Amarcord scanzanese
di Antonio Cimmino
Brevissima premessa dell’autore
Caro Maurizio, in un momento di amarcord ho appuntato le notizie spicciole che ti allego, che riprendono alcuni miei ricordi della Scanzano degli anni ‘50 del secolo scorso, vedi se qualcuna possa servire al nostro portale. Ciao, Antonio.
Personaggi di Scanzano
Marcantonio
Era un vecchio che abitava, nei primi anni ‘50, sulla stessa loggia, ove abitavo io, nel palazzo di Pisacane in Via S. Caterina a Scanzano. Stava sempre seduto con una pipa di terracotta in bocca. Io, piccolo, quando gli passavo davanti, gli battevo la mano su un ginocchio. Dopo aver espresso le sue rimostranze a mia madre per questo mio comportamento da scostumato, io gli passavo davanti ignorandolo. Al che egli diceva “ssu” dispiaciuto di non essere più importunato (Catiello ‘e Catella).
Mastu Nicola ‘o furbicione
Sempre nel palazzo di Pisacane abitava e faceva bottega, al secondo piano, un sarto per uomini e, quando facevano chiasso nelle scale o sul pianerottolo, usciva a minacciarci con le grosse forbici del mestiere.
Mast’Errico ‘o scarparo
All’inizio di Vico Tre Case a Scanzano abitava e faceva bottega un calzolaio di nome Enrico. Per accedere alla sua casa bisognava scendere alcuni scalini rapidissimi. Aveva un figlio senza tanta “cazzimma” e lo chiamavano Enzuccio ‘o bubbolone.
Michelone
Abbascio ‘a funtanella abitava un contadino che coltivava un pezzo di terra dove adesso ci sono le Nuove Terme. Camminava sempre scalzo e sotto ai piedi aveva un spessore calloso di almeno due centimetri.
Filumena ‘a pezzara
Imboccando Via S. Caterina, sulla sinistra c’era la casa di Filomena, una vecchietta che raccoglieva stracci e rottami in cambio di qualche spicciolo. Davanti alla sua abitazione, alla quale si accedeva scendendo scalini rapidissimi, gestiva anche una piccola bancarella di dolciumi. Era amica di mia nonna che sedeva lì a fare la calza. Quando mia madre non mi voleva dare 50 lire per andare al Cinema Corso, la nonna se li faceva prestare da Filomena e gliele restituiva quando percepiva la pensione.
‘O Barone
A metà strada di S. Caterina abitava un vecchio molto alto (così sembrava allora) che manteneva sempre pulitissimo il cortiletto, scopando ed innaffiandolo spesso. Aveva un figlio che lavorava in cantiere e veniva chiamato ‘o sasiccio.
Mario ‘o giurnalaio
A Via Micheli c’era un’edicola che vendeva giornali, quaderni e penne e, a Natale, palle colorate e lampadine per l’albero. Era gestita da Mario, un poliomielitico che zoppicava abbastanza. Abitava nell’attuale Via Viviani e ogni giorni saliva e scendeva a piedi per la Caperrina per gestire la sua piccola attività commerciale.
‘Ndunetta ‘a scupatora
Impiegata alla “scupara”, ‘Ndunetta abitava davanti alla funtanella e, a casa sua, ci si andava anche per piccoli lavori di sartoria.
Aitano ‘o stuorto
A Via Monaciello aveva una piccola sartoria un piccolo uomo con piccole gambe divaricate. Si chiamava Aitano e quando i nostri genitori ci portavano da lui per lavori sartoriali un po’ più complessi come, ad esempio, rivoltare vecchi abiti, noi ragazzi a stento trattenevamo il riso vedendo questo Geppetto con gli occhiali sul naso, alto quanto noi.
Austino ‘o stuorto
Austino, un vecchio grassoccio, sempre con una coppola in testa e anch’esso affetto da polio, aveva un carretto con sopra una specie di roulette ove, per poche lire si tentava la fortuna di vincere caramelle oppure biscotti Colussi.
Gennaro Bubbettiello
Prima barbiere con bottega agli inizi di Via Santo e successivamente negoziante di abbigliamento. Si spendeva da lui con pagamento “‘a quindicina”.
Stacchiello
Omonimo di un indagato durante gli scontri con la Polizia e la distruzione di sede di partito avvenuti dopo l’attentato a Togliatti, fu preso e portato in cella per alcuni giorni prima che l’equivoco fosse chiarito. Da allora divenne un acceso anticomunista.
‘Ndulino
“‘A llà deretro” cioè dietro al Palazzo di Pisacane, abitava un vecchio che aveva fatto il marinaio durante la guerra italo-turca e ci raccontava spesso che i neri non venivano attaccati dai pescicani presenti nelle acque tripoline a causa del colore della loro pelle. Era un antico socialista del primo dopoguerra e esprimeva sempre le sue perplessità nell’alleanza con il PCI dopo i risultati del Fronte Popolare. Una sua figlia di nome Gianninella era sarta e aveva diverse ragazze che imparavano il mestiere.
Donna Rafela
Madre del proprietario di parte del Palazzo di Pisacane, la sera d’estate scendeva in cortile e, raccolto intorno a se, un crocchia di ragazzi, raccontava “cunti” di avventura e di mistero. Era la nostra televisione dei primi anni ‘50.
Mastu Michele ‘o falegname
Abbascio ‘a funtanella aveva la sua bottega Mastu Michele che aveva costruito la stanza da letto a quasi tutti gli sposi di quella strada. Aveva a bottega numerosi ragazzi impegnati, per la maggior parte del tempo, a dare la pulitura ai mobili. La sua vecchissima madre, Mariuccia, seduta sempre sull’uscio della bottega, mi chiedeva sempre un bicchiere d’acqua fresca quando, in estate, mandato con un fiasco a prenderla dalla fontanella, le passavo davanti.
‘O Maresciallo
Un maresciallo di Marina in pensione. Grosso fumatore ed accanito lettore della Domenica del Corriere, mi incarica sempre di andargli a comprare le Nazionali senza filtro e, una volta a settimana, il giornale. Mi veniva incontro fino alla bottega della Masana, più oltre non lo ho mai visto andare.
Sputo a termine
Quando una persona adulta ci mandava a fare delle commissioni a Scanzano (cioè a Via Micheli), sputava a terra e diceva che dovevamo ritornare prima che lo sputo (‘a meza lira) si asciugasse.
Michele ‘e Idarella
A Via Micheli c’era una salumeria presso la quale spendevano molti operai del cantiere navale dei cantieri metallurgici. Si comprava principalmente pasta sciolta, lardo, legumi e, qualche volta, la mortadella. Si pagava “‘a quindicina” e la spesa effettuava veniva segnata, con lapis copiativo, su un lungo foglio grigio, tanto più lungo quanto numerosi erano le bocche da sfamare. Dai pezzi di lardo noi ragazzi cercavano di estrarre quel poco di prosciutto che era rimasto impresso.
‘A ‘nzugna
Il rito della sugna era praticato in ogni famiglia. Dopo aver comprato pezzi di lardo fresco, lo si fave a a pezzetti e poi bollito, successivamente veniva pressato nella schiacciavate assieme ad una foglia di lauro. Si otteneva così la sugna, che andava solidificarsi nei vasetti e i “cicoli” profumati mangiati con pane caldo e speziati con pepe nero.
‘O Graunaro
Prima dell’inizio della stagione fredda, veniva a Scanzano ‘o graunaro che vendeva carbone per il braciere (‘a vrasera). I carboni erano di due tipi: ‘o gravone vero e proprio come base e ‘a muniglia, più dolce e leggera che serviva per accendere velocemente il fuoco e dare avvio ai tizzoni sottostanti più consistenti. Anche qualche negozio si attrezzò con i due tipi di carbone per evadere la continua richiesta di tale combustibile, la vrasera si accendeva anche mettendo sopra una piccola catasta di legno secco avviato con pezzi di carta bagnati con un po’ di alcool.
L’ugliaraio
Come condimento più delicato, oltre alla sugna ed al lardo, si usava anche l’olio che veniva venduto casa per casa dall’ugliaraio. Sicuramente non era extravergine di oliva e chissà quanto olio lampante veniva spacciato per fine olio di oliva!
‘O ‘Mbrellaro
Gli ombrelli con asta di legno venivano riparati casa per casa da uno specialista che sostituiva anche la raggiera metallica e rattoppava la copertura in raso. L’ombrellaio riparava anche i cufunaturi e le vazzee cioè i recipienti di terracotta; il primi erano grandi vasi su cui si poggiava la tavoletta per lavare i panni, le seconde recipienti più piccoli con la parte interna che sembrava smaltata e che serviva per preparare la conserva di pomodori. Le incrinature erano riparate forando, con un trapano a mani, lungo i bordi, a destra e sinistra e cucendole con ferro filato, a croce. Successivamente passava lo stucco per rendere impermeabile la riparazione.
Michele Settecape
Era una specie di grossista di uva. Da lui si poteva comprare delle partite di uva e torchiarle per il vino usando gli stessi attrezzi messi a disposizione unitamente alla sua esperienza in materia. Qualche operaio del cantiere si faceva, così, la scorta invernale con qualche damigiana da 55 litri. Questo avveniva agli inizi degli anni ’60 quando i salari erano più sicuri e consistenti. Prima che morisse incidentalmente per una scarica elettrica mentre faceva pulizia con una manichetta collegata alla tubazione d’acqua, il suo locale era situato a destra della salita di Via Pergola.
Egregio Antonio Cimmino,
leggo le tue pillole di ricordi e mi sovviene che sono nato a Scanzano, in un basso di via Santa Caterina, forse, chissà, ci accomuna l’infanzia. E’ pur vero che non mi porto appresso nessun ricordo di quel tempo, ahimè lontano, perchè presto ci trasferimmo in via Cassiodoro. Però ricordo di aver sentito parlare di alcuni dei personaggi da te citati. Mio padre a quel tempo era un precario e lavorava come bagnino e guardiano notturno al Bikini, tant’è che quanto sono nato, alle quattro del mattino, lui era al lavoro e un parente corse a chiamarlo per dirgli che stava diventando padre per la terza volta. Un saluto da conquartiere.
Gentile Antonio,
Il suo racconto di Scanzano, interessante e piacevole, ha tanto rallegrato mia madre, Maria Pisacane, figlia di Carlo, padrone di una parte di Palazzo Pisacane, e nipote per parte di madre di mons. Francesco Di Capua. Mia madre si ricorda di Lei quand’era piccolo! Sto cercando di convincerla a raccontarmi i suoi ricordi per inviarli alla vostra redazione. Un caro saluto!