Archivi autore: Antonio Cimmino

Informazioni su Antonio Cimmino

Collaboratore di Redazione Già dipendente del cantiere navale di Castellammare di Stabia, si interessa della storia delle navi militari ivi costruite dalla sua fondazione. Appassionato, della Marina Militare e della marittimità in genere. E' socio della locale Associazione Nazionale Marinai d'Italia.

Rafiluccio 'o barbiere, al secolo Raffaele Iammarino di Scanzano (su gentile concessione di Giusy Ruocco).

Amarcord scanzanese

Amarcord scanzanese
di Antonio Cimmino

Brevissima premessa dell’autore
Caro Maurizio, in un momento di amarcord ho appuntato le notizie spicciole che ti allego, che riprendono alcuni miei ricordi della Scanzano degli anni ‘50 del secolo scorso, vedi se qualcuna possa servire al nostro portale. Ciao, Antonio.

Rafiluccio 'o barbiere, al secolo Raffaele Iammarino di Scanzano (su gentile concessione di Giusy Ruocco).

Rafiluccio ‘o barbiere, al secolo Raffaele Iammarino di Scanzano (su gentile concessione di Giusy Ruocco).

Personaggi di Scanzano

Marcantonio
Era un vecchio che abitava, nei primi anni ‘50, sulla stessa loggia, ove abitavo io, nel palazzo di Pisacane in Via S. Caterina a Scanzano. Stava sempre seduto con una pipa di terracotta in bocca. Io, piccolo, quando gli passavo davanti, gli battevo la mano su un ginocchio. Dopo aver espresso le sue rimostranze a mia madre per questo mio comportamento da scostumato, io gli passavo davanti ignorandolo. Al che egli diceva “ssu” dispiaciuto di non essere più importunato (Catiello ‘e Catella).

Mastu Nicola ‘o furbicione
Sempre nel palazzo di Pisacane abitava e faceva bottega, al secondo piano, un sarto per uomini e, quando facevano chiasso nelle scale o sul pianerottolo, usciva a minacciarci con le grosse forbici del mestiere.

Mast’Errico ‘o scarparo
All’inizio di Vico Tre Case a Scanzano abitava e faceva bottega un calzolaio di nome Enrico. Per accedere alla sua casa bisognava scendere alcuni scalini rapidissimi. Aveva un figlio senza tanta “cazzimma” e lo chiamavano Enzuccio ‘o bubbolone.

Michelone
Abbascio ‘a funtanella abitava un contadino che coltivava un pezzo di terra dove adesso ci sono le Nuove Terme. Camminava sempre scalzo e sotto ai piedi aveva un spessore calloso di almeno due centimetri. Continua a leggere

Giuseppe Abbagnale, mazziniano e garibaldino gagnanese

a cura di Antonio Cimmino 21 maggio 2020
Giuseppe Abbagnale (o Abagnale) di Melchiorre, di famiglia contadina nacque a Casola il 25 novembre 1816 e, in giovane età si trasferì nell’attigua Gragnano per esercitare il mestiere di falegname. Nell’ambiente degli artigiani e dei borghesi gragnanesi l’ideale repubblicano di Mazzini stava sviluppandosi a macchia d’olio. Il giovane Giuseppe assieme ad altri amici fu avvicinato dall’avvocato Gaetano Mariconda e da Gaetano Mascolo che subito notarono questo artigiano combattivo.

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Cannone in disarmo (foto Andrea De Martino)

Il 25 aprile in epoca Covid

Oggi 25 aprile del 2020, a settantacinque anni dalla liberazione dal Nazifascismo, Castellammare di Stabia si trova ad affrontare un’altra prova dura e difficile per tutti. La Pandemia che sembra non abbia risparmiato nulla e nessuno sta mettendo a dura prova tutti i cittadini del mondo, nonostante tutto, ricordare le date importanti della nostra vita sociale si può e si deve, magari restando in quarantena a casa, tuttavia ricordando ognuno per sé quel che è stato.
Nel 2005 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, conferì alla nostra città la Medaglia d’Oro al Valor Civile, per aver combattuto il nazifascismo a difesa del cantiere navale, degli opifici e della la città, dando vita alle prime formazioni partigiane.

Vi presentiamo un elaborato del dottor Antonio Cimmino, che ricorda quanti si batterono a fine Seconda Guerra mondiale per la Libertà di tutti, senza distinzione di fede, bandiere o colori politici.

Ringraziamenti:
Si ringraziano: Antonio Cimmino e Francesco Ruocco, per le video riprese affidateci.

Don Giuliano salesiano a Scanzano

Don Giuliano salesiano a Scanzano

di Antonio Cimmino  12-01-2020

Chiunque abbia frequentato l’oratorio salesiano di Scanzano agli inizi degli anni ’60, non può non ricordare don Giuliano Cavarzan, un giovane prete della provincia di Treviso simpatico, dinamico, allegro e, qualche volta un poco manesco quando commettevamo qualche monellata.
Egli fa parte del patrimonio dei ricordi di una intera generazione. Terzo di quindici figli, era nato a Maser (Treviso) il 4 maggio 1932 da una numerosa famiglia contadina ma, quando stava a Scanzano, la sua famiglia risiedeva a Biadene, sempre nel trevisano alla via Groppa n. 25.
Ho conosciuto suo padre il quale, prima che don Giuliano fosse ordinato sacerdote, venne a Scanzano per diverso tempo, alloggiato presso la famiglia Palumbo nelle palazzine San Giuseppe di Viale Terme. Era un vecchio contadino molto simpatico che ci raccontava del suo mestiere. Mi ricordo che una volta ci disse che, per debellare i topi, erano d’uso catturarne uno vivo, inserirgli degli acini di pepe nell’ano e poi lasciarlo libero. Quando il pepe faceva effetto, il topo impazzito per il bruciore azzannava e uccideva altri suoi simili.                                                Allora ci spiegammo cosa significava il detto napoletano mettere ‘o pepe nculo â zoccola.
Ma che ci faceva un giovane prete friulano a Scanzano? Il vecchio Istituto salesiano San Michele che dalla fine dell’800 era stato un collegio con studenti in convitto e aperto anche agli esterni (ho frequentato, da esterno, la IV e V elementare e la I media), alla fine degli anni ’50 fu trasformato in Istituto Teologico Internazionale per chierici che dovevano essere ordinati sacerdoti. Venivano da tutti i continenti e per noi ragazzi di Scanzano, si aprì una finestra sul mondo. Cominciammo a collezionare francobolli e imparammo qualche parole di inglese: “have you the stamps?”.

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La breve vita della corvetta Flora

La breve vita della corvetta Flora

                                                 di Antonio Cimmino – 26 ottobre 2019

Recentemente è stato individuato il relitto della corvetta Flora, localizzata a 15 metri di profondità tra i moli San Vincenzo e Immacolatella Vecchia; i sub hanno portato a galla la campana di bordo ed alcune palle di cannone, alcuni cannoni sono ben visibili sul fondo in attesa di un loro recupero e restauro. I reperti sono stati affidati al Museo archeologico Nazionale di Napoli

Campana Corvetta Flora

La corvetta Flora fu varata nel Real Arsenale di Castellammare di Stabia il 15 ottobre 1796. Era una unità di circa 2400 tonnellate di dislocamento, lunga 30 metri, lo scafo era in legno con carena ramata per proteggerla dalle teredini 1. Come altre navi di questo tipo, aveva due ponti, una batteria coperta con 24 cannoni da 18 libbre a ferro liscio. L’armamento velico comprendeva tre alberi a vele quadre (trinchetto, di maestra e di mezzana) con vele quadre e randa alla mezzana e bompresso.

Partenope – Varo

Vascello

L’equipaggio di 251 uomini comprendeva 1 capitano di fregata come comandante, 3 tenenti di vascello, 4 alfieri di vascello, 6 guardiamarina, 1 cappellano, 1 contadore (ufficiale contabile), 2 cerusici (personale sanitario), 5 piloti, 7 timonieri, 7 maestri, 9 bassi ufficiali, 135 marinai, 20 cannonieri, 36 fanteria di Marina e 15 servidori.
Come si nota nel particolare del quadro di Jakob Philipp Hackert 2, la corvetta nel giorno del varo del vascello Partenope,   il 16 agosto 1796 era ancora sullo scalo di costruzione, avvolta da impalcature e senza il fasciame esterno per tutta l’opera morta cioè la parte sovrastante la linea di galleggiamento, mancava di un corso di fasciame dell’opera viva, cioè la parte immersa o carena.

Partenope – Varo

Prima del varo, sull’opera viva venivano aggiunte delle lastre di rame che, ossidandosi, non permettevano l’opera distruttrici dei molluschi di cui sopra. Questo accorgimento già in uso nei cantieri navali inglesi e francesi, sostituiva la pitturazione a base di zolfo, pece e minio, o addirittura con un doppio fasciame “ a perdere” di olmo che, una volta intaccato e compromesso dalle teredini, veniva rimosso nei bacini galleggianti (fluttuanti) ovvero inclinando forzatamente la nave a dritta e a manca. Mancano le tavole di fasciame esterno che venivano sistemate sulle costole con chiodi e cavicchie e calafatate lungo i comenti. Il calafataggio consisteva nelle sistemazione tra i lembi (comenti) delle tavole, pezzi di stoppa e pece per la impermeabilizzazione, tale operazione era compiuta dai calafati, operai specializzati di cui Castellammare vantava una lunga tradizione, unitamente ai maestri d’ascia. Questi ultimi trattavano il legname già dal loro taglio nei boschi, seguivano la stagionatura e costruivano le parti curve dello scafo, come ad esempio, le costole.
La corvetta Flora era impostata su un piccolo scalo di costruzione mobile a fianco dello scalo dei vascelli, struttura principale fissa lunga 117 metri, costituita da graticciato di quercia che scendeva verso la battigia, secondo il declino dell’arenile. Un avanti-scalo costruito di volta in volta dal sonnotatori ( sommozzatori) accompagnava il bastimento fino al suo assetto di galleggiabilità; la sua corsa verso il mare aperto terminava solo per effetto dell’attrito dell’acqua di mare.

Real Arsenale -Castellammare di Stabia

Dopo il varo, avvenuto il 15 ottobre, la nave entrò a far parte della Real Marina Napoletana ma la sua vita ebbe breve durata. Le truppe francesi stavano avvicinandosi a Napoli – città nella quale si sarebbe poi costituita, il 27 gennaio 1799, la Repubblica Napolitana, sorella della Francia rivoluzionaria – il Re Ferdinando IV con tutta corte, nella lotta tra il 23 e 24 dicembre 1798, si posa in salvo in Sicilia sulla nave Vanguard di Orazio Nelson 3

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Rada di Napoli – Gennaio 1799

Nelson diede ordine al commodoro Campbell, inglese ma al servizio della flotta portoghese ormeggiata in rada, di far bruciare buona parte della flotta napoletana per evitare che ne appropriassero i francesi.
Nel Golfo di Napoli la corvetta Flora assieme ai vascelli Tancredi, Guiscardo (varati a Castellammare) il vascello San Gioacchino e la gabarra Lampreda 4 furono dati alle fiamme ed affondate. Così pure il vascello Partenope affondato davanti al Real arsenale di Castellammare. Il vascello si trovava allo sverno a Castellammare e fu affondato dalle maestranze dell’arsenale alla imboccatura del porto.
I napoletani assistettero con sgomento al bagliore della flotta incendiata nel porto e non si spiegarono il perché visto che i francesi non erano ancora entrati in città.
In molte marinerie militari del tempo, era in uso il cosiddetto  sverno, periodo durante il quale non si navigava quindi si sbarcavano equipaggio, artiglierie e munizioni, come pure la maggior parte dell’apparato velico. Per questo motivo all’arrivo dei francesi si affondò la Partenope, essa nel periodo di sverno non era in grado di prendere il mare in tempo.
Munizioni e materiali venivano sbarcati per proteggerli dall’azione corrosiva della salsedine ed anche per preservarne la quantità in caso di affondamento per improvvise mareggiate. Gran parte dell’equipaggio, inoltre, imbarcato per le crociere primaverili-estive-autunnali, con la stagione invernale veniva licenziato in quanto, in base ad uno specifico “ingaggio”, aveva una specie di contratto di lavoro a termine; i marinai si reimbarcavano in primavera con un nuovo Bando di Arruolamento.
I Borbone non compresero che la situazione politico-militare del tempo avrebbe messo in pericolo il trono e non allertarono la flotta, né pensarono di farla svernare in Sicilia, luogo più sicuro, forse per gli eccessivi costi di trasferimento.

Bibliografia
Formicola A.-Romano C., Una flotta in fumo, Rivista Marittima, gennaio 1999
Radogna L. Cronistoria delle unità da guerra delle Marine preunitarie, U.S.M.M., Roma, 1981
Romiti S., Le Marine militari italiane nel Risorgimento (1748-1861), U.S.M.M., Itaògraf S.A., Roma, 1950
Ritrovata nel porto di Napoli un’antica nave dei Borbone …
https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/16_dicembre_23/ritrovata

  1. Mollusco che in passato costituiva un notevole pericolo per la funzionalità degli scafi di legno in quanto, essendo animale xilofago, tale materiale costituisce la sua principale fonte di nutrimento. Tale pericolo è oggi facilmente eliminato grazie a vernici protettive e repellenti che proteggendo gli scafi impediscono alle teredini di perforare le opere in legno sommerse.
  2. presso Reggia di Caserta
  3. HMS Vanguard era una nave di terza categoria da 74 cannoni della linea della Royal Navy, varata a Deptford il 6 marzo 1787; fu la sesta nave a portare questo nome. Nel dicembre 1797, il capitano Edward Berry fu nominato capitano della bandiera, battendo bandiera del contrammiraglio Sir Horatio Nelson.
  4. Imbarcazione da carico a fondo piatto.