Archivi autore: Corrado di Martino

Informazioni su Corrado di Martino

Collaboratore di Redazione Autore di teatro e autore radiofonico; filmaker, narratore. E' laureato in Scienze della Comunicazione, indirizzo Sociologia delle Comunicazioni. E' laureato in Comunicazione d'Impresa e Comunicazione Pubblica; con specializzazione in Comunicazione Politica. E' responsabile della sezione Video di LR.

Sebastiano Cascone

(breve biografia a cura del dott. Corrado di Martino)

Un incontro quasi casuale, e solo perché noi viviamo per caso(1), mi ha portato ad incontrare un musicista, stabiese come me, stabiese come voi, dalle rare capacità compositive ed interpretative.
Un amico comune, Pio Negri, ci ha presentati; una conoscenza casuale mi ha permesso di scovare un talento, temo, ai più sconosciuto. Sebastiano Cascone, stabiese DOC è nato nella Città delle Acque il 7 febbraio del 1970. Viene avviato da piccolo allo studio del pianoforte su espresso desiderio della madre; lui stesso dichiarerà che all’inizio avrebbe preferito correr via insieme ai compagni di scuola a giocare ora a mosca cieca, ora a nascondino, ora a tirar calci ad un pallone.

Sebastiano Cascone

Sebastiano Cascone, in una visita agli studi Elios Registrazioni di Castellammare di Stabia

Col tempo però, musica e talento hanno compiuto l’opera, Sebastiano inizia un intenso rapporto con la musica classica; conseguendo nel 1992 il Diploma in Pianoforte presso il Conservatorio “Domenico Cimarosa” di Avellino. Nel 1993, ottiene il Diploma di Alto Perfezionamento di Pianoforte con il M° Aldo Ciccolini presso l’Accademia Musicale “Mugi” di Roma. Seguono, gli studi di Didattica della Musica, di Composizione e Clavicembalo, compiuti nel 1998. In virtù della sua indiscussa bravura, gira i teatri italiani e stranieri come pianista e accompagnatore lirico. A partire dal 1995 perfeziona il suo livello artistico, integrandolo con corsi di formazione quali quelli di: esperto in Musica – Relazione – Integrazione; esperto in Animazione e Didattica Musicale; esperto in Metodologia Kodaly; esperto in Educazione al Suono e alla Musica; esperto in Pedagogia musicale e Didattica delle percussioni; esperto in Musicoterapia; esperto in Metodologia e Pratica dell‘Orff – Schulwerk; esperto in Tecniche di Rilassamento per Musicisti; esperto in LIS – Linguaggio Internazionale dei Segni; esperto in Metodologia Dalcroze e Gordon; esperto in MusicoArteTerapia.
Potendo contare sulla preziosa guida del M° Campanino, svolge correntemente la sua attività di accompagnatore lirico, alternata a quella di concertista presso le più note strutture alberghiere della Costiera Sorrentina.

Sebastiano Cascone

Sebastiano Cascone

Il primo desiderio vissuto fin ad allora solo nei sogni, si realizza nel 2007, quando pubblica il primo album della sua carriera: “Sorridere ad un sogno”.
Il 1° febbraio del 2013, nell’ambito della mostra ROCK al PAN (Palazzo della Arti di Napoli), viene pubblicato in anteprima mondiale “Acquaria” il secondo album del grande pianista stabiese.
Goccia dopo goccia; respiro dopo sospiro; fra una lacrima sospinta dalla brezza marina; il Maestro Cascone, quasi non bastassero gli 88 tasti ora bianchi, ora neri, di un pianoforte, trae energia dall’aria e sostanza dall’acqua per creare “Acquaria” un viaggio onirico prima nel suo cuore poi in quello dell’ascoltatore.

Acquaria

Acquaria

Il disco, edito dalla VERADEIS, distribuito dalla IRD, è reperibile in tutte le librerie Feltrinelli, ma può essere acquistato anche on line al seguente indirizzo:

http://www.jazzos.com/detail0.php?prod=VER0027&cat=CDNEW

 

Al seguente link ( Volo libero ) potete ascoltare un saggio della sua bravura.

Buon ascolto!!!

 

Note:
(1) Non c’è da meravigliarsi che il caso possa tanto su di noi, dato che noi viviamo per caso (Michel de Montaigne).

Una sera ho incontrato Fabrizio De André

Una sera ho incontrato Fabrizio De André
di Corrado Di Martino

Fabrizio De André a Castellammare

Fabrizio De André a Castellammare

Era ormai sera avanzata, iniziava a rinfrescare, sapevo di far tardi e quindi avevo indossato un vecchio giaccone stanco, verde militare. Avevo con me la mia Olympus, con il corredo completo di obiettivi e flash, ed una Nikon prestatami da un amico fraterno, Peppe Cannavale, che purtroppo oggi non è più con noi. Dal fondo del lungomare si intravedevano, lontane, le luci di prova del palco sul quale avrebbe dovuto, da lì a poco, esibirsi Fabrizio De André, le note del basso si sentivano durante il check sound. Eccitato avanzai il passo, il palco era stato allestito, sulla spiaggia, molto vicino al lungomare, alle spalle della Cassarmonica, guardando il mare, appena un po’ decentrato sulla destra. Nelle immediate vicinanze c’erano già tutti i miei amici, quelli più importanti: Agostino ed Elvira, Luigi, Liliana ed Antonio, Peppe, appena un po’ distante Silvano, che non si perde mai un evento musicale in città, e Giovanni Somma (forse anche Salvatore Buffolino e consorte, ma non ne sono sicuro). Arrivai che il concerto ancora non aveva avuto inizio, pensai che forse potevo riuscire a fare qualche foto prima del debutto. Qualche dubbio sul fatto che mi facessero accedere liberamente sul palcoscenico, mi convinse a dispiegare tutto l’armamentario fotografico, in modo da sembrare un professionista. Posi entrambe la macchine a tracolla, la Olympus , con lo zoom inserito, in mano come un fucile, e la Nikon appesa al collo pronta all’uso. Detto fatto, dalla scaletta posta sulla destra di chi guarda, provai a salire. Mi riuscì tutto alla perfezione, era lo stesso trucco che avevo praticato nel 1979 in occasione della gara di motocross sull’arenile. Salgo, oltrepasso un amplificatore e dietro di questo mi ritrovo al cospetto di Fabrizio De André, lui mi lancia uno sguardo dai suoi occhiali fumé, nota le macchine fotografiche, e si gira disponibile, forse convinto di avere a che fare con un reporter. Volevo parlargli, all’epoca non mancavo di faccia tosta, e senza perdere tempo, per aprire un contatto gli dissi:– ha visto come è bella la nostra città? – e lui con quel solco che aveva sul viso irregolare ..quella specie di sorriso, mi rispose con cortesia – guarda, dove c’è il mare è casa mia.. –, avrei voluto continuare, e chiedergli se avesse visitato il centro storico con le sue stradine strette e ripide, tanto simili alla Creuza de mà o a Via del Campo, ma mi si avvicinò uno zelante vigile urbano – e sapete come sono zelanti i vigili qua da noi –, che mi prese per un braccio come per allontanarmi, feci finta di andarmene, il cerbero si allontanò. Invece, presi a parlare con uno dei tecnici del suono, mentre si avvicinava il momento di iniziare lo spettacolo.

Fabrizio De André a Castellammare

Fabrizio De André a Castellammare

Il vigile zelante, un ibrido che si incontra solo raramente in città, mai quando c’è un ingorgo (sic!), era ormai dall’altra parte del palcoscenico, mi scorse di nuovo, ma non potendo attraversare la scena per raggiungermi prese a fare dei segni, produsse anche quello classico che si fa mordendosi la mano tesa all’altezza dell’indice scuotendo la testa, non me ne curai, fingevo di non comprendere. Partirono le prime note, iniziai a fare qualche foto. Lo zelante indomito, passando sull’arenile circumnavigò da dietro il ponteggio in tubi innocenti – dal puzzo ho creduto anche che avesse pestato qualcosa di molle –, mi si riavvicinò di nuovo, e mi impose di andar via. Fu allora che sbottai, spazientito contro l’autorità costituita, proferendo in dialetto stretto un grido di protesta per tanto accanimento:– E.. m’he rutt’’e palle!!–. Forse Fabrizio ne rise divertito, forse sono io che ho piacere ad immaginare questo. In buona sostanza, comunque sia andata è stata una serata indimenticabile.

Pozzano vista dalla statale, foto Giuseppe Zingone

Catiello e Vicenza

Catiello e Vicenza

di Corrado Di Martino

Spiaggia balneare in località Pozzano

Spiaggia balneare in località Pozzano

Zio Catello, era il maggiore dei fratelli di mia madre, celibe per scelta coltivava un affetto clandestino: una vedova, sua ex fidanzata in età giovanile, che per scelta non aveva sposato quando ne era il momento.
Zi’ Vicenza, secondogenita dei miei nonni materni, anch’ella non aveva incontrato l’anima gemella, ma la cosa non sembrava pesarle. I due hanno vissuto insieme, più di ottanta anni, fino agli ultimi giorni, scontrandosi di continuo, per il divertimento di noi nipoti, ché le commedie di Eduardo sembravano rivivere in ogni momento della giornata: –‘o ccafé n’ha maje saputo fa’!– e lei – si ‘o vvuo’ cchiù meglio t’’o vaje a piglia’ addo’ dich’io! – forse una maniera arguta di alludere alla sua relazione sentimentale, o ancora più sottilmente (come zitella farebbe) un modo per mandarlo a quel paese. I due in casa si detestavano, amabilmente, non v’era occasione che non li vedesse l’un contro l’altra armati, il nonno “bonariamente” diceva: – si se putesseno accidere s’accidessero; ‘o cane e don Ferdinando e ‘a gatta d’’a signora Rosa me pareno Vicenza e Catiello–. Non ho mai capito perché comparasse Zi’ Vicenza ad un mastino napoletano. Finita che ebbi la scuola, giugno del 1959, zio Catello decise che era giunto il momento di insegnarmi a nuotare (Pierre Bourdieu, qualche anno dopo descriverà qualcosa di simile né il dominio maschile). – Carmeli’ me porto ‘o criature all’acqua d’’a Maronna; ‘o ‘mpara a nata’! – e mia madre laconica – stall’accorto –. Non si può immaginare l’eccitazione che in quel momento mi pervadeva, vedere gli scugnizzi all’acqua della Madonna o sul porto, lanciarsi con le più fantasiose circonvoluzioni in mare alla ricerca subacquea delle monete di passanti e curiosi, mi aveva sempre oltremodo appassionato. Ero affascinato dalla scia bianca di bolle d’aria che si creavano nell’acqua azzurrissima del mare all’entrata a candela o a cufaniello di ognuno di loro. E che dire dei riflessi argentei e vacillanti delle dieci lire che sembravano prender vita come farfalle appena entrate in acqua, quasi a voler sfuggire ai provetti tuffatori. Zia Vincenza pensando alludesse a mio fratello minore, di poco più di un anno (spesso cagionevole di salute, tanto da essere soprannominato ‘o perettiello ‘e vrito), si stizzì, dando inizio ad uno dei soliti siparietti fra loro due. Siparietti che zio Catello chiudeva tutti allo stesso modo – ué ma nu jetta mai ‘o vveleno e se sta zitta? – Raggiungemmo l’antica Marina di Stabia, proprio davanti ai primi chalet c’era un assiepamento di persone, fra cui alcuni bambini pressappoco della mia stessa età; da questo capannello venne fuori Aniello, un acquafrescaio, amico di mio zio, non mi era mai stato molto simpatico, mi prendeva sempre in giro. Diceva – pare nu figlio ‘e ggente signure – in una maniera così sferzante che suonava come un’offesa. Disse – Catie’ te stévemo aspettanne! – Guardandomi intorno vidi che gli altri ragazzini non erano poi così entusiasti come me, qualcuno aveva le lacrime agli occhi, qualcuno chiedeva della madre altri si dimenavano spaventati, la cosa mi dovette turbare tanto, che Aniello spiacevole come al solito, chiese a mio zio – Catie’ ma fa’ ca chisto se piglia paura? – Per tutta risposta zio Catello, che aveva intuito in me qualche ripensamento, risoluto, mi tolse la canottiera, con l’aiuto di Aniello mi legò una corda – ‘na cimma – intorno alla vita e mi catapultò per primo in acqua. A quel punto anche gli altri mi dovettero seguire: urla, risate, sberleffi; mentre zio Catello concentrato teneva la corda tesa, Aniello, ancòra lui [sic!], gridava –sbatte ‘e mmane, sbatte ‘e mmane, guaglio’!! – nonostante fossi spaventato, capii che non mi chiedeva di applaudire, e al primo sorso di acqua salata andatomi di traverso iniziai ad agitare mani, piedi, braccia, gambe e sopratutto ad irrigidire il busto per tenere la testa fuori dall’acqua il più possibile.. la tensione della corda si allentò, iniziai in qualche modo a nuotare.. – il molo urlò qualcosa –. Mentre rientravamo a casa dei nonni Aniello mi gratificò, a modo suo – e bravo a ‘stu strunzillo, chi ll’avesse ditto!? – Superata questa prova potevo andare al mare con zia Vincenza! Ci imbarcavamo, tutti i giorni, poco più in là della fonte dell’acqua della Madonna, ‘ncoppa a’’o San Gennaro, una cianciola adibita al trasporto di avventurosi bagnanti verso Pozzano, comandata da Gennaro ‘e zi’ Bacco. Una folla chiassosa e multicolore sbarcava, quotidianamente, a più riprese su una pietraia sotto la statale sorrentina, attraverso un piccolo pontile in legno, il più basso nella foto a seguire…

Bagni di Pozzano anni ’50

Zia Vincenza ed io un giorno eravamo parte di questa folla, quando un improvviso moto d’onda creò un parapiglia fra i bagnanti arrembanti, per cui in pochi attimi mi ritrovai completamente vestito a mare; non vi racconto le urla, gli strilli di zi’ Vicenza, le scene disperate, ma ormai “maturo nuotatore” riuscii a cavarmela raggiungendo la riva. Giovani ed adulti accorsi, richiamati dalle urla, notando che galleggiavo confortarono mia zia – menu male che sapeva nata’! – e una donna – ‘o vero, menu male, accussi’ piccirillo po’! – e zia Vincenza ormai placata, con quanto più orgoglio aveva in corpo, sentenziò – e pe’ fforza l’ha ‘mparato frateme Catiello!!!

Lo pseudo Viviani, l'uomo con i baffi nella foto

Un giorno incontrai Raffaele Viviani

Un giorno incontrai Raffaele Viviani

di Corrado Di Martino

Lo pseudo Viviani, l'uomo con i baffi nella foto

Lo pseudo Viviani, l’uomo con i baffi nella foto

Era una di quelle mattine di metà mese, ed ero già in strada a giocare. La sera precedente aveva piovuto che Dio la mandava. Ero fermo, in quella mattina di primo autunno, a rimirare il riflesso del mio vicolo (Vico Salvati [n.d.a.]) in una pozzanghera d’acqua piovana, smosso dai sassolini che ad arte vi lanciavo dentro; quando tuonò il preavviso di una vicinissima tempesta più perniciosa di quella da poche ore passata: “Carmeli’ ‘o porto ije a scola, mo’ vedimmo si nun ‘nce va!” A quel tempo mio padre lavorava fuori, in Sicilia, e quindi come nelle migliori tradizioni era lo zio uterino ad accollarsi le fatiche dell’educazione del figlio della sorella (figlio al singolare, non perché questi fosse figlio unico, ma perché era l’unico che abbisognava di un attento “educatore” personale).
Zio Catello, era il maggiore dei fratelli di mia madre, celibe per scelta (non vi racconto di quando, parlando del ventennio e del fatto che chi non contraeva matrimonio era sotto-posto a una particolare pressione fiscale, lui e il nonno si scambiavano ancora feroci invettive), tubista alla Navalmeccanica, ex attore di avanspettacolo, a lui si devono tutti i miei incontri con i comici più popolari al tempo in città da Enzo Santomauro a Ciccio Vascuotto ed altri ancora. Era alto, aveva mani robuste, occhi verdi e profondi e su di essi un’ombra triste, come di chi non ha avuto tutto quel che meritava dalla vita. Credeva profondamente in me, anche se ancora piccolo e selvatico, e faceva di tutto per dare le stesse sicurezze anche a me medesimo.
Jamme bbelle, ja’! Già aiere nun he juto a scola, e che facimme n’ato tubbista?
In una di quelle mattine di metà ottobre che tradiscono l’autunno, talmente dolci e temperate sono, quando tutto: il paesaggio, i colori delle piante, gli odori, il mare… il mare!!, ti invitano a fare altro: zio Catello mi accompagnava a scuola. L’acceso dibattito su quanto fosse dura la vita dello studente, consumava i cubetti di porfido che ci dividevano dal “Seminario” (era la vecchia denominazione della scuola elementare istituita all’interno dell’Osservatorio Meteorologico di piazza Municipio). Io mi dimenavo e strillavo, e lui giù scuzzuttune, carocchie e chianette. Mentre lo scontro impari (impari: poiché in grinta e aggressività sovrastavo il malcapitato parente) proseguiva, incontrammo un suo amico: “Rafe’ – gli disse mio zio – nun vo’ ji’ a scola, contace ‘o fatte, ‘e quanne guaglione he capito pecché ‘nce s’ha dda ji!” Raffaele era un uomo sulla trentina, alto quanto lui, castano, con baffi da gentiluomo inglese (quello coi baffi nella foto che segue, se qualcuno ne conosce le generalità mi farebbe piacere conoscerle).

Austero, simpaticamente severo, mi chiese: “Lo sai chi sono io??
Ed io un paio di strattoni a zio Catello, per prenderlo di sorpresa, ma sapendo con chi aveva a che fare, il mastino non abbassava la guardia.
L’uomo continuò: “Sono Raffaele Viviani” ed iniziò a declamare dei versi affascinanti, musicali, ipnotici: “…a dudece anne, a tridece, tanta piezz’‘e stucchiune ca niente maje capévamo pecché sempe guagliune!. […]ma, a dudece anne, a tridece, cu ‘a famma e cu ‘o ccapi’, dicette: nun po’ essere: ‘sta vita ha da ferni’. Pigliaje ‘nu sillabario: Rafele mio, fa’ tu! E me mettette a correre cu’ A, E, I, O, U.
I due si salutarono, ed io frastornato più che placato, con lo zio mi infilai nell’immenso androne del Seminario.
Zio Catello, da tempo non c’è più, il suo amico Raffaele, di cui non ho mai conosciuto il vero nome, l’ho incontrato spesso, durante tutto l’arco della mia vita… è venuto a vedermi a teatro… avrei potuto fermarlo, parlargli, chiedergli… non sarebbe stata la stessa cosa, non più un incontro magico, non più Raffaele Viviani. Quante persone, credete, oggi, possano dire come me di aver incontrato Rafaele Viviani?
La sera precedente aveva piovuto che Dio la mandava, una pozzanghera solitaria rifletteva tutto il mio vicolo.