio. Nella versione moderna, per evitare risse e ferimenti, si è introdotto l’uso di un carrello di ferro del peso di sette tonnellate che scorre su cinquanta metri di rotaie. Le due fazioni del Nord e Sud della città lo spingono costringendo gli avversari a retrocedere. Vince chi conquista per primo il centro del ponte (cfr. www.giugnopisano.com).

[8] Pisa 11 maggio 1785, p. 311.

 [9] Pisa 18 maggio 1785, p. 82

[10] Il braccio fiorentino equivaleva a 0,58 m pertanto la sala misurava ca. 34m di lunghezza e 21 m di larghezza.

[11] Ponsò si dice di colore rosso vivo

[12] Il teatro Ernesto Rossi già dei Nobili fratelli Prini, …  in stile neoclassico, viene realizzato in pieno centro storico nel 1771, dopo la visita a Pisa del granduca Pietro Leopoldo (cfr.: www.teatrodipisa.pi.it).

[13]Pisa 18 maggio 1785, p. 327

[14] Costume in maschera (sec. XVIII), composto di un mantello nero, di seta, di velluto o di merletto, e di un cappuccio aperto solo sul volto, che si copriva con una mascherina (in antico detta volto); sul cappuccio si adattava il cappello a tricorno (cfr. dizionario Google).

[15] Pisa 25 maggio 1785, p. 86

[16] Si tratta della Contessa Luisa Lorenzi Ughi (cfr. www. archivitoscani.it).

[17] Livorno 18 maggio 1785.

[18] La famiglia Mansi è uno dei più noti casati della città e della Repubblica di Lucca. La ricchezza e lo status raggiunti dalla famiglia comportarono anche la costruzione di un palazzo adeguato e rappresentativo, così nacque l’omonimo Palazzo, che peraltro fu utilizzato anche dalla Repubblica di Lucca per le funzioni di rappresentanza. Situato nel centro della città ospita un museo e una notevole pinacoteca. (cfr. Wikipedia)

[19] La cattedrale di San Martino è il principale luogo di culto cattolico della città di Lucca, chiesa madre dell’omonima arcidiocesi. Secondo la tradizione, il duomo fu fondato da San Frediano nel VI secolo, poi riedificato da Anselmo da Baggio, vescovo della città, nel 1060 e solennemente consacrato nel 1070 dallo stesso Anselmo da Baggio, che all’epoca della consacrazione era già papa Alessandro II, ed infine rimaneggiato tra il XII e il XIV secolo (cfr. Wikipedia).

 20 Il Volto Santo di Lucca è un crocifisso ligneo, che la leggenda definisce un’immagine acheropita e che è stato al centro di una diffusa venerazione in tutta Europa fin dal Medioevo. È situato nel tempietto del Civitali della Cattedrale di San Martino a Lucca (cfr. Wikipedia).

[21] Estratto di un articolo di Gabriele Calabrese, pubblicato il 14 agosto 2010 in www.turislucca.com, dal titolo Itinerari in Toscana. Lucca: solo una piazza che si chiama Verdi?

[22] Jacopo Chelini (1748 – 1824), abate, autore dello Zibaldone, importante opera storica lucchese di fine Settecento inizio Ottocento (cfr. www. etd.adm.unipi.it).

[23] Il Casino de’ Nobili, luogo privilegiato dove si riuniva la nobiltà per giocare e far conversazione e dove venivano date feste pubbliche e rappresentazioni teatrali in occasioni di visite di ospiti illustri, fu aperto tra il 1776 e il 1777 in alcuni locali contigui al Teatro Pantera e sostituiva il precedente situato fin dal 1704 in Canto d’Arco (cfr. Emilia Daniele: Le dimore di Lucca: l’arte di abitare i palazzi di una capitale dal Medioevo …, Firenze ADSI, Alinea editrice, 2007).

[24] Il 5 ottobre 1766 l’Accademia dei Dilettanti della Comica prende in affitto il primo e secondo piano della casa di Susanna Calandrini vedova Castiglioncelli da cui il nome del teatro. A questo atto ne seguirono altri due, quello del 1767 con il quale presero in affitto il terzo piano e la cantina e l’altro del 1804 con il quale il fratello della signora Castiglioncelli Teodoro Calandrini vendette l’intero stabile per 1200 scudi. L’apertura risale al 1767 mentre la prima rappresentazione avvenne durante il Carnevale del 1768. La costruzione del nuovo Teatro alla Pantera,  inaugurato durante il carnevale del 1770, mise in orgasmo i giovani accademici del Teatro Castiglioncelli, … siccome in confronto di quello della Pantera era assai piccolo e mal costruito, mancando particolarmente di un buon punto di vista, mal soffrendo l’esultanza dell’altra emula Accademia dei Collegiati per la costruzione del grande e bel teatro che essa aveva fatto, … ordinò che si demolisse quasi tutto il vecchio teatro e che se ne fabbricasse nel luogo stesso uno nuovo, grande e bello, comprando delle altre case adiacenti per comodo del medesimo, come infatti fu eseguito e ridotto il nuovo teatro che si vede oggigiorno.. (Cfr. id. ut supra).

[25]La rivista “Notizie del mondo”, Lucca 26 maggio 1785, riporta che tale rappresentazione era stata composta da un famoso poeta dell’epoca certo sig. Cristofaro Boccella e dal celebre maestro di Cappella napoletano il sig. Gaetano Andreozzi.

[26]Il 23 aprile 1769 Gli Accademici dei Collegiati acquistarono una porzione di stabile in via della Pantera per erigervi un nuovo teatro. Il Pantera fu costruito in un solo anno, con la partecipazione economica di tutti i soci che avevano pagato anticipatamente i palchi loro assegnati.   Il teatro venne inaugurato durante il Carnevale del 1770 con la rappresentazione di due tragedie con intermezzi. Nel tempo subì molteplici riadattamenti … nel 1948 il teatro subì una radicale trasformazione e il definitivo cambiamento d’uso in cinema. Oggi l’edificio è adibito ad uso commerciale (cfr. id. ut supra).

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