Uno degli ingredienti fondamentali in una vera storia d’amore è la conoscenza, intesa come l’essere consapevoli del reale valore dell’oggetto della nostra passione. È proprio la mancanza di conoscenza che ha spinto gran parte degli uomini a disprezzare quanto di bello la natura ci offre quotidianamente e gratuitamente. Nelle righe che seguono impareremo qualcosa della parte inanimata del nostro ambiente, le rocce, i minerali, le particolari forme del territorio, in poche parole impareremo a conoscere la geologia della nostra terra, l’origine e la sua evoluzione. L’attuale assetto geologico della Penisola Sorrentina e dell’area vesuviana, territorio in cui si sviluppa il distretto stabiano, va interpretato in modo dinamico, poiché rappresenta una fase transitoria del continuo mutamento della superficie terrestre.
L’origine delle rocce più comuni in Penisola Sorrentina, calcari e dolomie (chimicamente dei carbonati di calcio e di calcio e magnesio) che si presentano come bianche rocce sedimentarie, è molto antica e risale a circa 245 milioni di anni fa (Mesozoico).
In quel periodo il nostro pianeta era molto diverso da come lo conosciamo adesso. Il Mar Mediterraneo non esisteva ancora e al suo posto c’era l’oceano Tetide compreso tra i continenti Laurasia a Nord e un super continente a Sud, il Gondwana, che comprendeva le attuali Africa, India, Australia e Sud-America.
Lungo la costa settentrionale di quest’immensa massa di terra, a latitudini molto prossime all’equatore, si erano formate una serie di lagune bordate da barriere “coralline”. In realtà i principali organismi biocostruttori di scogliere in questa era erano le Rudiste, molluschi bivalvi (ordine Pachiodonti) ormai estinti, vissuti in ambiente marino litorale, dal Giurassico superiore al Cretaceo.
In queste condizioni, del tutto simili a quelle delle attuali isole Bahamas dove l’acqua è calma e non molto profonda, iniziarono a depositarsi i sedimenti carbonatici. La costante sedimentazione, controbilanciata da un lentissimo sprofondamento dell’area, generò un equilibrio dinamico che permise all’acqua della laguna di non superare mai qualche decina di metri di profondità. Si crearono così i presupposti ideali per lo sviluppo di un sistema “laguna tropicale”, e nel volgere di 150 milioni di anni si accumularono, litificando, circa 4500 metri di sedimento.
Più o meno 100 milioni di anni fa, alla fine del Mesozoico, l’Africa, spinta dalla convezione termica del mantello terrestre (teoria della tettonica delle placche), comincia a muoversi verso L’Eurasia; l’oceano Tetide, stretto tra i due continenti inizia a chiudersi; i sedimenti, che in esso si erano deposti e con loro la laguna si corrugano e si sovrappongono in una serie di falde di ricoprimento.
Una conseguenza del processo è l’emersione delle falde che vanno così a costituire le catene montuose Alpine e Appenniniche. L’orogenesi appenninica avviene circa 10 milioni di anni fa, nella seconda metà del Terziario. La catena originariamente era rettilinea e allungata idealmente lungo una linea che va dall’attuale Tunisia alla Liguria.
All’incirca nello stesso periodo dell’emersione della catena appenninica, nel bel mezzo dei due continenti in rotta di collisione da milioni di anni, inizia a formarsi un piccolo oceano: il mar Tirreno. La crosta continentale si assottiglia e si spacca dando origine ad uno squarcio (Rift) lungo il quale si allinea una serie di vulcani sottomarini di cui sono esempi il Marsilli e il Vavilov, testimoni di un’intensa attività geologica con produzione di nuova crosta oceanica.
L’attività di rift, più intensa nel settore meridionale del Tirreno, spinge il neonato Appennino e lo fa ruotare in direzione NE (rotazione antioraria); la differente attività di “apertura oceanica” a Nord e a Sud, dà origine a due strutture arcuate, caratterizzate da stili di deformazione ed entità di rotazione differenti. Dove l’apertura è minore l’Appennino ruota di meno dando origine all’Arco Appenninico Settentrionale. Nel settore Sud, invece, si forma l’Arco Appenninico Meridionale, maggiormente spostato verso NE, che si congiunge con l’arco Settentrionale lungo una linea di faglia (trascorrente destra) situata lungo la congiungente Ortona-Roccamonfina.
Negli ultimi 2 milioni di anni, le immani forze che si sprigionano dalla collisione tra Africa e Europa (forze costruttive) e la contemporanea erosione e modellamento dei rilievi emersi (forze distruttive) foggiano la morfologia appenninica che noi oggi conosciamo. La tettonica del Tirreno genera nell’arco Appenninico Meridionale una serie di fratture (faglie dirette) orientate in direzione NW-SE e NE-SW. Le rocce calcaree, spesse migliaia di metri e ormai fratturate, in alcune parti della catena subiscono un ribassamento mentre in altre sono sollevate: si creano così una serie di alti e bassi strutturali (horst e graben).
Tra le rocce che prima si trovavano alla stessa quota si generano dislivelli di migliaia di metri. E’ così che si originano gli alti dei Monti Lattari, dei Monti Aurunci, del Monte Massico e del Cilento.
Un esempio concreto di quanto appena descritto è offerto all’isolotto di Rovigliano che rappresenta l’apice degli antichi massicci oramai sprofondati. Esso, infatti, è costituito dalle stesse identiche rocce carbonatiche che si trovano a più di mille metri sul Monte Faito.
Agli alti sopra menzionati si alternano i bassi strutturali della Piana del Garigliano, della Piana Campana, della Piane del Sele e del golfo di Policastro. I ripidi pendii che fiancheggiano i rilievi e li “separano” dai citati bassi strutturali sono, quindi, versanti di faglia.
Nella Piana Campana il ribassamento Quaternario si accompagna ad un intenso vulcanismo. Tra le fratture generatesi nei carbonati inizia a risalire il magma, frutto dell’intensa attività tettonica della zona, che giace a migliaia di metri di profondità. Antichi vulcani eruttano centinaia di metri cubi di lave e prodotti piroclastici, che nel volgere di poco tempo colmano una parte dell’immenso catino carbonatico dando origine alla Piana Campana. Degli antichi edifici vulcanici oggi non esistono evidenze affioranti poiché essi sono completamente sepolti nella piana e non contribuiscono all’attuale morfologia. Gli edifici vulcanici più recenti (tardo Quaternario) di Ischia, Procida, Campi Flegrei e Somma-Vesuvio hanno, invece, rilievo ben evidente. La loro attività vulcanica ha una forte componente esplosiva. Durante le eruzioni i prodotti piroclastici ricoprono le regioni circostanti generando una generale aggradazione e appiattimento delle superfici topografiche. Fenomeni di questo tipo hanno generato la piana dove oggi sorge la città di Sorrento (eruzione del tufo grigio campano, 37.000 anni fa) e gli imponenti strati di lapilli e pomici che ammantano tutta la dorsale Monti Lattari-Penisola Sorrentina.
Un diretto e tangibile effetto della massiccia presenza di prodotti piroclastici nei suoli della Penisola Sorrentina e della Piana Campana è la loro nota fertilità: preziosi minerali arricchiscono terre che altrimenti sarebbero sterili e poco produttive rendendole rigogliose e prospere.
Fino ad ora è stato sottolineato il ruolo fondamentale della tettonica nel determinare la morfologia del paesaggio, ma altre forze hanno agito negli anni modellando ed erodendo i rilievi neoformati.
I movimenti surrettivi orogenetici e le variazioni della costa tirrenica, causate dalle periodiche fluttuazioni del livello del mare, hanno favorito i fenomeni di dissezione fluviale nella catena e l’acqua ha potuto, in questo modo, scavare gli ampi valloni e le profonde forre che abbondano in Penisola Sorrentina. Un esempio è il vallone Scurorillo di Castellammare in località Pozzano.
Nel frattempo alcune porzioni sommitali dei rilievi carbonatici hanno subito erosioni modeste che hanno generato superfici piane: un esempio di una paleosuperficie di questo tipo è la spianata sommitale del Monte Faito oggi ricoperta da una bellissima faggeta.
La stessa acqua che ha eroso lentamente i compatti calcari, originando le forme appena descritte, ha, poi, avuto modo di infiltrarsi nelle fratture delle rocce e le ha rapidamente dissolte scavando imponenti sistemi carsici e riportando al mare gli ioni Calcio e gli ioni Carbonato che milioni di anni prima erano stati sepolti nella laguna tropicale.
Il sistema di pozzi, gallerie e grotte carsiche, nel quale fluisce l’acqua piovana, rende quasi nulla la circolazione idrica superficiale conferendo alla penisola un apparente aspetto di aridità. Numerose sono, invece, le sorgenti che si trovano tra i monti, dalle quali sgorga abbondante l’acqua dolce tanto preziosa alle biocenosi terrestri: come non ricordare le molteplici sorgenti che rendono unica la città di Castellammare di Stabia!
Altro importante fattore modellante del paesaggio sono certamente le condizioni climatiche. È noto che nel Quaternario si sono alternate numerose pulsazioni fredde (glaciazioni) a periodi caldi. Tutto ciò ha influito e condizionato i fenomeni erosivi-sedimentari che hanno plasmato la morfologia dell’entroterra e della costa della Penisola Sorrentina.
Ferdinando Fontanella
Twitter: @nandofnt
Per approfondire l’argomento consulta: Castellammare città di mare
Testi consultati:
- Cinque A., 1999 – Viaggio nella geologia della costiera amalfitana. Documenti “ 99” (stampato nel 1999 in occasione della mostra “Agerola-Arte ’99: Sul sentiero degli dei”).
- Guadagno M., 1918. La vegetazione della Penisola Sorrentina ( I, II, III Parte). Vol. V., Boll. R. Orto Botanico della R. Università di Napoli.
- Press F., Siever R., 1997. Capire la terra. Zanichelli, Bologna.
- Vallario A. et altri, 2001. L’ambiente geologico della Campania. Cuen, Napoli.