ricerca a cura della sede stabiese dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia
Marinai stabiesi caduti e dispersi nei vari conflitti
Battaglia di Lissa ( 1866 )
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Guerra italo-turca ( 1911 – 1912 )
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I Guerra Mondiale ( 1915 – 1918 ) |
ricerca a cura della sede stabiese dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia
Battaglia di Lissa ( 1866 )
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Guerra italo-turca ( 1911 – 1912 )
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I Guerra Mondiale ( 1915 – 1918 ) |
( a cura di Antonio Cimmino )
Gli anziani premiati dalla Navalmeccanica nel febbraio 1958
Il Sergente S.D.T. Alessandro Coppola
e la tragica morte sul torpediniere “Quintino Sella” dopo l’armistizio
Alessandro Coppola nacque a Castellammare di Stabia il 7 giugno del 1917 nella palazzina di fronte all’attuale caserma dei Carabinieri di Corso De Gasperi. Figlio di Andrea che era un operaio della Corderia della Marina, Alessandro aveva 4 fratelli e 2 sorelle. Arruolatisi nella Regia Marina frequentò il Corso per il Servizio Direzione Tiro a La Spezia e allo scoppio della guerra fu assegnato al cacciatorpediniere Quintino Sella. Questa unità era capo classe di altre 3 navi (Crispi, Nicotera e Ricasoli), costruita nei cantieri Pattison di Napoli, fu consegnata alla Regia Marina nel 1927, con dislocamento di 1.279 tonnellate, aveva le seguenti dimensioni: 84,9 metri di lunghezza per 8,6 di larghezza e 2,6 di immersione; il suo apparato motore era costituito da 3 caldaie Parson e 2 turbine Thornycroft, sviluppava una potenza di 35.000 cavalli vapore con una velocità di 35 nodi. L’armamento originale era costituito da 3 cannoni da 120/45 mm., 2 pezzi da 40/35 mm., 4 tubi lancia siluri da 533 mm e circa 40 mine. Il suo equipaggio era di 125 uomini. Caccia di buonissime qualità nautiche per il periodo in cui fu costruito, nel 1929 gli fu aggiunto un secondo cannone da 120. Allo scoppio della guerra, quindi, possedeva 4 cannoni da 120: 2 in un complesso binato sul castello a prora e 2 sul casotto di poppa, oltre all’armamento antiaereo, ai siluri ed alle mine. Le caratteristiche di tale classe di cacciatorpediniere, fecero si che nel 1940, il Nicotera ed il Ricasoli fossero acquistati dalla Svezia, mentre il Crispi, dopo l’8 settembre 1943, fu preso dai tedeschi e ridenominato TA 15.
Tragica sorte subì il Sella ed il sergente Alessandro Coppola dopo ben 116 missioni di guerra in Egeo. A marzo del 1941, i 6 barchini esplosivi (MTM) imbarcati sulla nave, riuscirono a danneggiare l’incrociatore York, un piroscafo e sei petroliere nei pressi della baia di Suda dell’isola di Creta. L’unità era inquadrata nella 4° Squadriglia Cacciatorpediniere del Comando navale Mar Egeo.
All’atto dell’armistizio il Sella si trovava a Venezia per lavori e Alessandro Coppola a Castellammare in licenza. Questi appena sentì alla radio l’annuncio dell’armistizio, obbedendo alla voce del dovere, pensò di raggiungere la sua nave. A nulla valsero le esortazioni dei genitori e degli amici per restare a Castellammare perché ritenevano che la guerra fosse ormai terminata.
Mi racconta suo nipote Andrea, figlio del fratello Carmine, che ha saputo da una zia che incontrandolo a traversa Mele, nei pressi della porta carraia della Cirio lo supplicò di desistere dalla sua decisione. Ma il marinaio fu irremovibile. Nonostante le difficoltà di spostamento ferroviario di quei giorni, Alessandro riuscì ad imbarcarsi sul Sella che, nel frattempo, pur non avendo ultimato i lavori, al comando del Capitano di Corvetta Corrado Cini aveva lasciato la città imbarcando sul molo Giardini ove era ormeggiata, un numero imprecisato di civili e si avviava per portarsi al Sud e precisamente a Brindisi.
Ma alle ore 17,45 del giorno 11 settembre a 12 miglia dalle coste veneziane, fu affondata dalla motosilurante tedesca S.54 della Kriegmarine al comando dell’Oberleutnant Schmidt, sbucata all’improvviso dietro il mercantile Pontinia, una carretta del mare del 1888 e le motonavi Leopardi e Quarnerolo provenienti da Fiume.
La S.54 e la S.55 due giorni prima avevano lasciato il porto di Taranto dopo averlo minato ed aver affondato il cacciatorpediniere inglese Abdiel. Nelle acque veneziane avevano fermato il mercantile Pontinia dietro al quale si erano nascoste.
La sagoma amica dei mercantili italiani ed un’avaria alla caldaia, avevano distratto l’attenzione del Comandante che non si accorse del pericolo.
La motosilurante tedesca S.54 lanciò contro il Sella due siluri che scoppiarono, rispettivamente in corrispondenza della plancia e della sala macchina sotto il fumaiolo. Accortisi in ritardo del pericolo, dal Sella si ebbe appena il tempo di aprire il fuoco con le mitragliatrici. La nave si inabissò velocemente portando in fondo al mare 27 marinai e circa 200 civili.
La prua inarcandosi verso il cielo, rapidamente si inabissò mentre il troncone di poppa scarrocciando per circa 200 metri, scivolò nel fondo del mare con le eliche che ancora giravano nel vuoto.
Il numero dei dispersi non si saprà mai perché non si contarono i civili imbarcati.
Il Sottotenente Francesco Toscano, un ufficiale italiano prigioniero su una delle due motosiluranti tedeschi, così ricorda l’avvenimento: “… vedo le scie dei siluri che viaggiano velocissimi contro la nostra unità, sento il crepitino delle mitragliatrici. È il Quintino Sella che, accortosi dell’attacco risponde fulmineo. Ma arrivano prima i siluri, questione di secondi. L’equipaggio tedesco si alza in piedi, tutti sull’attenti mentre il Sella affonda rapidamente spezzandosi in due”.
Il Sottocapo meccanico navale Bruno Ferdani del Sella, che si trovava in plancia così descrisse l’azione: “Vedo sbucare la motosilurante che sino a quel momento si era tenuta nascosta dietro ad un nostro mercantile… Parte un ordine secco… avanti tutta! Poi il botto, mi sento catapultato in acqua, riaffioro in un mare di nafta, urla strazianti, tutto molto in fretta, quasi nemmeno il tempo di rendersi conto dell’accaduto…”.
Molti i feriti in acqua con terribili mutilazioni ed ustioni. Il Comandante Cini ed il Guardiamarina Piazza ebbero una gamba amputata. Il numero esatto dei superstiti non si saprà mai. I feriti vennero riportati a terra e smistati in differenti ospedali.
Tra i morti il Sergente S.D.T. Alessandro Coppola che pur poteva salvarsi, ma un tragico destinò volle che, obbedendo ad un codice non scritto, corresse verso la propria nave per seguirne la sorte.
All’Ufficiale in seconda della nave il Tenente di Vascello Gustavo Gianese di Genova, fu conferita “alla memoria” una Medaglia d’Argento al Valor Militare perché: “Prima dello scoppio dirigeva personalmente il tiro delle mitraglie pesanti sull’unità attaccante riuscendo a colpirla. Ferito gravemente nell’imminenza dell’affondamento si prodigava per il salvataggio dei naufraghi”.
Medaglie di Bronzo al Valor Militare, oltre al Comandante Cini (4° concessione) furono conferite “alla memoria” al Sottotenente di Vascello Giuseppe D’Henry ed al Tenente Fulvio Mastracchio per il loro eroico comportamento durante l’azione.
Sulla nave si trovava, come Direttore di macchina, anche il Capitano del Genio Navale Guido Cervone, futuro Vicedirettore di Maricorderia di Castellammare di Stabia (1953 – 1973) e socio fondatore del Gruppo A.N.M.I. di Pompei, insignito successivamente di Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: “In combattimento ravvicinato contro motosilurante tedesca sbucata improvvisamente dal ridosso di un piroscafo, accortosi che contro la propria Nave erano stati lanciati due siluri, accorreva coraggiosamente in caldaia per sollecitare la riparazione di una avaria che impediva la manovrabilità della nave. Rimasto ferito in seguito allo scoppio di uno dei siluri, manteneva sereno contegno esempio di alto senso del dovere e di noncuranza del pericolo”.
Il relitto fu scoperto, agli inizi degli anni ’70, dal Gruppo di Ricerche Subacquee ARGO. Si trova a 25 metri di profondità con ancora visibili il complesso binato dei cannoni, il verricello salpancore, una delle caldaie non esplosa ed un lanciasiluri. Nel 1995 fu deciso di far brillare il relitto che conservava ancora il suo carico di esplosivi nella santa barbara non coinvolta nell’esplosione. Nel mese di settembre del 1988 la nave Sandalo della Marina Militare rese gli onori militari alle vittime che riposano in fondo al mare, lanciando due corone di alloro al suono del silenzio fuori ordinanza.
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Sede: Via Bonito, 18
Gennaro Valanzano, fu Giuseppe e Tramparulo Elisa nacque a Castellammare di Stabia l’11 giugno 1921 nel centro antico della città e precisamente alla Via Visanola, a ridosso del camminamento che dal castello angioino porta alla sorgente di Fontana Grande situata a pochi metri dal mare. Gennaro era un simpatico ragazzo con gli occhi castani ed i capelli lisci, non tanto alto, misurava 1,61 metri ed era analfabeta (così si legge nel foglio matricolare richiesto dal nipote Ciro all’Ufficio Maripers di Roma).
Il padre possedeva una barca da pesca (paranza) ormeggiata alla banchina dell’Acqua della Madonna con la quale portava avanti la sua famiglia composta di altre due figli, Tobia e Catello (padre di Ciro). Tobia, essendo il fratello maggiore, partì per primo in Marina, mentre Catello, più piccolo, fu esonerato per “sostentamento di famiglia”.
Gennaro era un bravo marinaio e, fin da piccolo, era solito partecipare alla pesca nel Golfo di Napoli ed anche al largo con la barca del padre. Diverse volte aveva rischiato, assieme al padre ed ai suoi fratelli, il naufragio per le improvvise libecciate che agitavano il golfo.
Il molo, a cui era ormeggiata la barca del padre, in prossimità della sorgente dell’Acqua della Madonna (una fonte di acqua purissima, da sempre utilizzata per le riserve idriche dei velieri e per questo chiamata anche “l’Acqua dei navigatori”) in quel periodo era pieno di barche e paranze che portavano per le città costiere del golfo: legname, pozzolana, arance e carrube. E proprio le carrube rappresentavano il bottino più ghiotto degli scugnizzi che bazzicavano sul molo e, quasi sicuramente, Gennaro da ragazzino apparteneva al gruppo di ragazzi che saltavano da una barca all’altra e si tuffavano in acqua schizzando gli ignari curiosi che si affacciavano dal ciglio della banchina attratti dai loro schiamazzi.
Le merci venivano imbarcate e sbarcate dalle barche a mezzo di una gruetta di ferro che, fino a una decina di anni fa, era ancora in bella mostra sulla banchina, dove, durante i mesi di guerra, erano ormeggiati anche motozattere militari e M.A.S.
A quel tempo non esisteva la scuola dell’obbligo e Gennaro, come tanti altri suoi coetanei, era semi-analfabeta, a stento riusciva a scrivere la sua firma ed a contare, ma possedeva un’intelligenza viva ed un “sapere” che non si impara sui banchi di scuola.
Compiuta la maggiore età, dopo una adolescenza fatta di sacrifici come mozzo sulla barca da pescatore ed imparando tutto quanto c’era da sapere sui sistemi di pesca nel golfo e dell’arte marinaresca di piccolo cabotaggio, il 13 novembre 1940 fu arruolato, con la classe 1921, naturalmente nella Regia Marina. La ferma era di 28 mesi e Gennaro ebbe una classificazione provvisoria di Marò S.V. (Servizi Vari).
Lasciato in congedo limitato in attesa di avviamento alle armi, il 18 agosto dell’anno seguente fu inviato al Deposito C.R.E.M. (Corpo Reale Equipaggi Marittimi) di Taranto. Per le sue accertate qualità marinaresche, fu successivamente classificato come “nocchiere di bordo” ed avviato a MARINALLES di Ancona per essere imbarcato sullo yacht reale Savoia (1).
La nave aveva lo stesso nome di uno yacht precedentemente costruito a Castellammare di Stabia (2).
Nato come nave passeggeri per la Home Line , il Savoia venne varato nel 1923 a La Spezia e, quando fu adattato per la Regia Marina nel cantiere navale di Palermo, fu armato di 4 cannoni da 76/40 mm. e due mitraglie. L’unità non partecipò mai a combattimenti, ma fu utilizzata per visite di Stato e rappresentanza del Re.
Il 18 giugno del 1942 Gennaro lascia Marinalles di Ancona e quindi, lo yacht reale Savoia per andare incontro al suo destino, imbarcandosi sul cacciatorpediniere Bombardiere (sigla BR) (3).
Il Bombardiere apparteneva alla classe Soldati seconda serie (Carrista CR – Corsaro CS – Legionario LG – Mitragliere MT – Squadrista SQ – Velite VE), entrato in servizio nel 1942, dislocava 2550 tonnellate ed era lungo 106,7 metri , largo 10,2 e con una immersione di 3,2. La velocità di 38 nodi era data da due eliche collegate a 2 turbine Belluzzo alimentate da tre caldaie tipo Yarrows (50.000 cavalli vapore) (4).
L’unità era armata di 5 cannoni da 120/50 mm., in due impianti binati a prua ed a poppa e in impianto singoli sulla tuga centrale; 10 mitraglie antiaeree da 20/65 in 4 impianti binati (2 impianti a poppa del fumaiolo, 2 ai lati della sovrastruttura principale a prua del fumaiolo) e in 2 impianti singoli sulle alette di plancia; sei tubi lanciasiluri da 533 mm . e 2 lanciabombe antisommergibili. L’equipaggio era formato da 8 ufficiali e 220 sottufficiali e comuni.
La nave fu destinata alla scorta convogli sulla cd. “rotta della morte” per la Tunisia. Nel tratto di mare tra la Sicilia ed il nord Africa, dove, furono affondate dagli Alleati, ben 101 navi mercantili che trasportavano uomini, armi, munizioni e carburanti più 42 unità militari; altre decine e decine di navi di vario genere, furono affondate nei porti di arrivo di Tunisi e Biserta (5).
Gennaro, in qualità di nocchiere iniziò la difficile vita di bordo, tra un allarme aereo ed un attacco subacqueo; molte volte l’unità era stata attaccata, ma era riuscita sempre ad evitare l’affondamento. Al comando del Bombardiere si susseguirono il Capitano di Fregata Bardelli e Giuseppe Moschini che tentarono di portare sempre a buon fine le missioni di scorta affidate alla nave. Il 17 gennaio del 1943 il Bombardiere, al comando del Capitano di Fregata Moschini, unitamente al Ct Legionario salpò da Biserta per scortare fino a Palermo la motonave Rosselli, ma (nel punto 38° 15’ Nord – 11° 43’ Est) a circa 24 miglia dall’isola di Marettimo, subì l’attacco, a mezzo di siluro del sommergibile inglese United.
Il siluro scoppiò quasi in mezzeria nave in corrispondenza della plancia di comando; l’esplosione provocò lo scoppio di una caldaia e la rottura in chiglia dell’unità. La nave si spezzò in due e la parte poppiera affondò, con il suo carico di morti e feriti alle ore 17,25.
Il timoniere rimase subito schiacciato tra la ruota del timone e la consolle; il comandante, benché ferito, tentò di liberare il suo marinaio, ma entrambi affondarono con la parte prodiera dell’unità spezzatasi in due. Il Capitano di Fregata Giuseppe Moschini fu insignito con Medaglia d’Oro al Valor Militare “alla memoria” con la seguente motivazione: “Comandante di cacciatorpediniere di scorta ad importante convoglio, in un momento del conflitto in cui le missioni intraprese erano con quasi costante certezza votate a glorioso sacrificio sotto l’infuriare della preponderanza aerea e navale avversaria, conduceva la sua nave con l’abituale serena perizia attraverso le insanguinate rotte del Canale di Sicilia. Fatto segno a lancio di siluri da parte di sommergibile avversario, vista l’immediatezza del pericolo, si portava di persona presso il timone onde rendere più rapida la contromanovra. Colpita irrimediabilmente l’unità, che si divideva in due, incurante della propria esistenza dedicava gli ultimi istanti della sua operosa vita per salvare il timoniere rimasto imprigionato nelle lamiere contorte della plancia divelta. Nell’altruistico slancio trovava eroica morte inabissandosi con l’unità e lasciando luminoso esempio di generoso altruismo e di elevate virtù militari”.
Molti marinai perirono nell’esplosione, altri cercarono di salvarsi sulle poche scialuppe e zatterini di salvataggio rimasti in efficienza. Nella confusione generale del naufragio si verificarono molti episodi di valore e di umana solidarietà. Il Capo Stereometrista di 1° Classe Chiesa Giuseppe di Costagnola Lanza (Asti), lanciato in mare dallo scoppio, benché ferito gravemente, rinunciava all’aiuto di un marinaio per poter raggiungere una zattera, dicendogli: “Lasciatemi morire qui, non occupatevi di me, pensate agli altri più giovani e più in gamba, io sono ferito e non ne vale la pena”.
Il Sottocapo Elettricista Giovanni Peluso di Napoli, raccolto su una zattera di salvataggio sovraccarica di naufraghi, invitava i compagni che cercavano di medicarlo, a non perdere tempo prezioso per lui e, presentendo la morte vicina, chiedeva di essere nuovamente gettato in mare per far posto ad altri naufraghi appoggiati intorno alla zattera: “Muoio. Buttatemi in mare. Lo so che debbo morire. Date il mio posto ad altri. Ho la gamba rotta, non mi posso salvare”; queste furono le sue ultime parole.
Il Direttore di tiro Tenente di Vascello Emanuele Revello di Nervi (Genova) rinunziava al posto occupato sulla zattera di salvataggio sovraccarica, a favore di altro marinaio sopraggiunto nel frattempo. Unitamente al Marinaio Elettricista Ermanno Fugolin di Marano al Tagliamento ed al Tenente del Genio Navale Amodio Spartaco di Bari, furono insigniti con Medaglia d’Argento al Valor Militare “alla memoria”. Per il loro eroico comportamento furono insigniti di Medaglia di Bronzo al Valor Militare: il Capo Meccanico di 3° Classe Giovanni Caradonna di Bari; il Comandante in seconda Capitano di Corvetta Giulio Contreas di Formia; il 2° capo Meccanico Armidoro Foggi.
Nessuno saprà mai come è morto Gennaro, dilaniato dallo scoppio della caldaia oppure affondato perché ferito e non in grado di raggiungere un mezzo di salvataggio. Il suo corpo riposa ormai in fondo al mare di Sicilia unitamente ai 158 compagni che non fecero più ritorno dalla “rotta della morte”.
Nel 1951 fu dichiarato “disperso” e la copia del verbale di scomparizione e di dichiarazione di morte arrivò a casa sua.
Note:
(1) Il Piroscafo, registrato come Regia Nave Sussidiaria di II Classe, fu consegnato alla Regia Marina nel luglio del 1925. L’unità aveva un dislocamento di 5.280 tonnellate, una lunghezza di 136,5 metri , una larghezza di 15 ed un’immersione di 5,43 metri . L’apparato motore, collegato con due eliche, era composto da due turbine alimentate da 8 caldaie a tubi d’acqua. L’8 settembre 1943 fu posto in disarmo nel porto di Ancona. Il 14 settembre dello stesso anno fu requisito dai tedeschi ed il 19 luglio dell’anno successivo fu affondato, sempre nel porto di Ancona da un’incursione aerea degli Alleati. Il 19 27 febbraio del 1947 fu radiato dal Registro delle Navi Militari, poi recuperato e demolito.
(2) Inizialmente si trattava di un incrociatore ausiliario dotato di alberatura a brigantino a palo. Varato nel 1883, l’anno successivo come nave scuola sede comando delle Forze Navali. Umberto I e la Regina Margherita usarono la nave limitatamente alle visite di stato ed alla partecipazione alle riviste navali. L’otto settembre 1892 il Savoia, con a bordo i sovrani, entrò a Genova salutato dalle salve di quarantuno navi da guerra, ivi ormeggiate in occasione del IV centenario della scoperta dell’America Nel 1896 imbarcò ad Antivari per Bari la principessa Elena del Montenegro alla vigilia delle nozze con il principe ereditario Vittorio Emanuele. Dal 1902 fu trasformato in officina galleggiante con il nome di VULCANO. Fu radiato nel 1923. Il suo motto “Sempre avanti Savoia” rappresentava la frase che la Regina Margherita appose su un telegramma che la invitava a desistere da un viaggio a Palermo sulla corazzata Roma nel 1881 a causa di avverse condizioni atmosferiche. Il dislocamento della nave era di 2.853 tonnellate, le sue dimensioni erano: 93,8 x 12 metri con un pescaggio di 5,2 mt. L’apparato motore sviluppava una potenza di 3.340 HP per una velocità di 14,5 nodi. L’armamento era costituito da due pezzi da 75 mm e 6 da 57 mm . l’equipaggio comprendeva 249 uomini.
(3) CACCIATORPEDINIERE Navi progettate per la lotta alle torpediniere e caratterizzate da velocità ed armamento anche con il compito di scorta, di trasporto e di caccia ai sommergibili. Nella seconda guerra mondiale erano armate con complessi di artiglieria binati, con cannoni da 102 mm . e tubi lanciasiluri in impianti trinati. Unità nate, quindi, per dare la caccia alle torpediniere ed ai sommergibili; avevano cannoni di piccoli calibro ( circa 120 mm .) ma erano armate di siluro, loro arma principale. Possono anche definirsi quali: navi di velocità inferiore ai 20 nodi e dislocamento inferiore alle 800 tonnellate che non hanno compiti ausiliari o logistici e sono armate con almeno un cannone di qualsiasi calibro. L’Italia, nell’ultimo conflitto mondiale, possedeva una sessantina di navi di questo tipo.
(4) Cacciatorpediniere della classe Soldati seconda serie:
Carrista, impostato nel settembre del 1941 all’armistizio era al 70% della costruzione e non ancora varato; durante la sua costruzione aveva subito l’asportazione dell’originaria prua e successivamente della poppa, destinate rispettivamente al Ct Carabiniere e Velite per riparare i danni subiti in missioni di guerra, per tale motivo si trovava cosi arretrato nella costruzione. Demolito dai tedeschi sullo scalo.
Corsaro, entrato in servizio nel 1942. Armamento: 5 cannoni da 120/50 in due impianti binati a prua e poppa e in impianto singolo sulla tuga centrale, 10 mitragliere da 20/65 in 4 impianti binati ( 2 impianti a poppa del fumaiolo, due ai lati della sovrastruttura principale a prua del fumaiolo ) e in 2 impianti singoli ( sulle alette di plancia ); resto vedi tabella. Il 9 gennaio 1943 mentre svolgeva una missione di protezione del traffico incappò in un campo minato nei pressi di Biserta ( Tunisia ) e affondò.
Legionario, entrato in servizio nel 1942. Armamento: 4 cannoni da 120/50 in un impianto binato ( a poppa ) e in due impianti singoli ( a prua e nella tuga centrale, 10 mitragliere da 20/65 in 2 impianti binati ( a poppa del fumaiolo ) e in 6 impianti singoli ( 2 a poppa, 2 sulle alette di plancia, 2 sui lati della sovrastruttura principale ). Sin dalla sua entrata in servizio era dotata di un radar tedesco Modello Fu.Mo 21/39 “De.te”. Nel 1943 venne sbarcato l’impianto lanciasiluri di poppa e imbarcate due mitragliere da 37/54 mm. Radiato nel 1949 per essere ceduto alla Francia come imposto dal trattato di pace, dove rimase operativo fino al 1954.
Mitragliere, entrato in servizio nel 1942. Armamento: 5 cannoni da 120/50 in due impianti binati a prua e poppa e in impianto singolo sulla tuga centrale, 10 mitragliere da 20/65 in 4 impianti binati ( 2 impianti a poppa del fumaiolo, due ai lati della sovrastruttura principale a prua del fumaiolo ) e in 2 impianti singoli ( sulle alette di plancia ); resto vedi tabella. Radiato nel 1948 per essere ceduto alla Francia come imposto dal trattato di pace, dove rimase operativo fino al 1956.
Squadrista, impostato nel settembre del 1941. Rinominato Corsaro dopo la caduta del fascismo. All’armistizio era a Livorno, praticamente completo ( 96 % ) ma impossibilitato a muoversi; catturato dai tedeschi che ne ordinarono il completamento, fu affondato il 4 settembre 1944 durante un bombardamento aereo.
Velite, entrato in servizio nel 1942. Armamento: 4 cannoni da 120/50 mm in due impianti binati a prua e poppa, un obice illuminante da 120/15 nella tuga centrale, 12 mitragliere da 20/65 in n 4 impianti binati ( 2 a poppa del fumaiolo, 2 ai lati della sovrastruttura principale a prua del fumaiolo ) e in 4 impianti singoli ( 2 sulle alette di plancia e a poppa ). Nel 1943 fu equipaggiato con un radar italiano EC 3/ter “Gufo”. Radiato nel 1948 per essere ceduto alla Francia come imposto dal trattato di pace, dove rimase operativo fino al 1951.
(5) La Marina Mercantile , all’atto dell’entrata in guerra dell’Italia, era composta di 1.366 navi per 3.396.409 tonnellate. Subito, però, rimase con 1.148 unità in quanto le altre 218 erano rimaste fuori dagli Stretti. Tra il 10 giugno 1940 ed il 13 maggio 1943 la Marina perse sulla rotta della Libia circa un milione di tonnellate di naviglio mercantile, decine di unità militari con i loro equipaggi e 22.735 soldati italiani. E a queste gravi perdite, si aggiunsero le decine di navi affondate o danneggiate nei porti tunisini dalla strapotente aviazione alleata. Tra l’11.11.1942 ed il 13.5.1943, furono organizzati 276 convogli con 438 navi-viaggio (per 1.333.297 tonn.). Il 7% dei soldati trasportati morì, mentre andò perduto il 28% dei materiali. Fu questo il vero periodo della “rotta della morte”, sulla quale si persero 84 mercantili, oltre una ventina di navi da guerra. L’8 settembre 1943 la flotta era ridotta a 670 unità per circa 1.297.130 tonnellate. Durante la cobelligeranza, andarono perdute altre 160 navi per un totale di 760.000 tonnellate, più le unità rimaste in porti tedeschi, autoaffondate o distrutte dal nemico. Al termine della guerra, vi erano 193 navi per 348.470 tonnellate. La Marina Mercantile pagò anche un alto tributo di sangue: 3.800 marittimi sepolti in mare.
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