( a cura di Dora Celeste Amato )
articolo pubblicato su:
L’Espresso Napoletano n° 12 anno XII Dicembre 2012
Bella, operosa, Castellammare di Stabia sembra viversi una sorta di orgogliosa riluttanza ad apparire. Meglio arrivarci dalla vecchia città, per non privarci del fascino della scoperta, persino dell’immaginare il profumo dei suoi biscotti particolari, quelli al ‘naspro’, più noti, o quelli spolverati di zucchero al limone. Immaginato, sì, penetrato, attraversando la cittadina lungo i dislivelli di Quisisana, lo stretto viale tra alte mura di case antiche, il Faito protettivo eppure incombente -in 7 minuti la teleferica porta in cima, ove…, però, c’è poco o niente da vedere-, i visi vissuti di artigiani e cantieristi, l’eco di Raffaele Viviani, del pittore Bonito, del musicista Denza. Poi l’arrivo improvviso al mare, la Villa comunale, la Cassa armonica, la splendida piazza del Municipio e del Duomo, ti rendono consapevole che il motivo per cui sei qui risiede nella Storia. Ed è giusto che in essa ritorni.
Anche perché, forse per i giovani, campani e non, ahinoi, Castellammare di Stabia è soltanto un toponimo, tutt’al più legato al…mare, appunto; per l’attributo ‘di Stabia’, invece, non è così certo che se ne conosca l’origine, senza farsi aiutare da Internet, piuttosto che cercare sui libri. Ma chi ha almeno più di quarant’anni, scolarizzato o meno, non può non focalizzare le sue peculiarità. Che percorreremo rapidamente, poiché l’incontro odierno con i nostri lettori riguarda un unicum. Anche dal punto di vista divulgativo, visto che siamo la prima rivista-o giornale- di un certo nome che se ne occupa: parleremo della nutrita raccolta presepiale del Duomo di Castellammare, epoca XVIII-XIX secc., splendidi, diversi da tutti. E vedremo perché.
Il profumo dei biscotti, certo, la pasta stabiese; ma non possiamo fare a meno, memoria involontaria o meno, dell’altro odore, intenso, acre, “sulfureo e ferroso che proviene dalle sorgenti di acque medicamentose -scrive Pietro Gargano- che, elogiate da Plinio il Vecchio e da Cassiodoro, sono usate ogni anno da in milione di persone per curare molti acciacchi. Due gli stabilimenti, le Antiche Terme Stabiane costruite dai Borbone e rifatte in epoca Liberty e le Nuove Terme sulla collina del Solaro, Centoquarantamila metri quadri nel verde (…). Di fronte alle Antiche Terme, verso il mare, ecco il Cantiere navale edificato da Ferdinando IV nel 1783. Il primo vascello, qui, il Partenope, a 74 cannoni, sino alla nave-scuola Amerigo Vespucci, 1935 e alla portaelicotteri Vittorio Veneto, 1965”. Per citare i vari più famosi: oggi -e da tempo- cantieristica in crisi, si spera nell’ipotesi ‘naviglio fluviale’, dopo gli ultimi due pattugliatori.
Splendide e visitabili, le due Ville, Arianna e Romana, sul pianoro di Varano, antefatto culturale dell’Antiquarium, “la più bella raccolta di pitture romane esistente al mondo”, come lo definì Giulio Carlo Argan. Poi, oltre la visuale di nobili palazzi, laggiù l’isolotto di Rovigliano, “baluardo dei patrioti durante la Rivoluzione del 1799”, e, tornando a terra, gli ottimi ristoranti e i caffé da acquolina alla Eduardo. Oltre alle tante chiese, imponenti o riposte, sempre splendide.
Ed eccoci all’unicum: quanti conoscono la raccolta di ‘pastori’ del Duomo di Castellammare di Stabia, dedicato al patrono S. Catello? Un unicum di più di 100 figurine alte dai 50 ai 140 cm, di epoca coeva dei famosi ‘pastori’ dei famosi presepi napoletani di S. Martino, di Palazzo reale, della Reggia di Caserta, del Banco di Napoli, di S. Maria in Portico, per citare i più noti. Ma l’altezza è precipua soltanto degli stabiesi. Davvero pochi li hanno mai visti o ne immaginano l’esistenza. E, una volta tanto, la responsabilità non è dell’incultura degli uomini. Almeno di quelli…incolpevoli! Perché, poi, vedremo come, invece, tutto succede per le beghe di ‘campanile’, potremmo dire, e per campanile intendiamo Curia, Sovrintendenza, Comune.
Don Ciro Esposito, parroco della Cattedrale dal 1999, ha carattere e coraggio da vendere. Dunque speriamo che quando uscirà questo articolo, lui possa essere ancora al ‘suo’ posto, quello che, secondo noi, gli spetta di diritto e di…dovere, per quanto fa e ha fatto per l’arte, la storia, i ‘suoi’ pastori. Che, peraltro, sono arrivati in Cattedrale quando lui era davvero in mente Dei.
Prima sottilmente guardingo, quasi a chiedersi come sia possibile che a noi stiano tanto a cuore queste meraviglie dimenticate, diventa presto battagliero, orgoglioso e ci mostra libroni di fotografie, relazioni di restauratori mentre spiega tipo di fattura e di abiti, le ‘gioie’ di famiglia, ad attenuare la delusione sullo stato in cui giace quasi tutta la raccolta! Infatti, se don Ciro è parroco, qui, da 13 anni, si può dire che sia nato in Cattedrale, bambino, ragazzo del quartiere, quando, dice, “noi entravamo e camminavamo nel presepe. Ma, forse come allora, ora che la città si è spostata verso Quisisana, il popolo ancor più non la sente come la propria parrocchia”. E se ne avesse soggezione, azzardiamo? Infatti la gente diventa folla soltanto alla festa di San Catello, con relativa processione, uno di loro.
Le notizie storiche sono poche ma è certo che tutto iniziò con Monsignor Francesco Saverio Maria Petagna che, già rettore della Chiesa di S. Ferdinando a Napoli, fu eletto Vescovo di Castellammare nel 1850. Ciò che possedeva di più prezioso era una ‘Natività’ del XVIII secolo che pose in Cattedrale, ricca di vari pezzi a grandezza quasi naturale. Dopo l’esilio a Marsiglia, circa sei anni, tornando in sede nel 1868, non soltanto ristrutturò la chiesa, ma commissionò, in proprio, molti altri pezzi -arrivando a circa 500 esemplari tra piccoli, grandi e finimenti-, spendendo ogni suo avere, tanto che alcuni creditori alla sua morte, 1878, non trovando denaro, pretesero pezzi presepiali, tra cui il cavallo di uno dei tre Magi. Da allora l’abbandono, sino ad una breve ripresa espositiva nel 1911. Ma ecco che la Guerra mondiale sospese di nuovo ogni interesse. Con un piccolo ‘intermezzo’ del 1921, ad opera del sig. Domenico Santoro, capo disegnatore del Regio Cantiere. Poi il silenzio di altri decenni sino all’intervento di un giovane artista stabiese, anche restauratore e collezionista, Antonio Greco, che dagli anni ‘50 sino alla sua morte prematura, malgrado i problemi del dopo terremoto dell’80, non ha fatto altro che interessarsi alla visibilità e alla cura del Presepe stabiese. Visibilità in Italia, ma -sembra incredibile- anche nella città stessa. Infatti se dal ‘63 in poi, i ‘pastori’ sono stati ammirati e apprezzati all’Angelicum di Milano sino a S. Petronio a Bologna, Natale 2003, a Castellammare è impossibile…poterli vedere. Al di là dei nomi topici di chi, oltre a Petagna, Greco, don Ciro, ha fatto del Presepe stabiese quasi ragione di vita -passione, senso della Storia, amore per l’arte- imprescindibili sono stati l’altro vescovo benemerito, Monsignor Sarnelli, il sig. Scarselli, il presidente dell’Azienda di Cura, S. e T., Pandolfi, Stefanucci -Presidente dell’Associazione nazionale Amici del Presepe negli anni 50-60 e oltre-, Luciano Sita, presidente della Granarolo Spa che ha reso possibile l’esposizione di Bologna. Attraverso l’attenzione di “Giovanni Irollo -come scrive Sita- l’amico stabiese concessionario Granarolo in Campania, che li ha ‘ritrovati’, se n’è innamorato, ne ha finanziato il restauro, ‘restituendole’, poi, al Duomo di Castellammare”.
Don Ciro li cura, li protegge, dona stoffe che ricoprivano suppellettili in disuso del Duomo, sollecita e ‘guida’ i restauri (ottimi gli ultimi di Iacoletti e di Paola Borrelli-Iacoletti con la guida di Ida Maietta, della Soprintendenza), ma proprio non riesce a… tirarli fuori dal ‘ripostiglio’ lassù, nella canonica, 43 gradini lungo 5 rampe di scale strette, anche soltanto per spostarli sino alla, sperata, sede in Cattedrale.
Quando arriviamo lassù, ecco aprirsi per noi, la Grotta di Aladino o l’Antro della strega. Sì, perché i ‘pastori’ -personaggi, a volte alti quanto noi, stretti stretti, quasi a stabilire un legame di affetto difensivo contro il mondo che non li riconosce-, possono darti, con le loro espressioni, la dolce memoria della ‘vita’ che continua, da Macchus a Petito, oppure, per contro, l’idea dei fuggiaschi, quasi una nuova eruzione vesuviana del 79 d.C.. Subito fuori, in attesa paziente, alcuni da sistemare con più urgenza, visto che pensiamo, suffragati da Don Ciro -‘salvatore’ di tante tele, statue, oggetti sacri abbandonati in chiese in disuso-, che i chiodi sulle basi per reggere figure di quasi un metro e mezzo siano davvero insufficienti, se non inutili.
Da quasi due anni, altro paladino della visibilità e della cura del Presepe, qui, è la neonata Associazione stabiese dell’Arte e del Presepe (presidente, buon sangue non mente, Massimiliano Greco) che, oltre ad allestire le proprie Mostre a Natale -nuovi artisti di ogni età e collezionisti- nella splendida cappella, XVIII sec., di Palazzo sant’Anna, a due passi dal Duomo, si batte perché il Presepe antico sia, “dopo un restauro accurato, esposto nella Sala delle Adunanze capitolari, la più adatta alla bisogna, o, in alternativa, come dice Greco, sempre in Duomo, in teche isolate, lungo un percorso integrato con le altre opere d’arte”. Senza veti dell’uno o dell’altro Ente che non giovano a nessuno, se non alla rovina di un’opera d’arte e di Storia.
Perché il presepe di Monsignor Petagna “è legato alla Cattedrale, alla diocesi, ad una custodia corretta”, dice il parroco don Ciro, lo sguardo attraversato dall’amara soddisfazione che, sia pure in Diocesi -la Sorrento/Castellammare-, dal 7 dicembre al 13 gennaio, nove pezzi, restaurati, saranno visibili, ma a Sorrento, Villa Fiorentino, chiamata dal popolo ‘Villa Fazzoletti’.
Meglio che niente? Certo, sperando che la notorietà di Sorrento, sia fruttuosa e non continui a ‘schiacciare’ l’antica Stabia tra una Pompei nota nel mondo e una Costiera da sogno.
Dopo oltre 60 anni, il presepe stabile dovrebbe essere finalmente realtà e, come avevo proposto, il luogo deputato per accoglierlo sarà la sala capitolare.
Uso il condizionale perché nelle storie di Castellammare non vi è mai certezza.