La breve vita della corvetta Flora
di Antonio Cimmino – 26 ottobre 2019
Recentemente è stato individuato il relitto della corvetta Flora, localizzata a 15 metri di profondità tra i moli San Vincenzo e Immacolatella Vecchia; i sub hanno portato a galla la campana di bordo ed alcune palle di cannone, alcuni cannoni sono ben visibili sul fondo in attesa di un loro recupero e restauro. I reperti sono stati affidati al Museo archeologico Nazionale di Napoli
Campana Corvetta Flora
La corvetta Flora fu varata nel Real Arsenale di Castellammare di Stabia il 15 ottobre 1796. Era una unità di circa 2400 tonnellate di dislocamento, lunga 30 metri, lo scafo era in legno con carena ramata per proteggerla dalle teredini . Come altre navi di questo tipo, aveva due ponti, una batteria coperta con 24 cannoni da 18 libbre a ferro liscio. L’armamento velico comprendeva tre alberi a vele quadre (trinchetto, di maestra e di mezzana) con vele quadre e randa alla mezzana e bompresso.
Partenope – Varo
Vascello
L’equipaggio di 251 uomini comprendeva 1 capitano di fregata come comandante, 3 tenenti di vascello, 4 alfieri di vascello, 6 guardiamarina, 1 cappellano, 1 contadore (ufficiale contabile), 2 cerusici (personale sanitario), 5 piloti, 7 timonieri, 7 maestri, 9 bassi ufficiali, 135 marinai, 20 cannonieri, 36 fanteria di Marina e 15 servidori.
Come si nota nel particolare del quadro di Jakob Philipp Hackert , la corvetta nel giorno del varo del vascello Partenope, il 16 agosto 1796 era ancora sullo scalo di costruzione, avvolta da impalcature e senza il fasciame esterno per tutta l’opera morta cioè la parte sovrastante la linea di galleggiamento, mancava di un corso di fasciame dell’opera viva, cioè la parte immersa o carena.
Partenope – Varo
Prima del varo, sull’opera viva venivano aggiunte delle lastre di rame che, ossidandosi, non permettevano l’opera distruttrici dei molluschi di cui sopra. Questo accorgimento già in uso nei cantieri navali inglesi e francesi, sostituiva la pitturazione a base di zolfo, pece e minio, o addirittura con un doppio fasciame “ a perdere” di olmo che, una volta intaccato e compromesso dalle teredini, veniva rimosso nei bacini galleggianti (fluttuanti) ovvero inclinando forzatamente la nave a dritta e a manca. Mancano le tavole di fasciame esterno che venivano sistemate sulle costole con chiodi e cavicchie e calafatate lungo i comenti. Il calafataggio consisteva nelle sistemazione tra i lembi (comenti) delle tavole, pezzi di stoppa e pece per la impermeabilizzazione, tale operazione era compiuta dai calafati, operai specializzati di cui Castellammare vantava una lunga tradizione, unitamente ai maestri d’ascia. Questi ultimi trattavano il legname già dal loro taglio nei boschi, seguivano la stagionatura e costruivano le parti curve dello scafo, come ad esempio, le costole.
La corvetta Flora era impostata su un piccolo scalo di costruzione mobile a fianco dello scalo dei vascelli, struttura principale fissa lunga 117 metri, costituita da graticciato di quercia che scendeva verso la battigia, secondo il declino dell’arenile. Un avanti-scalo costruito di volta in volta dal sonnotatori ( sommozzatori) accompagnava il bastimento fino al suo assetto di galleggiabilità; la sua corsa verso il mare aperto terminava solo per effetto dell’attrito dell’acqua di mare.
Real Arsenale -Castellammare di Stabia
Dopo il varo, avvenuto il 15 ottobre, la nave entrò a far parte della Real Marina Napoletana ma la sua vita ebbe breve durata. Le truppe francesi stavano avvicinandosi a Napoli – città nella quale si sarebbe poi costituita, il 27 gennaio 1799, la Repubblica Napolitana, sorella della Francia rivoluzionaria – il Re Ferdinando IV con tutta corte, nella lotta tra il 23 e 24 dicembre 1798, si posa in salvo in Sicilia sulla nave Vanguard di Orazio Nelson
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Rada di Napoli – Gennaio 1799
Nelson diede ordine al commodoro Campbell, inglese ma al servizio della flotta portoghese ormeggiata in rada, di far bruciare buona parte della flotta napoletana per evitare che ne appropriassero i francesi.
Nel Golfo di Napoli la corvetta Flora assieme ai vascelli Tancredi, Guiscardo (varati a Castellammare) il vascello San Gioacchino e la gabarra Lampreda furono dati alle fiamme ed affondate. Così pure il vascello Partenope affondato davanti al Real arsenale di Castellammare. Il vascello si trovava allo sverno a Castellammare e fu affondato dalle maestranze dell’arsenale alla imboccatura del porto.
I napoletani assistettero con sgomento al bagliore della flotta incendiata nel porto e non si spiegarono il perché visto che i francesi non erano ancora entrati in città.
In molte marinerie militari del tempo, era in uso il cosiddetto sverno, periodo durante il quale non si navigava quindi si sbarcavano equipaggio, artiglierie e munizioni, come pure la maggior parte dell’apparato velico. Per questo motivo all’arrivo dei francesi si affondò la Partenope, essa nel periodo di sverno non era in grado di prendere il mare in tempo.
Munizioni e materiali venivano sbarcati per proteggerli dall’azione corrosiva della salsedine ed anche per preservarne la quantità in caso di affondamento per improvvise mareggiate. Gran parte dell’equipaggio, inoltre, imbarcato per le crociere primaverili-estive-autunnali, con la stagione invernale veniva licenziato in quanto, in base ad uno specifico “ingaggio”, aveva una specie di contratto di lavoro a termine; i marinai si reimbarcavano in primavera con un nuovo Bando di Arruolamento.
I Borbone non compresero che la situazione politico-militare del tempo avrebbe messo in pericolo il trono e non allertarono la flotta, né pensarono di farla svernare in Sicilia, luogo più sicuro, forse per gli eccessivi costi di trasferimento.
Bibliografia
Formicola A.-Romano C., Una flotta in fumo, Rivista Marittima, gennaio 1999
Radogna L. Cronistoria delle unità da guerra delle Marine preunitarie, U.S.M.M., Roma, 1981
Romiti S., Le Marine militari italiane nel Risorgimento (1748-1861), U.S.M.M., Itaògraf S.A., Roma, 1950
Ritrovata nel porto di Napoli un’antica nave dei Borbone …
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