Il paluorcio
articolo di Lino Di Capua & Gelda Vollono
articolo del 07/03/2013
Caro Maurizio, ho riletto con interesse ed anche con una certa emozione l’appello accorato del dott. Vincenzo Esposito di giovedì 12 agosto 2010(1), in favore della conservazione del paluorcio, struttura di appoggio alla teleferica usata per il trasporto della neve, del legname e di altri prodotti fino alla prima metà dell’800. Esso mi ha fatto venire alla mente quella che mio padre, allora operaio del cantiere, aveva costruito in scala molto più ridotta all’inizio degli anni ’50. Consisteva essa in una serie di pulegge e di funi a cui era appeso il classico ‘panariello’ di vimini e che collegava il balcone posto al quarto piano della nostra casa con quello di fronte situato al primo piano della casa dove abitava la famiglia di mia madre. Attraverso questa teleferica casalinga era possibile trasferire da sopra a sotto e viceversa senza sforzo e in pochissimo tempo ogni genere di cose. Chissà perché ho sempre pensato che mio padre si fosse ispirato alla funivia del Faito ma, solamente dopo aver letto l’articolo e aver riflettuto sul fatto che lo usavamo già prima che la funivia andasse in funzione, ho capito che era ai paluorci che aveva pensato. Infatti egli, come tutti quelli che lavoravano ai cantieri navali, doveva sicuramente conoscerne la storia ed essendo poi un grande amante della montagna in qualche sua escursione doveva essere per forza imbattutosi in ciò che ne restava di essi. Mi sono poi ricordata che fino a qualche anno fa non era insolito, passeggiando per le strade del centro antico della nostra città, vedere calare dai balconi i ‘panari’ con i quali le signore solevano comprare la mercanzia da venditori ambulanti o da negozianti sotto casa e non mi è stato difficile pensare che forse anche quello è stato un riadattamento del più antico paluorcio. Ricercando infine notizie con il mio fedele amico di penna e di vita Lino Di Capua, collezionista e cultore della storia della nostra città, insieme siamo riusciti a trovare conferma del fatto che tale sistema era in già in uso da tempo immemore nelle nostre zone.
Infatti le prime notizie a stampa risalgono al 1753 quando l’abate Genovesi, nel suo Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze, nel lodare le diverse invenzioni meccaniche, esalta infinitamente anche i miglioramenti fatti al Palorcio da Bartolomeo Intieri(2), il quale notò che gli abitanti delle frazioni del Faito per trasportare oggetti di modeste dimensioni da una fattoria all’altra usavano tutta una serie di funi sospese a dei pali. Questi pensò bene di apportare alcune modifiche a questo marchingegno e sfruttarlo per il trasporto di legname, neve e quant’altro doveva essere portato a valle. I primi tentativi fatti dell’Intieri furono tuttavia un vero e proprio fallimento in quanto il materiale si spappolava contro i pilastri appena giungeva a valle, non riuscendo egli a controllarne la velocità lungo la discesa. Dopo la morte dell’Intieri nel 1757 gli studi furono ripresi da Michelangnolo Porzio(3) che, sulla scorta dei progetti fatti dal suo predecessore, li rielaborò riuscendo ad apportare le modifiche necessarie per meglio controllarne la velocità. Gli esperimenti fatti sul campo diedero esiti positivi e fu così che nacque l’antesignana della prima teleferica. Proprio la teleferica ebbe risonanza anche al fuori dei confini nazionali e fu ritenuta una vera e propria invenzione dagli altri Stati al punto da meritare nel luglio del 1833 un articolo negli “Annali universali di agricoltura, industria ed arti economiche” noto mensile edito a Milano. Di seguito si riporta integralmente il testo di tale articolo:
Pertanto ci uniamo con forza alla invocazione del dott. Esposito perché come egli stesso scrive, “trattasi di beni storici e architettonici che caratterizzano il paesaggio che si ammira dal Faito e dalla frazione Massaquano ove la teleferica terminava“, ma noi aggiungiamo fanno parte anche della storia del nostro costume e non possono essere cancellati dalla nostra memoria.
Note: (1) “Mi giunge in questo momento la notizia che si starebbe demolendo uno dei piloni detti Palorci che testimoniano l’attività industriale e commerciale che dal Cinquecento all’Ottocento si svolgeva tra il Monte Faito e la Marina di Vico Equense. I Palorci, progettati dall’economista Bartolomeo Intieri e realizzati da Michelagnolo Porzio, nella metà del Settecento, servivano come appoggi alla teleferica usata per il trasporto della neve, del legname e di altri prodotti: Trattasi di beni storici e architettonici che caratterizzano il paesaggio che si ammira dal Faito e dalla frazione Massaquano ove la teleferica terminava. Rappresentano vestigia di un’epoca e di studi che coinvolsero i migliori illuministi napoletani da Genovesi a Intieri; delle produzioni di neve e di legnami del Faito, con le quali hanno vissuto migliaia di famiglie. Di quel mondo resta soltanto la testimonianza dei ruderi dei Palorci. Mi permetto di invocare l’attenzione del mondo accademico e di tutte le persone consapevoli del danno che viene perpetrato alla nostra memoria. Chiedo l’intervento degli enti pubblici responsabili, dalla Sovrintendenza ai Beni Storici e Ambientali, al Ministero della Cultura, alla Presidenza della Regione, al Sindaco di Vico Equense. Se lo scempio è in atto, lo si fermi; se non lo è ancora, si faccia in modo che non avvenga. Ringrazio per l’attenzione pregando le persone e gli enti in indirizzo di diffondere questo appello. Dottor Vincenzo Esposito, Via G. Nicotera 29/b – 80069 Vico Equense”.
(2) nacque nel contado di Firenze, e sul fiore degli anni venne a Napoli … studiò filosofia e matematica … gli fu commessa la cura delle vaste tenute Corsini nel territorio Campano : fece il maggior bene della nobile famiglia, ed il suo con giusta lode d’integrità e di prudenza; lande fu creato agente degli stati medicei pei possedimenti, che la corte di Toscana teneva nel regno, ed ebbe soldo di ducati 600, che gli fu conservato a vita dal re di Spagna. Ancora mise in piedi uno studio di negozio per la casa Rinuccini di Firenze, e fece de’ buoni allievi ad incremento del commercio. Piacendosi ognora delle matematiche compose due trattati degni di lode : inventò nuova foggia di magazzini da grano, ampi cassoni di legno senza coperchio da potersi ancora chiudere a chiave: inventò la macchina della stufa de’ grani, e Filippo Re gli dà nome per aver proposto di privare col fuoco il grano della facoltà di vegetare per conservarlo . invecchiato si ritirò nella pace domestica colle virtù che gli fiorivano la vita : colto d’apoplessia mancò a’ 21 febbraio 1757 di anni 80, o in quel torno. Fu amico di rhiari spiriti, fra i quali del pontefice Clemente XII, del viceré conte di Hirrac, di Poisieux ambasciatore di Francia: la sua morte fu lacrimata, e la sua memoria dura in benedizione. BIOGRAFIA DEGLI ITALIANI ILLUSTRI NELLE SCIENZE, LETTERE ED ARTI DEL SECOLO XVIII, E DE’CONTEMPORANEI I COMPILATA DA LETTERATI ITALIANIDI OGNI PROVINCIAE PUBBLICATA PER CURA. DEL PROFESSORE EMILIO DE TIPALDO . Vol. I Venezia dalla tipografia di Alvisopoli 1834.
(3) Poco o nulla si sa della sua vita le poche notizie trovate riportano che nel 1731, era, ingegnere del Monte dei Ruffi, in seguito divenne ingegnere della Real Corte e Regio Tavolario del Sacro Consiglio.
Questo articolo è meraviglioso grazie. Chissà se si può realmente fare qualcosa per rivalorizzare i Palorci. Spete se c’è mai stato qualcosa in cantiere?