Annibale Ruccello - particolare del busto posto in Villa Comunale (foto Maurizio Cuomo)

Annibale Ruccello… Il ricordo

Annibale Ruccello - particolare del busto posto in Villa Comunale (foto Maurizio Cuomo)

Annibale Ruccello – particolare del busto posto in Villa Comunale (foto Maurizio Cuomo)

Franco Cuomo (settembre 2021: da lettere alla Redazione):

Ci conoscemmo nel corridoio dell’Istituto di Storia Medioevale, a Napoli. Io ero li con Franco Autiero, altra figura indimenticabile e impossibile non ricordare quando si parla di Annibale. Lo incrociammo, agitatissimo con le mani passate frequentemente in quella pesante e folta capigliatura nera: fare Storia Medioevale con Mario Del Treppo non era un’impresa facile. Superammo tutti e tre l’esame. Di dove siete, lui? Di Vico Equense, noi. Io Castellammare. Qualche parola su La Nuova Compagnia di Canto Popolare e Roberto De Simone e scoprimmo di avere un mondo di interessi in comune. Da quel giorno cominciò un’avventura irripetibile. Ricordo con precisione il luogo dove ci si incontrava per fare le prove della Cantata dei Pastori: il garage di una nostra amica a Gragnano. Io non dovevo recitare, poi una volta feci un paputo incappucciato, quindi non venivo riconosciuto, e un’altra volta interpretai Cidonio il cacciatore. Ero sempre con tutta la compagnia insieme a Vanni Baiano, Francesco Autiero, Dora Romano, Paola De Luca, Lello Guida, Michele Di Nocera, Anita Capelluti, Carlo De Nonno (compositore delle musiche di molti lavori di Ruccello), Rosalia Giardino, Luisa, Tito, Mimmo ed altri, insomma un gruppo di giovani animati dalla passione del teatro, coordinati dal più giovane di tutti: Annibale Ruccello, che oltre alla passione del teatro aveva anche quella e delle ricerche antropologiche. Annibale Ruccello era la testa di quel gruppo e la sua passione era più lucida di quella degli altri, meno istintiva e più determinata. Si era tra la prima e la seconda metà degli anni settanta, c’era il culto per Roberto De Simone – che è il vero padre di questa drammaturgia – per la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Annibale Ruccello si sarebbe più tardi laureato in filosofia proprio con una tesi sulla Cantata dei Pastori, pubblicata successivamente da Guida editore. Poi si passò a provare dai Salesiani a Scanzano, frazione di Castellammare di Stabia, poi a S. Antonio Abate. Tra una prova e un’altra si incuneava, un’andata a Materdomini, un’altra alla Madonna delle galline a Pagani, un’altra a Ticciano di Vico Equense a sentire il rosario cantato nel mese di agosto. Si andava a queste feste popolari e religiose con l’intento di cogliere i modi, le espressioni, con cui si davano le ultime espressioni della cultura contadina del sud, prima della grande omologazione, lì si incontrava Annabella Rossi e di nuovo De Simone. Era un laboratorio culturale e operava in provincia di Napoli, così come era già successo per esperienze precedenti sempre nell’ambito teatrale. Penso al Teatro di Marigliano di Leo De Berardinis e Perla Peragallo, alla Libera Scena Ensemble, al Teatro nel Garage di Torre del Greco. Ma questa esperienza, rispetto a quelle appena citate, si ridefiniva in un contesto post-moderno in cui la rielaborazione e la citazione culturale facevano tutt’uno con la reinvenzione della lingua.
Questi gli inizi. Da questi inizi attraverso contaminazioni colte, nasce la scrittura di Ruccello. Annibale Ruccello morì il 12 settembre 1986 in un incidente automobilistico e non sappiamo dove lo avrebbe portato la sua passione lucida per il teatro e la sua scrittura, che poi sono la stessa cosa.


Dora Romano (28/03/09: il ricordo inviato a Gaetano Fontana):

Salve Gaetano! Innanzitutto voglio ringraziarti per le foto che mi hai portato in teatro a Napoli… è stato un gesto commovente e inaspettato. Non sono abituata a ricevere attenzioni dai miei concittadini (eccetto dagli amici storici) e ancor meno da coloro i quali dovrebbero occuparsi di cultura o di valorizzare e far conoscere le eccellenze stabiesi. E’ pur vero che io sono trasmigrata appena ho potuto e quindi: “lontano dagli occhi…”, ma bando alle lamentele! Ho visitato liberoricercatore.it e ho apprezzato l’amore che portate a Castellammare. Quanto ad Annibale non è facile per me sintetizzare in poche righe una frequentazione costante, che parte dalla prima elementare per arrivare a due ore prima della sua morte. Annibale è quotidianamente presente nella mia vita, come nei miei ricordi, che sono ancora vivissimi. Abbiamo cominciato praticamente insieme la nostra avventura teatrale, lui per un verso io per un altro. La cosa che ricordo di più, e che mi è venuta un po’ a mancare col passare degli anni, è la gioia, l’entusiasmo, il puro e ingenuo divertimento con il quale ogni volta si affrontava un nuovo spettacolo e lo si portava in scena. E’ vero; eravamo giovani, e morendo prematuramente forse Annibale si è evitato una buona dose di stanchezze, delusioni e amarezze che il mestiere dell’artista inevitabilmente porta con sé nel tempo. Non so. Annibale aveva un bel caratterino, non era certo facile stargli accanto col cervellone geniale che si ritrovava; era faticoso, sì… ma che palestra è stata costruire uno spettacolo dal “nulla” che avevamo a disposizione… Non ho paura a dirlo; ho imparato più cose su come si fa il teatro durante quegli anni che in tutta la mia carriera finora e mi piacerebbe tanto ricominciare da lì! Non voglio dilungarmi a descriverti l’orrore e l’incredulità che ho provato sentendomi fare quella telefonata che mi diceva che Annibale non ci sarebbe più stato per sempre…
le sue opere vivono per lui: e chissà! Forse se un giorno la mia città mi proponesse di ricordarlo e celebrarlo come merita al di là di tristi operazioni nostalgiche, io sarei felice di farlo RIVIVERE mettendo a disposizione la mia arte per contribuire a studiare le sue opere attraverso la reale esperienza di vita e di arte che ho attraversato insieme a lui e a tutti gli altri “veri” compagni di avventura. Ora ti saluto. Devo andare in scena. Ti ringrazio per avermi dato questa opportunità e ti auguro un grande successo per le vostre prossime iniziative. Quando avrete bisogno di me sarò a disposizione. Ti lascio il mio numero di tel. ( … ). A presto e auguri.


Angelo Manzi:

Ho avuto la fortuna di assistere agli esordi di un genio della drammaturgia Annibale Ruccello: erano gli anni 1976-1977 quando un gruppo di ragazzi entusiasti, animati e guidati da Annibale, metteva in scena una versione de “La Cantata dei Pastori” e l’anno seguente “L’osteria del Melograno”.
Annibale si era laureato proprio con una tesi sulla “Cantata dei Pastori”. Aveva partecipato a ricerche sul campo nell’agro vesuviano, spesso in compagnia del grande Roberto De Simone, per raccogliere le musiche e le tradizioni popolari della zona, molte delle quali sarebbero state utilizzate per la composizione dell’ “Osteria del Melograno”, opera teatrale ispirata alle fiabe del “Pentamerone” di Basile.
Annibale ci trasmetteva il suo entusiasmo, appassionando ed ispirando anche chi, come me, era e sarebbe rimasto un dilettante. Del gruppo facevano parte alcuni, come Franco Autiero (attore e scenografo) ,Vanni Baiano (attore e costumista), Carlo De Nonno (musicista), Dora Romano (attrice), destinati ad una brillate carriera nel campo artistico, ed altri, come me, che erano dei dilettanti e si sarebbero fermati a quell’unica indimenticabile esperienza che ogni tanto personalmente rivivo guardando le foto di scena che conservo con affetto.
Sui manifesti de “L’Osteria”, la regia era denominata “di gruppo” (come allora andava di moda), ma in realtà il vero regista era Annibale, che vi fu protagonista anche in veste di attore (così come nella “Cantata dei Pastori” nel ruolo di Razzullo). Il suo linguaggio teatrale, già agli esordi, aveva i tratti del genio, ed anche il suo carattere era quello, forse, proprio di un genio, un po’ ombroso, scontroso, ma franco e diretto. Ricordo i rimbrotti che ricevetti da lui quando, occupandomi dell’organizzazione e della promozione de “L’Osteria” (la mettemmo in scena alle Terme Stabiane ed in alcuni Festival dell’ Unità in zona), intervistato da una radio privata, sbagliai , a suo dire , nell’ affermare che quel nostro lavoro si ispirava all’esperienza di Roberto De Simone (che nel 1976 metteva in scena il capolavoro “La Gatta Cenerentola”. Forse Annibale non voleva ammetterlo, ma in quelle sue prime opere, penso che il suo tipo di ispirazione avesse molto in comune con l’esperienza di de Simone,che, ricordo fra l’altro venne a vedere ed applaudì con simpatia la nostra “Cantata dei Pastori”.
Successivamente Annibale avrebbe intrapreso la sua personalissima strada, che mi piace descrivere usando le parole di un altro nostro illustre concittadino Matteo Palumbo “…. Come in uno strepitoso congegno affabulatorio, i grandi miti della cultura novecentesca nella sua opera finiscono per coesistere in un unico universo. Non c’è spettacolo di Ruccello in cui questa complicata alchimia di mezzi espressivi non si riproduca. Proust, Genet, Strindberg, Pasolini, De Roberto, Tomasi di Lampedusa stanno insieme con Patricia Highsmith e con i film noir, si integrano senza forzature con la suspence alla Dario Argento, dialogano con Mina e Lucio Battisti, con gli spettacoli trash della televisione più becera e con Raffaella Carrà… …cultura alta cultura bassa sono state egualmente indispensabili per la sua storia di autore…”.
L’apice della sua purtroppo breve carriera giunse con “Le cinque rose di Jennifer” e “Ferdinando” il capolavoro (entrambe le opere sono state tradotte in inglese, francese e tedesco), prima della sua uscita dalla scena del mondo in un caldo settembre di 25 anni fa.
Ma, certamente, quello che egli scrisse continua a godere di un ottimo stato di salute e a non perdere niente della forza e del fascino che aveva al momento della composizione.


Per ulteriori approfondimenti:

Annibale Ruccello… breve biografia

 

Un pensiero su “Annibale Ruccello… Il ricordo

  1. Franco Cuomo

    Ci conoscemmo nel corridoio dell’Istituto di Storia Medioevale, a Napoli. Io ero li con Franco Autiero, altra figura indimenticabile e impossibile non ricordare quando si parla di Annibale. Lo incrociammo agitatissimo con le mani passate frequentemente in quella pesante e folta capigliatura nera: fare Storia Medioevale con Mario Del Treppo non era un’impresa facile. Superammo tutti e tre l’esame. Di dove siete, lui? Di Vico Equense, noi. Io Castellammare. Qualche parola su La Nuova Compagnia di Canto Popolare e Roberto De Simone e scoprimmo di avere un mondo di interessi in comune. Da quel giorno cominciò un’avventura irripetibile. Ricordo con precisione il luogo dove ci si incontrava per fare le prove della Cantata dei Pastori: il garage di una nostra amica a Gragnano. Io non dovevo recitare, poi una volta feci un paputo incappucciato, quindi non venivo riconosciuto, e un’altra volta interpretai Cidonio il cacciatore. Ero sempre con tutta la compagnia insieme a Vanni Baiano, Francesco Autiero, Dora Romano, Paola De Luca, Lello Guida, Michele Di Nocera, Anita Capelluti, Carlo De Nonno (compositore delle musiche di molti lavori di Ruccello), Rosalia Giardino, Luisa, Tito, Mimmo ed altri, insomma un gruppo di giovani animati dalla passione del teatro, coordinati dal più giovane di tutti: Annibale Ruccello, che oltre alla passione del teatro aveva anche quella e delle ricerche antropologiche. Annibale Ruccello era la testa di quel gruppo e la sua passione era più lucida di quella degli altri, meno istintiva e più determinata. Si era tra la prima e la seconda metà degli anni settanta, c’era il culto per Roberto De Simone – che è il vero padre di questa drammaturgia – per la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Annibale Ruccello si sarebbe più tardi laureato in filosofia proprio con una tesi sulla Cantata dei Pastori, pubblicata successivamente da Guida editore1. Poi si passò a provare dai Salesiani a Scanzano, frazione di Castellammare di Stabia, poi a S. Antonio Abate. Tra una prova e un’altra si incuneava, un’andata a Materdomini, un’altra alla Madonna delle galline a Pagani, un’altra a Ticciano di Vico Equense a sentire il rosario cantato nel mese di agosto. Si andava a queste feste popolari e religiose con l’intento di cogliere i modi, le espressioni, con cui si davano le ultime espressioni della cultura contadina del sud, prima della grande omologazione, lì si incontrava Annabella Rossi e di nuovo De Simone. Era un laboratorio culturale e operava in provincia di Napoli, così come era già successo per esperienze precedenti sempre nell’ambito teatrale. Penso al Teatro di Marigliano di Leo De Berardinis e Perla Peragallo, alla Libera Scena Ensemble, al Teatro nel Garage di Torre del Greco. Ma questa esperienza, rispetto a quelle appena citate, si ridefiniva in un contesto post-moderno in cui la rielaborazione e la citazione culturale facevano tutt’uno con la reinvenzione della lingua.
    Questi gli inizi. Da questi inizi attraverso contaminazioni colte, nasce la scrittura di Ruccello. Annibale Ruccello morì il 12 settembre 1986 in un incidente automobilistico e non sappiamo dove lo avrebbe portato la sua passione lucida per il teatro e la sua scrittura.2, che poi sono la stessa cosa.

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