Funiculì Funiculà e ‘o Telefono

Funiculì Funiculà e ‘o Telefono

di Giuseppe Zingone

La ricerca in rete non sempre è produttiva e qualche volta può generare confusione e così  alcuni siti cadono in errore e le vicissitudini di una storia o di una notizia si reiterano come un  tam tam accrescendo a dismisura.

Capita ancora, che la storia di brani famosi, s’intrecci con altri brani che pure hanno fatto la storia della canzone napoletana. Cercando notizie sul Denza e sulla sua Funiculì Funiculà, mi è capitato di leggere un discreto volume, che apporta un po’ di chiarezza proprio a quelle informazioni che girano in rete, che mescolano, Turco e Denza, con le vicissitudini di Di Giacomo-Costa e Roberto Bracco.

Napoli che se ne va

A porre chiarezza è Aniello Costagliola, nel cui libro dato alle stampe nel 1919, “Napoli che se ne va“, gli eventi che portarono al successo il brano di Denza e della Nannì di Di Giacomo sono meglio compresi.

Voglio, inoltre, per il lettore sottolineare che i nomi di Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco, sono inseriti anche nel brano di Piero Girace, Villeggiatura d’altri tempi, dove i due artisti incontrano a Pozzano, Olga Ossani e come da tale incontro, nasce secondo Girace, la stupenda canzone Napulitanata, musicata da Pasquale Mario Costa nel 1884.

La canzone genoiniana continua a dominare, nelle composizioni dei successori di don Giulio,1quali il D’Ambra, il Rocco, il Bardare, il Bugni, il Teodoro, un tipografo Cardone, i due pubblicisti Peppino Turco e Leopoldo Spinelli, un impiegatuccio Stellato, uno scultore Della Campa, o anche un mastro d’ascia Nicola Marfeé, fin oltre il 1880. E fu canzone fatta, quasi sempre, su motivi di cronaca cittadina, nella quale si intrufolava, a forza o a dispetto, un episodio d’amore. Ogni avvenimento politico o mondano, ogni innovazione civica o statale, ogni moda, ogni motto e, anche, ogni delitto ebbe la sua canzonetta d’ occasione. Per tutti i gusti e per tutte le bocche. Ma, anche allora, il trionfo fu dei musicisti, i quali vestirono di belle note orridi versi. E ricordo, a questo proposito, enorme entusiasmo, che ancor dura nel mondo, suscitato da Funiculì-Funiculà!, una canzone destinata a celebrare l’istituzione della ferrovia funicolare del Vesuvio: brutti versi di Peppino Turco su bella musica del maestro Luigi Denza.
Così, di altre canzoni e di altri maestri. Fra questi ultimi, notevolissimi, oltre il Denza, Vincenzo Valente, Luigi Caracciolo, il Siracusa, il Finamore, il Fanti, il Guida, i quali, quando si allearono a poeti degni di tal nome, riuscirono a far della canzone una perfetta composizione d’arte.
Ma il volgo dei poetastri fu debellato da Salvatore di Giacomo.2

Destinati a essere rivestiti di note dal maestro Gigi Caracciolo, i versi di Nannì, per un seguito di vicende che qui non é utile narrare, furono musicati deliziosamente da Mario Costa, divenuto, di poi, il compagno quasi indivisibile del poeta (Salvatore di Giacomo n.d.r.). A questa coppia di artisti Napoli deve le sue più squisite e perfette composizioni della specie; dico, anzi, che, per l’opera di essi, e di pochi altri, tra i quali il Bracco, il Russo, il Cinquegrana, e i maestri Tosti, Valente e De Leva, la nostra canzone è assorta a dignità di cosa d’arte.
Già, nel 1882, da circa dieci anni, la canzonetta napoletana era in decadenza, affidata nella sua terra originaria alle cure di mediocri improvvisatori di versi e di musica. Peggio: — il canto destinato annualmente al gran successo piedigrottesco veniva a Napoli imposto, dal 1880, d’oltre Sebeto: il pubblicista Peppino Turco e il musicista Luigi Denza, figliuolo del proprietario dell’Hòtel Quisisana,3 coglievano da Castellammare di Stabia l’alloro settembrino di Piedigrotta. Martin Cafiero volle, nel 1882, sottrarre Napoli a questa specie di vassallaggio morale. E invitò i suoi discepoli prediletti, Roberto Bracco e Salvatore di Giacomo, a scrivere, ciascuno, i versi di una canzonetta popolana. Di Giacomo compose la sua Nanni! E Bracco predilesse un motivo di attualità, – la vittoria degl’inglesi in Egitto – e su quello, prendendo argomento dalla venuta a Napoli dei reduci dal fatto d’arme, dettò le strofe caratteristiche di Salamelicche, nelle quali appunto un reduce così canta, su musica del Caracciolo, la sua pena d’innamorato tradito:

Da l’Egitto so’ turnato,
stracquo, strutto e sfrantummato
cu na faccia assaie cchiù nera
de na cappa ‘e cemmenera.
Rossa, ’n capo, na sciascina,
comm’a turco de la Cina…
Io mme paro nu pascià;
ma nun tengo che mangià.

Eccitata al cimento, la coppia Turco-Denza, raccolse il guanto di sfida; ella trasse anche da un fatto di attualità – l’inaugurazione del telefono a Napoli – la sua canzone, intitolata appunto ’O telefono; e la sera della vigilia piedigrottesca i tre poeti e i tre maestri, con le lor comitive di pedoni armati di antenne luminose, convennero in gara.
Doveva essere, quella, una guerriglia di fazione; fu, invece, la glorificazione di tutti i contendenti. Sui balconi degli uffici del Corriere e sulla piazza sottostante, assiepata di popolo, fu un clamore di folla osannante, che cinse del suo entusiasmo i sei artefici delle tre canzoni, e li sollevò tra le sue braccia, e li portò in trionfo per la via.
Tempi felici. Tempi di bontà tutta napoletana. I giovani artisti d’allora – non è retorica questa – mantenevano nei loro rapporti squisitissimo il sentimento della fraternità.
Potevano anche accapigliarsi spietatamente; ma si amavano e si rispettavano, in fondo; e i loro duelli erano determinati più da nobili emulazioni, che, come oggi, da basse invidie.4

Articolo terminato il 20 Giugno 2024


 

  1. GENOINO, Giulio da: Enciclopedia Treccani, testo di Francesca Brancaleoni: Nacque a Frattamaggiore, presso Napoli, il 13 maggio 1773 da Carlo e Maria Tramontano. Avviato alla carriera ecclesiastica, fu seguito nella sua formazione dal canonico D. Niglio. Nel 1793 fu mandato a Napoli per compiere, oltre agli studi letterari, quelli musicali e scientifici.
  2. Aniello Costagliola, Napoli che se ne va, il teatro la canzone, Editore Gennaro Giannini, Napoli, 1918, pag. 322-323.
  3. Nessuna notizia certa abbiamo di questa affermazione del Costagliola.
  4. Aniello Costagliola, Napoli che se ne va, il teatro la canzone, Editore Gennaro Giannini, Napoli, 1918, pag. 334-336.

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