Lo Stallone
Gelda Vollono
articolo del 13/06/2021
Nel 2019, insieme al mio amico Lino Di Capua, ho curato la pubblicazione di un libro dal titolo:
“Castellammare oltre la Porta del Quartuccio. Ritrovamenti e Rinnovamenti”[1].
La sua realizzazione è stato il frutto di un lavoro di ricerca, che ha visti impegnati per diversi anni noi curatori e un gruppo di professionisti: studiosi di storia locale, di urbanistica, di archeologia e di geologia, su una particolare zona di Castellammare, inizialmente su quella che va dall’attuale piazza Principe Umberto, alla piazza Martiri d’Ungheria, antistante la stazione centrale della Circumvesuviana, attraversando il sito una volta detto dello “Stallone”, e poi allargando gli interessi fino al monte Faito.
L’area occupata dallo “Stallone” è stata oggetto del mio studio all’interno della pubblicazione e di esso ne darò di seguito un breve excursus, mettendo in risalto i momenti salienti che ne hanno orientato e determinato le scelte per il suo sviluppo e le sue trasformazioni.
Lo “Stallone” era un particolare casamento che occupava la parte orientale dell’attuale piazza Principe Umberto e che, nell’Ottocento, era di proprietà del sig. Antonino Spagnuolo[2], ricco possidente originario delle Botteghelle. Tuttavia, se si osservano attentamente le varie rappresentazioni cartografiche settecentesche dell’area occupata dallo “Stallone” si nota la costante presenza di un edificio alla base della rupe del Solaro e a chiusura delle mura della città. Considerato che in quel luogo convergevano dalle località viciniore uomini, animali e mercanzie non è difficile dedurre, che quel fabbricato doveva essere una stazione di sosta e che, ancor prima dell’abbattimento delle mura e ancor prima che lo Spagnuolo ne diventasse unico proprietario, quella zona già venisse nominata dello “Stallone”.
In seguito, allorché, a cominciare dagli anni ’30 dell’Ottocento, lo Spagnuolo comprò suoli e fabbriche nell’area delle paludi di Santa Maria dell’Orto, località immediatamente adiacente all’attuale piazza Principe Umberto e a quell’edificio, si realizzò intorno a quel nucleo originario quel grande complesso di proprietà che fino al 1934 fu conosciuto come lo “Stallone”.
Fortunatamente per la mia ricerca, alla morte dello Spagnuolo, avvenuta nel 1869, si aprì una contesa legale tra alcuni suoi eredi e la Congrega della Carità a cui egli aveva lasciato tutta la proprietà dello “Stallone”, ledendo i legittimi diritti di successione dei suoi eredi. Tale controversia si protrasse per circa un ventennio fino a quando, nel 1887, addivennero ad un accordo, per mezzo del quale si decise che alla Congregazione spettasse un quarto dell’intera quota e i rimanenti tre quarti venissero suddivisi equamente tra i coeredi. La Congregazione si fece carico di avviare l’iter legale e nominò l’ing. Antonio Vitelli per la stima, la ripartizione delle quote medesime e l’elaborazione della planimetria dell’intero casamento. Così, grazie alla planimetria elaborata dal Vitelli, ho potuto avere la descrizione dettagliata dell’intero complesso dello Stallone (fig. 1).
Fig. 1 Planimetrie del piano terra e del primo piano dello Stallone elaborata dall’ing. A. Vitelli
Esso è descritto come un grande complesso con uno spazioso cortile “di figura trapezoidale, ed ha pavimento di nudo terreno”, al quale si accedeva per un ampio arco di piperno, facente cornice al portone (figg. 2 e 3).
Intorno al cortile si trovavano ampie stalle e rimesse per carrozzelle e per pesanti carrette da trasporto di carichi, allora in uso, negozi e magazzini. In esso inoltre vi erano due pozzi d’acqua sorgiva, una vasca, per abbeverare i cavalli, lavatoi e pozzi neri, di proprietà comune, oltre alle scale di pertinenza, per accedere ai piani superiori. Sul lato occidentale presentava un lungo porticato, al quale avevano accesso tutte le botteghe con apertura sul vico Stallone ed alcune di quelle situate su via Surripa, mentre sul lato orientale mostrava una vasta zona adibita a giardino, che si prolungava fino all’attuale vico San Vincenzo. Sul lato prospiciente Piazza Principe Umberto, all’esterno, a sinistra dell’ingresso, vi era una bottega, che ad inizio ‘900 era un caffè.
La ricostruzione in 3D dell’area dello Stallone alla fine dell’800 è stata elaborata dall’arch. Maria Dolores Morelli in collaborazione con l’arch. Maria Luisa Cascone (figg. 4, 5,e 6)
Tuttavia, negli anni successivi, come risulta dai vari rogiti di compravendita consultati, molte delle proprietà ereditate dai diretti discendenti dell’Antonino passarono di mano. In questo modo all’aprirsi del nuovo secolo l’intero casamento dello Stallone risultò essere frazionato e quel che maggiormente colpisce è il fatto che, ad eccezione del giardino, nessuna proprietà rimase ai discendenti dell’Antonino.
Al chiudersi del secolo si affacciò nelle vicende dello Stallone, diventandone protagonista assoluto fino alla sua morte, il signor Catello Celentano, ricco proprietario di carrozze. Infatti egli, a partire dal 1906 e fino al 1930, acquistò molte delle proprietà messe in vendita all’interno dello Stallone, così da diventare proprietario di gran parte del Casamento.
Fu intorno alla fine degli anni ‘20 che il Celentano pensò di realizzare, a proprie spese, un grande cinema teatro, utilizzando parte dell’ala orientale dello “Stallone”, avendo come limiti via Regina Margherita, il cortile interno, la zona del giardino di proprietà Cascone e il negozio posto a piano terra nella pianta del Vitelli (fig. 7).
Tuttavia per sopravvenuti motivi, che nel saggio vengono spiegati e documentati, ma qui troppo lunghi da riportare, non riuscì a portare a compimento quest’opera e, nel 1937, decise di venderne le fabbriche. Ciò nonostante nessuno dei proprietari, che si succedettero negli anni successivi e fino alla fine degli anni ’30, riuscì a completarlo e il costruendo Cinema Teatro Excelsior[3], ceduto ai signori Desiderio, fu poi inglobato nelle costruzioni del nuovo albergo Desio, che continua ancora oggi la sua attività, e del palazzo attualmente al numero civico 23 di via IV Novembre, scomparendo così per sempre dalla vista e dalla memoria dei posteri (figg. 8, 9 e 10).
Completiamo questo breve estratto dando qualche cenno sul prolungamento del tratto Torre Annunziata-Pompei Scavi-Castellammare della ferrovia della Circumvesuviana che era stato terminato ed inaugurato il 26 luglio di quell’anno1934 e che costituì l’ultimo atto delle trasformazioni di quest’area.
Il progetto si completava con la costruzione di una strada di comunicazione tra la piazza Principe Umberto e la nuova piazza della stazione stessa, la qual cosa comportava l’esproprio per pubblica utilità di una zona di 290 metri quadrati, con indennizzo di 2900 lire, ai rispettivi proprietari.
Lo “Stallone”, perciò, fu sventrato a monte verso via Regina Margherita e a valle verso Piazza Principe Umberto. Di esso rimangono sulla sx alcune botteghe e il “Casamentino” con alle loro spalle il giardino, a dx il singolare edificio curvo, un piccolo palazzotto che conserva ancora la vecchia scala a chiocciola e alcune botteghe su via Principessa Mafalda, via IV Novembre e via Regina Margherita (fig.11).
Con questo ultimo atto lo “Stallone” cessò di esistere definitivamente.
Note:
[1] Libro edito a spese degli Autori e in vendita presso i Curatori al “Circolo Velico Stabia” della nostra città, sito in via Banchina Marinella,
[2] Proprietario anche dell’attuale Palazzo Cardone da lui edificato su alcuni suoli comprati dal Comune nel 1830.
[3] Così denominato nel progetto del geometra Giuseppe Caliò.