a cura di Gaetano Fontana
Sono passati circa 150 anni da quando il porto di Castellammare la notte tra il 13 ed il 14 agosto 1860 è stato teatro dell’unica battaglia navale tenuta dai garibaldini durante la Spedizione dei Mille.
Vi chiederete perché fu “l’unica”. La risposta è molto semplice: le navi a disposizione di Garibaldi erano poche. Il “Piemonte”, ormai vuoto, fu devastato dai colpi di cannone ed andò in secca. Il giorno 12 maggio 1860, lo “Stromboli” lo prese a rimorchio e lo portò prima a Palermo e poi a Napoli ove, restò inutilizzato nella darsena militare. Successivamente passò alla Marina Sarda.
Il “Lombardo” ebbe una differente storia. Restò in secca, semi affondato, a Marsala fino all’11 luglio 1860 finché, un certo Napoleone Santocanale, provvide al recupero utilizzando duecento operai e ben trenta pompe. Rimorchiato a Palermo fu iscritto nella Marina da Guerra Sarda.
Da qui l’esigenza di Garibaldi di riorganizzare la sua flotta seguendo il consiglio di Carlo Pellion Conte di Persano che diceva: “le navi Borboniche conviene pigliarsele e non distruggerle”.
Per la riorganizzazione Garibaldi poteva contare su molti Ufficiali della Marina Borbonica che erano pronti a sposare la “Causa Italiana”. Gran parte dei marinai invece, era rimasta fedele alla monarchia.
Tra questi ufficiali “traditori” c’era il capitano di vascello Giovanni Vacca che la sera dell’8 giugno 1860 trovandosi nella rada di Palermo si recò da Persano che era con Giuseppe La Farina a bordo della nave “Maria Adelaide”. I tre confabularono a lungo ed il Vacca s’impegnò di inalberare la bandiera Piemontese sul “Ettore Fieramosca” nave che comandava. Ma Persano non accettò in quanto voleva un pronunciamento generale della Marina Borbonica.
Il 9 luglio avvenne la famosa “defezione” del Conte Amilcare Angiussola Capitano di fregata della marina Borbonica che consegnò la pirofregata a ruote “Veloce” a Garibaldi. Quasi tutti gli ufficiali disertarono mentre, dei 179 uomini di equipaggio, 130 chiesero ed ottennero di ritornare a Napoli.
La nave fu subito ribattezzata da Garibaldi “Tuckery” (molti scrivono Tukory o Tukörj o Tukery io preferisco Tuckery) come si evince da una stampa del 1860 tratta da libro “Fatti più importanti della guerra d’Italia disegnati dal vero da: CARLO BOSSOLI e litografati da: Ch.les PERRIN Parigi Torino 1860”.
Il Colonnello Lajos Tuckery era ungherese e comandava l’avanguardia alla presa di Palermo. Ferito durante la battaglia morì dopo alcuni giorni nella casa del Principe Oneto di San Lorenzo, nonostante gli fosse stata amputata la gamba sinistra per cancrena. Non aveva neanche 30 anni.
A questo punto Garibaldi, avendo a disposizione il “Tuckery” ed essendo il Vacca passato al comando del “Monarca”, pensò di impadronirsi di questa nave (ammiraglia della marina borbonica).
Voglio a questo punto aprire una piccola parentesi. Il “Monarca” ribattezzato poi “Re Galantuomo” è stato preso come modello per costruire 70 anni dopo la “Vespucci” e la “Colombo”. “L’aspetto appare incredibilmente identico nonostante la nave attuale sia dotata ovviamente di un frazionamento velico chiaramente più moderno e abbia lo scafo in ferro e non in legno. Due dati tecnici sono praticamente sovrapponibili: identiche la massima larghezza del ponte e l’altezza dello scafo. Anche il numero di ponti è identico nonché il profilo laterale. La differenza è data dalla sola lunghezza, a favore del “Vespucci”, che però in fase di progettazione nautica può essere anche indefinita in quanto lo scafo può subire una differenza di misura a seconda dei materiali utilizzati, che per i due velieri erano, come detto, differenti.
Piccola dissomiglianza sta nella diversa inclinazione del bompresso che però è comunque identico tra il “Monarca” e il “Colombo””. Tratto da: “L’industria navale di Ferdinando II di Borbone” di Antonio Formicola e Claudio Romano. Ricordiamo che il Tenente Colonnello del Genio Navale Francesco Rotundi è padre della “Vespucci” e della “Colombo” mentre il “Monarca” è stato progettato dal brillante ingegnere navale Sabatelli (a questo punto “nonno” della “Vespucci” e della “Colombo”).
Il “Monarca” era ancorato nel porto di Castellammare per essere riconvertito in nave a vapore con propulsione ad elica (prima in Italia). Garibaldi ne discusse prima con Giuseppe Piola segretario di Stato della marina Siciliana. Successivamente informò il Cavour. Questi fu favorevole in quanto la teatralità dell’azione avrebbe fatto capire ai Napoletani la inutilità della loro difesa.
Il Cavour affidò la pianificazione dell’impresa a Persano che vi lavorò assieme al Depretis. Il Tuckery fu preparata all’evento.
Fu armata con nuovi cannoni giunti da Genova e poteva contare su un armamento che consisteva in:
2 cannoni a bomba ferro liscio Myllar da 60 libbre
4 cannoni-obici in ferro liscio Paixans da 30 libbre
4 cannoni bronzo liscio su affusto (da sbarco)
8 pezzi da sbarco bronzo liscio / proietto 12 libbre
Non era stato possibile invece aggiustare la macchina che aveva un cilindro sfondato a causa di un incidente avvenuto a Milazzo ed era mossa quindi da una sola biella che rendeva difficile la messa in moto ed il variare del movimento ( questo fu una delle cause come vedremo del fallimento dell’attacco).
Il “Tuckery” partì da Palermo il 12 Agosto con un equipaggio di 150 uomini circa. In particolare i marinai liguri per la loro esperienza avevano le mansioni più rilevanti. Era comandato dal Capitano di Corvetta Burone-Lercari ed aveva a bordo lo stesso Piola che voleva partecipare personalmente alla missione.
Tra gli ufficiali Lovera, Canevaro, Palagi appartenenti alla marina sarda, Turi e Cottrau a quella napoletana, Vassallo e Liguarolo siciliani.
Giunse a Messina per imbarcare due compagnie del 2° Battaglione Bersaglieri Brigata Medici comandate dal maggiore Cesatta. Durante il viaggio da Palermo e Messina il “Tuckery” aveva corso un grave pericolo senza saperlo. Nello Stretto, per la precisione quando era ancorata a Canzirri, era stata avvistata dalla Pirofregata “Borbone” comandata dal Capitano di vascello Carlo Flores. Il Flores voleva mettergli la prora addosso ed investirlo a tutta velocità ma, fu dissuaso dagli altri ufficiali evidentemente meno fedeli di lui alla monarchia.
Sul “Tuckery” il comandante Casalta d’Arnami dispose nel modo seguente l’ordine di battaglia:
1° picchetto 36 uomini per rimanere sul “Tuckery” onde rispondere al fuoco del forte. Comandante luogotenente Colombo Giuseppe.
2° picchetto 24 uomini sulla coperta di poppa del Monaca per tagliare armeggi. Comandate sottotenente Vecelio Osvaldo.
3° picchetto 24 uomini a poppa 1° batteria per tagliare gli ormeggi. Comandanti sottotenente Girardi Emilio e di marina Lignarolo.
4° picchetto 44 uomini a poppa 2° batteria per per guardare il corridoio. Comandante luogotenente Gentiluomo Enrico; sottotenete Stoppani Diodato marina Canevaro.
5° picchetto 24 uomini a poppa in coperta di riserva. Comandante capitano Sgavallino Andrea.
6° picchetto 24 uomini a prora in coperta per tagliare ormeggi. Comandante Gallo Guglielmi.
7° picchetto 24 uomini a prora. 1° batteria. Comandante sottotenente Frediani Francesco e di marina Vasalla.
8° picchetto 24 uomini a prora. 2° batteria. Comandante sergente Mertello e di marina Palagi.
9° picchetto. Il rimanente della forza sul centro del “Monarca”, grande riserva per recare soccorso ove più abbisognava.
Ogni squadra era munita di piccozze,tagliaferro e martello.
Come già detto il comandante era Casalta d’Arnani, il vice sottotenente Fontana Ferdinando. Inoltre si stabiliva che gli ufficiali con i loro pelottoni dovevano recarsi nei luoghi indicati in profondo silenzio, velocemente e senza spari. Pena di morte a chi ordinasse cambio di posto.
Nel frattempo a Castellammare, il mattino del 13 agosto il Vacca ordinò di togliere le catene di ferro che assicuravano il “Monarca” al molo e di mantenere solo quelle di canapa (più facili ad essere tagliate). Inoltre per agevolare gli assalitori a portar via il vascello, il Vacca ordinò che questo, che si trovava ormeggiato lungo la banchina, fosse invece ormeggiato perpendicolarmente con la prora in fuori. Fatto questo il Vacca lasciò il comando ad Gugliemo Acton e partì per Napoli per informare della nuova situazione il Persano e per assicurargli che nel porto di Napoli non c’era navi che potessero inseguire il “Tuckery” dopo l’attacco. Questo si evince dal diario di Persano in cui è scritto anche che il Vacca informa il Conte di non essere più a bordo e gli chiede se ritiene che ne debba fare ritorno, per il buon esito dell’impresa.
Persano non rispose. Ma si affrettò ad avvisare il Piola del nuovo scenario affidando un messaggio al comandante dell‘ ”Ichnusa”, cavaliere di Saint-Bon. Ordinò a quest’ultimo di partire per Palermo alle ore 6 del pomeriggio con l’intenzione di incontrare il “Tuckery” che sarebbe dovuto arrivare nel tardo pomeriggio nel porto di Napoli. Ma le due navi si incontreranno solo dopo l’attacco.
Per la verità il Persano, non solo sapeva benissimo che le due navi non si potevano mai incontrare in tempo (la “Ichnusa” era obbligata a fare rotte varie e non regolari), ma se anche questo fosse avvenuto scrisse a Piola un messaggio così vago che in realtà non lo informava di nulla e si limitava a dare consigli inutili. Vediamo infatti cosa contiene questo famoso messaggio.
“Caro Piola, le catene di poppa del vascello van lasciate passare per occhi. Di prora tagli. S’impadronisca della boccaporta. Sangue freddo e buona fortuna. Dio l’aiuti, che io l’amo più che fratello” 13 agosto C. di Persano
Perché il Persano si è comportato così? Per due motivi. Il primo era quello di favorire le intenzioni del Cavour al quale premeva che Garibaldi entrasse in Napoli con le sue “camicie rosse “ solo dopo che egli vi fosse arrivato con i suoi politicanti. Il secondo motivo ce lo dice il Persano stesso nel suo diario (parte II pag.29). Egli aveva il timore che: “L’opera sua potesse confondere in quella di Garibaldi o del Piola “guerreggianti buona guerra”.
Il “Tuckery” giunse nel porto di Napoli alle 7 del pomeriggio pertanto il Piola diede ordine di rallentare in quanto l’attacco doveva avvenire di notte.
Infatti intorno alla mezzanotte del 13 agosto in una notte scura (la luna era in fase calante) il “Tuckery” entra nel porto di Castellammare.
Nella rada quella notte erano ancorati il vascello francese “Algesiras” da 100 cannoni battente le insegne del contrammiraglio Paris ed il vascello inglese “Renown” da 91 cannoni.
Su come avvenne l’attacco abbiamo varie versioni a seconda che ci venga raccontata da un cronista “garibaldino” o da uno “borbonico”. Ma possiamo dire in linea di massima le due versioni non variano di molto.
Appena giunto in porto il Piola si accorse che il “Monarca” non era nella posizione indicatagli a Palermo cioè lungo la banchina ma, sembrava essere in assetto da difesa come se stesse aspettando il nemico. Era come abbiamo già detto ormeggiato perpendicolarmente al molo con la prora in fuori. Quindi saltavano i piani. Non poteva più abbordarlo accostandolo con il fianco come aveva preventivato ma, era obbligato ad accostarlo con la prora.
Inoltre, non c’erano nel porto le navi da guerra sarde che gli erano state promesse o che sperava di trovare. Il Piola non sapeva inoltre, che il porto di Castellammare era in stato di allarme. Alcuni giorni prima, nella notte, erano state viste delle navi in lontananza. Si pensava fossero cariche di garibaldini. Fu subito dato l’allarme ma, questi rientrò dopo aver appurato si trattava di navi mercantili.
Nonostante tutto egli decise di attaccare.
Avvicinatosi il Piola cercò di temporeggiare con i marinai del “Monarca” per far ammarare di nascosto delle lance. Domandò prima se, nel porto ci fosse la “Maria Adelaide” e dopo che gli fu data risposta negativa, chiese di poter attaccare una corda sulla catena del vascello per poter girare. Secondo molti scrittori gli uomini sulle lance avevano il compito di tagliare gli ormeggi del Monarca e rimorchiarlo. Secondo altri il loro compito era di stendere a poppa un cavo e quindi far affiancare le due navi per permettere così l’ assalto come era stato progettato.
Per me questa seconda ipotesi è la più valida per una serie di motivi.
Il primo è che il Piola non sapeva, per le ragioni che abbiamo già citato, che il “Monarca” fosse legato solo da corde di canapa. Venuto meno il fattore sorpresa le operazioni di taglio delle catene di ferro sarebbero state lunghe e pericolose. Il secondo che il “Tuckery”, come già detto, aveva il motore danneggiato e quindi sarebbe stato da pazzi pensare che potesse rimorchiare un’altra nave per giunta di quella stazza e con gran parte dell’equipaggio nemico a bordo. Il terzo è il “Monarca” era molto più alto del “Tuckery” pertanto, l’assalto poteva avvenire solo attraverso i boccaporti dei cannoni dato che come ci dice Giacomo Oddo “Piola non aveva seco scale ed altri mezzi necessari all’uopo”
Ritorniamo alla cronaca dell’ attacco.
A questo punto il “Tuckery” fu riconosciuto dai Borbonici. Secondo alcuni a dare l’allarme furono i marinai del “Monarca” che sospettosi salirono sui pennoni e scorsero il ponte del “Tuckery” pieno di gente. Secondo altri fu riconosciuto dall’ ufficiale di bordo Cesare Romano che gridò “’o Veloce, ‘o Veloce”. Per altri ancora furono gli stessi garibaldini a farsi scoprire tagliando l’unica catena di ferro del “Monarca” (le operazioni ordinate dal Vacca per lo spostamento della nave si erano protratte fino a tardi e quindi non si fece a tempo a togliere tutte le catene di ferro lasciandone solo una).
I Borbonici agli ordini del vicecomandante Guglielmo Acton aiutato dagli alfieri Romano Cesare e Negri e dal primo tenente del corpo dei cannonieri marinai De Simone incominciarono a sparare dalla nave colpi di moschetto sulla “Tuckery” che era in posizione sottoposta. Gli spari richiamarono altri uomini che si radunarono sul molo e a loro volta incominciarono a sparare.
Nacque una feroce sparatoria tra le due navi.
Di ciò che accadde da questo momento abbiamo versioni diverse.
Secondo il Randaccio l’equipaggio del “Tuckery” sparì dopo i primi spari, intanandosi tutti nelle carboniere. I bersaglieri del Casatta rimasero saldi e risposero al fuoco.
Il Piola fece rientrare le lance e ordinò alle macchine di andare indietro per tentare un arrembaggio con la prora. Una lancia non ancora appesa ai palanchi fu travolta dalla ruota della nave. Perirono alcuni uomini.
All’improvviso il motore si fermò ed occorsero 20 minuti per farla ripartire. In questo lasso di tempo il “Tuckery” si trovo sotto il fuoco incrociato. Da una parte il “Monarca”, che armate le batterie, cominciava a tirare a mitraglia. Dall’altra i cannoni del forte di Castellamare che cominciarono a sparare. E da un’altra ancora erano bersagliati dalle truppe accorse sul molo (Guardia Nazionale). Il Randaccio scrive che il Piola aveva deciso di non rispondere con i suoi cannoni per riguardo alle navi estere che erano in Rada. In questa situazione penso che la sola preoccupazione del Piola fosse solo quella di far ripartire i motori. Anche perché se avesse avuto rispetto per quelle navi non avrebbe attaccato il Monarca una volta accortosi della loro presenza in rada.
Appena i motori si accesero, il “Tuckery” si diede alla fuga. Vi furono tra le file garibaldini 7 morti ed 11 feriti. Trai primi il tenete Colombo dei bersaglieri ed il marinaio livornese Giovanni Croce tra i secondi il guardiamarina Da Fieno.
A proposito del marinaio Giovanni Croce dobbiamo dire che per anni, a causa della propaganda antiborbonica, si è pensato che il suo cadavere, trovato in mare dai soldati Borbonici, fosse stato legato su di una tavola e fatto galleggiare fino alla spiaggia. Qui venne seppellito come un “cane rognoso”.
Successivamente grazie ad uno studio più approfondito di D’Angelo e Vanacore, si è potuto ricostruire con più realismo ciò che accadde al cadavere del Croce.
Il 17 agosto 1860 fu trovato nel lido del cantiere il cadavere di un uomo, vestito di giacca, pantaloni di lana, baionetta e giberna. Non fu subito associato allo scontro del 13 agosto e quindi, perché in avanzato stato di decomposizione, per le norme igieniche del tempo e per la cronica mancanza di posto nel cimitero locale fu subito sepolto sulla spiaggia. Il 15 settembre il Sotto Intendente Giuseppe Pascale stabilisce che essendo il cadavere riconosciuto in quello di Giovanni Croce e considerando eccezionalmente l’inumazione avvenuta, ordina di trasferirlo nel cimitero locale. Ordina inoltre, che la salma sia disseppellita nelle ore notturne (giovedì 20 settembre a mezzanotte) e messa in doppia cassa incatramata. Il 18 settembre 1860 il sindaco Raffaele Vollono chiede al comandate della Guardia Nazionale di Castellammare un distaccamento di 10 uomini e di un sottoufficiale (2° sergente) affinché avvengano con regolarità le operazioni per la riesumazione delle spoglie di Croce nella notte di giovedì e venerdì.
In una lettera datata 19 settembre 1860 il sindaco Vollono chiede ai deputati di Salute di Castellammare la presenza di un loro incaricato sempre per assistere alle operazioni di riesumazione. In altre due lettere il sindaco stabilisce che le esequie partiranno dal cantiere alla volta del camposanto alle ore 8 di venerdì 21 settembre. Sancisce la forma solenne al funerale assicurando la presenza della Guardia Nazionale e del Corpo Municipale.
Tra i borbonici ci furono un morto (il marinaio cannoniere Ferdinando Carino) e tre feriti (lo stesso Acton ed i marinai Gaetano Caravella e Donato Fabiano).
L’Acton fu insignito della Croce di Cavaliere di Real Ordine di S. Ferdinando e del Merito. All’alfiere di vascello Cesare Romano , la commutazione della Croce di Grazia di S. Giorgio. A Gennaro Salvatore De Simone, il grado di capitano ed una pensione mensile di 10 ducati. Una pensione ai familiari del defunto cannoniere Carino. A tutti i partecipanti all’azione, un mese di soldo quale gratifica.
Vediamo invece come ricorda questi momenti Napoleone Canevaro un ufficiale che prese parte all’assalto a bordo del “Tuckery”.
Una volta scoperti il comandate Burone fece scendere in mare tre scialuppe per tentare l’arrembaggio. Una di queste scialuppe fu capovolta dalla ruota del “Tuckery” e annegarono alcuni carabinieri genovesi. Le altre due tentarono di salire al bordo del Monarca ma non fu possibile. A questo punto per non essere catturati, anche perché il motore non funzionava, il Piola diede ordine di ritornare a Palermo. Mentre il “Tuckery” si allontanava il vascello gli sparò contro due colpi di cannone mentre dal forte ne spararono tre. Successivamente fu costatato che le cannonate sparate furono 7 in totale.
Una scialuppa appartenente al “Tuckery” fu catturata. Un altra fu trovata affondata vicino Vico Equense.
Altro racconto ci viene fornito dal garibaldino Giuseppe Bandi che si trovava al bordo del “Tuckery” quella sera.
Ai primi spari il Piola ordinò: “Macchina avanti” per assalire il vascello ma la manovra non fu possibile perchè aveva un pistone rotto.
Allora fu dato ordine di dar fondo ad un ancora per “sciare indietro” e vedere se fosse possibile abbordare il vascello. Ma anche questa operazione fallì. Furono fatte scendere due scialuppe per tentare di salire sulla nave borbonica ma, i marinai di quest’ultima avevano tirato su le scale. Al rientro le scialuppe finirono nelle ruote del “Tuckery”ed affondarono. Si cercò di abbordare il “Monarca” di prora avvalendosi delle briglie di bompresso ma, Sgarallino esperto di cose di mare, sospettò che i napoletani avessero mollata l’ancora di sinistra per incastrarli e farli prigionieri. Quindi ordinò di allontanarsi. La fortuna volle che il vento spingesse la nave garibaldina verso delle navi straniere ancorate nel porto. Pertanto i borbonici dovettero smettere di sparare per non creare un incidente diplomatico. Una volta a largo la “Tuckery” potette darsi alla fuga. Nel combattimento persero la vita il tenete Colombo un sergente ed un soldato livornese Croce. I feriti furono 17. Anche in questo caso non mi spiego come potessero essere state fatte tutte queste operazioni di abbordaggio così minuziosamente descritte dal Bardi quando il “Monaca” era molto più alta del “Tuckery”.
L’episodio è trattato anche da altri libri tra cui ricordiamo “I mille di Marsala” di Oddo in cui troviamo una bellissima stampa del combattimento tra le due navi. Nella “Storia delle due Sicilie” di Giacinto dè Sivo in cui si parla di un bombardamento alla “Washington” (lo scrittore scambia il “Tuckery” per il “Washington”) dal fortino di Pozzano e di un traditore certo Manzi. In molti altri libri che ho potuto consultare e che indico nella bibliografia l’episodio è trattato in maniera sommaria.
Come ho detto prima, il racconto di come andarono i fatti variano a secondo se ci provengono dall’una o dall’altra parte.
Ma quello che mi sembra il più interessante, è il rapporto riservato che il Piola invia a Cavour sulla dinamica dell’attacco e che è riportato da Angelo Acanpora in un numero di “Cultura e Territorio” del 1985 e che ho deciso di riproporlo integralmente:
“ Eccellenza, stanco di portare più a lungo l’impresa contro il vascello di Castellamare, partii col “Tuckery” armato dei cannoni da 24 inglesi ed aventi un solo cilindro in azione. Imbarcai due compagnie a Messina ed alla mezzanotte del 13 al 14 accostavo il “Monarca”. Lo trovai ormeggiato non longitudinalmente al molo, come mi era stato detto, ma perpendicolarmente; per questo motivo venendo io dalla punta del molo, non potei accostarlo col mio fianco, come era mia idea, e fui obbligato ad accostarvi con la prora.
Parlamentammo un poco per dare tempo alle lance di portare subito una cima di cavo sulla sua poppa onde avvicinarvi la nostra, ma riconosciuti, il grido di allarme di tutte le sentinelle seguito dalle batterie della generala svegliò tutto il mondo.
Una viva fucilata cominciò da ambe le parti, intanto che i nostri arditamente tentavano salire sulla prora. La cima data prontamente poteva ancora metterci in buona posizione , ma al cadere di un ferito nella lancia, i marinai fuggirono tutti abbandonando la medesima.
Ordinava subito alla macchina di andare addietro, essendo mia intenzione fare un giro e ritornare, ora che conosceva la posizione del vascello, ed abbordarlo coll’intero fianco. La sola asta del cilindro in funzione rimane sul punto morto; bisogna mandare uomini per portarla fuori dal punto fatale, e dopo 20 minuti si può agire indietro colla macchina.
Ma allora dal molo incominciarono pure a moschettarci e dal forte e dal vascello a tirare col cannone. Io giudicai che se aveva possibilità di riuscita colla sorpresa, non poteva più sperarla allora che l’allarme era generale; perciò mi ritirai e deludendo tre vapori che mandaron da Messina ad attendermi davanti al golfo di Palermo, entrai in questo porto alle ore 2 ant. del 15.
Perdemmo tre uomini tra cui un Tenente Colombo, ed ebbimo sei feriti, tra cui il Guardia Marina 1° classe Dafieno.
Tutti gli ufficiali fecero il loro dovere,ed il Comandante Barone, i Tenenti Lovera, Canevaro e Turi sono meritevoli di ogni maggior elogio. I marinai ci mancarono completamente; bisognerebbe fucilare tutto l’equipaggio e non solo questo, ma fucilare tutta la Sicilia. Dessi non valgono nulla, ed un uomo può sacrificare la sua vita, ma almeno è in diritto di salvare la sua reputazione e con tali elementi, Eccellenza, la riputazione dei suoi Ufficiali non può che compromessa. Non c’è uomo che sappia stare al timone, non un basso ufficiale su cui riposare… nulla; è troppo poco.
Io andai col “Tuckery” in quello stato perché ero annoiato di attendere questi legni che da due mesi mi promettono, andai perché sentivo il bisogno di tentare qualche cosa, e la non riuscita non m’increbbe, sibbene la persuasione che dovetti acquistare che a malgrado la volontà ed il valore degli Ufficiali, con tali equipaggi non si può fare nulla. Dessi son tutti punti, tagliati, poiché si cacciavano colla sciabola come le bestie, mentre nascosti cercavano rifugio per non essere colpiti dalle palle. L’Eccellenza Vostra non si farà un idea della vigliaccheria di simil gente, mentre non potrò mai farle bastante elogio dei bravi Ufficiali e delle due compagnie. Diedi un ordine del giorno ove non nominai l’equipaggio per rispetto alla nostra posizione politica nell’isola; ne invio copia all’E.V. perché sappia che se non riuscimmo non fu mancanza di valore.
L’Ammiraglio Persano mi scrisse un biglietto giorni prima, un biglietto leggierissimo ove non mi disse neppure in che posizione stava il vascello rispetto al molo!
Assistevano in rada due vascelli che io credo francesi; dessi si illuminarono e si prepararono al combattimento al sentire il parapiglia che noi si faceva. Quando scostati per ritornare all’arrembaggio; si cominciò dai Napoletani a tirar col cannone; non fummo impassibili. Proibii di far fuoco per rispetto alle potenze estere che erano nel porto, e sopportammo il fuoco in silenzio, finchè colla macchina potemmo allontanarci”.
Di diverso tono è il rapporto ufficiale inviato dal Piola a Depretis inviato da Palermo il 25 agosto 1860.
In sostanza la cronaca dei fatti rimane invariata rispetto a quella del rapporto segreto inviato a Cavour. Di nuovo emerge solo che il “Tuckery” si diresse da Palermo alla volta di Capri mantenendo una rotta a ponente di quella percorsa dai piroscafi napoletani rimanendo fuori della vista del telegrafo sito sull’isola. Inoltre afferma che il “Veloce” sorpassava di 2 metri i tamburi delle ruote del “Tuckery” e che una volta dato l’allarme immediatamente aveva armato le sue batterie.
Varia, invece, la parte in cui il Piola descrive il comportamento dell’equipaggio e degli ufficiali che riporto integralmente: “La truppa fu ammirabile per valore e disciplina. Tutti gli ufficiali fecero il loro dovere, e mi è sommamente grato ricordare in modo speciale il bravo comandante del “Tuckery”, signor Burone-Lercari, e il primo tenente signor Lovera che, destinato sulla prora contro il bordo del vascello,sostenne,pendente l’azione, il fuoco del nemico con ammirabile sangue freddo, con il guardiamarina Perini; il tenente di vascello signor Canevaro che primo caccivasi nelle lance, col sottotenente di vascello signor Palagi. Il tenente di vascello signor Turi; ed i sottotenenti di vascello signori Vassallo e Lignarolo, alle batteria di prora i primi e di poppa il secondo sono pur degni di onorevol menzione; nonché l’uffiziale della macchina signor Cottrau, ed il primo meccanico che lavorò indefessamente per il buon governo della medesima.”
In conclusione posso dire, secondo un mio parere personale, che questo attacco è stato progettato in maniera molto approssimativa. Il Piola non ha considerato molti fattori che al momento dell’attacco si sono rivelati cruciali per il cattivo esito dell’impresa. Mi sono chiesto nel corso di tutta questa ricerca come possa essere accaduto ciò. La spiegazione l’ho trovata nella lettera segreta che il Piola ha mandato a Cavour. Una lettera di sfogo. Il Piola scrive testualmente: “Andai perché sentivo il bisogno di tentare qualche cosa”.
Erano altri tempi. Tempi in cui si era mossi dalla passione e dall’ideale. E sappiamo che questi due sentimenti spingono ad agire di impulso.
Erano tempi che oggi non possiamo capire. Oggi ci muoviamo solo per un interesse individuale.
Pertanto la figura del Piola, che dopo questo episodio, ebbe quello che noi chiamiamo un calo di popolarità tra i garibaldini, per me dovrebbe essere rivalutata. La notizia dell’attacco aveva scosso un po’ tutti non solo a Napoli ma, addirittura a Roma. Si credeva che questo fosse il primo di una serie di altri attacchi che avrebbero subito le zone costiere.
In seguito a questo attacco, fu dichiarato lo stato d’assedio in tutta la provincia e addirittura fu riarmato il forte sull’isolotto di Rovigliano.
Quindi in conclusione è vero che il Piola non era riuscito a rapire il “Monarca” (anche perché ricordiamo ostacolato in maniera subdola e meschina dallo stesso Persano) ma era riuscito a creare un clima di terrore tra le truppe borboniche (che in questa occasione si erano comportate con molto onore). Aveva vinto la “guerra psicologica” e demoralizzato le truppe nemiche.