Archivi autore: Ferdinando Fontanella

Informazioni su Ferdinando Fontanella

Collaboratore di Redazione Naturalista e giornalista pubblicista, è laureato in Scienze della Natura, con specializzazione in Divulgazione naturalistica e Museologia scientifica, presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. E' responsabile della pagina Twitter di LR.

Zucazuca, una donna enorme e bella

di Ferdinando Fontanella

Nella rubrica delle “storie minime stabiesi di L.R.”, penso valga la pena ricordare, “Zucazuca”, una donna molto particolare (il motivo lo vedremo a breve) che abitava nella zona collinare di Castellammare di Stabia… un personaggio, molto conosciuto e noto, emerso tutto ad un tratto dai ricordi della mia infanzia. Buona lettura.

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Famiglia colombiana (Fernando Botero,1999)

Zucazuca era un donna eccezionale. Alta quasi 2 metri e talmente grassa che qualcuno azzardava a scommettere che il suo peso superasse tranquillamente i 220 chili.

Però non era brutta, la massa di muscoli e grasso era ben distribuita lungo i 200 cm del suo corpo. Nessuna deformità insomma, solo una donna enorme e bella come un dipinto di Botero.

Era sempre stata spropositata… le sue dimensioni eccezionali, raccontavano le mamme sue coetanee, erano da imputare al fatto che Maria (questo il suo vero nome) aveva succhiato latte materno fino alla veneranda età di 8 anni. Questo allattamento prolungato gli era valso anche il curioso soprannome.

Maria all’età di 5 anni succhiava stando in piedi dal seno della madre che era seduta all’uscio di casa, i compagni di giochi la guardavano con curiosità, mentre i vicini di passaggio gli rimproveravano di essere troppo grande per quella faccenda da neonati, ma lei con calma si staccava dal capezzolo, afferrava la tetta grondante latte e porgendola con generosità ai curiosi diceva “Zuca zuca… che è buono!”. Inevitabile che il suo soprannome da allora e per il resto della vita diventasse Zucazuca. Continua a leggere

Terremoto: quando la memoria diventa costruttiva

23_11_1980

La data del terremoto che nel 1980 devastò la Campania e la Basilicata, causando migliaia di morti e ingenti danni in numerose località, deve restare scolpita nella mente come un comandamento nella pietra. La memoria storica è la base per pianificare razionalmente la nostra vita, affinché i danni che potrebbe provocare un nuovo evento sismico siano ridotti al minimo. Il ricordo quindi non deve essere inteso come un’àncora al passato ma, piuttosto, un trampolino verso il futuro.

Approfittiamo di questa ricorrenza per chiedere all’esperto sismologo Giuseppe Luongo, professore emerito di Geofisica della terra solida presso l’Università di Napoli Federico II, di chiarire alcuni aspetti legati alla sismicità del nostro territorio.

Prof. Giuseppe Luongo

Prof. Giuseppe Luongo

Per ragioni legate all’evoluzione geologica della Terra, l’Appennino – spiega il prof. Luongo – è un’area dove si accumula tensione nelle rocce che, per questo motivo, sono soggette a compressioni, stiramenti e piegamenti. Di tanto in tanto, le rocce sottoposte a queste tensioni si fratturano o si spostano, liberando l’energia accumulata che si propaga sotto forma di onde. I tremolii che noi chiamiamo terremoto non sono altro che il manifestarsi di queste onde sulla superficie terrestre. Il tratto di catena appenninica che più ci interessa, per quanto riguarda gli effetti della sismicità della provincia di Napoli e della fascia costiera campana, è il cosiddetto Appennino Campano-Molisano e la parte Lucana.

Ovviamente – precisa il sismologo – da questo scenario sono esclusi i terremoti che potrebbero originarsi dall’attività vulcanica. Generalmente però il vulcanismo produce eventi di minore energia che, tuttavia, potrebbero essere comunque pericolosi perché più superficiali. Un esempio classico per questo tipo di eventi è il terremoto di Casamicciola del 1883 o, volendo andare più in dietro nel tempo, il sisma che colpì Pompei e le altre città vesuviane nel 62 d.C., 17 anni prima della grande eruzione del 79. Continua a leggere

Le vostre fotografie

Remigio Russo

Le fonti di Stabiae (foto Remigio Russo)

Ispirata da “Le fonti di Stabiae”, prima foto giunta in redazione, gentilmente inviataci dal carissimo Remigio Russo, la rubrica propone una Castellammare ritratta dai nostri visitatori (esponiamo esclusivamente le fotografie che ritraggono: scorci, panorami e particolarità della città di Castellammare di Stabia). La raccolta è doverosamente dedicata a Mimì Paolercio, compianto amico d’animo cordiale, la cui brillante e luminosissima carriera di fotografo ha reso onore alla nostra Castellammare di Stabia, sua città di adozione. La galleria verrà ampliata in corso d’opera, eventuali collaborazioni sono estremamente gradite.

Chiunque volesse esporre sarà il benvenuto ed è pregato di contattarci alla seguente email: liberoricercatore@email.it

ultima fotografia inserita:

La Cassarmonica (foto Mariarita De Simone)

La Cassarmonica (foto Mariarita De Simone)


Galleria Immagini:

N.B.: tutte le immagini fotografiche (gentilmente concesse dai rispettivi autori indicati in calce) sono tutelate dal ns. Copyright e non possono essere utilizzate per scopi commerciali ( leggi disclaimer )

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Mastro Antonio, ritratto da U. Cesino

La pizza, le palme e le scope

articolo di Ferdinando Fontanella

Mastro Antonio, ritratto da U. Cesino

Mastro Antonio (ritratto dal M° Umberto Cesino)

Pizza, palme e scope. Questi tre termini, che indicano rispettivamente la pietanza più celebre della cucina italiana, un gruppo di piante e un manufatto che serve per spazzare, all’apparenza non hanno nulla in comune. Eppure, vi assicuro, esiste un nesso che li unisce indissolubilmente. Un legame forte fatto di rispetto per le tradizioni, amore per la natura e onesto e duro lavoro.

Per capire di cosa sto parlando è bene iniziare questo discorso partendo da un posto a noi tutti famigliare, la pizzeria. Un luogo stupendo, puoi entrarci nel pieno della calura estiva o in una gelida sera invernale e la pizzeria ti accoglie sempre con una piacevole sensazione di caldo che sa di buono, quello che solo la legna che brucia può regalare. I nostri sensi sono poi inebriati dai sapori e dagli odori, in bocca l’acquolina perché nella mente già pregustiamo la specialità che il pizzaiolo,  vestito di candido bianco, di lì a poco ci preparerà. Continua a leggere

Maruzzone

Maruzze e maruzzare…

articolo di Ferdinando Fontanella

Maruzzone

Maruzzone

“So’ doje maruzze: una fete, e ‘n’ata puzza…”.

Erano i primi anni Ottanta e, se la memoria non m’inganna, questo curioso modo di dire, usato dal nonno per evidenziare la monellaggine dei nipoti, è stato il mio primo incontro con le maruzze.

Solo dopo qualche tempo ho effettivamente capito cosa fossero e ho un preciso ricordo di questo evento. Un ricordo concreto di caldo e pioggia.

I temporali di fine estate inducono sensazioni contrastanti, per certi versi sgradevoli … per altri piacevoli, un po’ come gli abiti indossati in queste bizzarre giornate: pantaloncini corti e zoccoli ai piedi, memori del caldo appena svanito, maglione pesante e berretto di lana, infilati in fretta e furia, per il freddo improvviso.

Era settembre e principiava il tramonto, quando l’acquazzone esaurì il suo vigore. Mentre la pioggerellina andava ancora scemando, qualcuno pronunciò una domanda dal sapore retorico: «Andiamo a cercare le maruzze?».

Infervorati dall’allettante proposta noi bambini, abbigliati alla meno peggio, iniziammo furiosamente ad equipaggiarci. Facemmo razzia di barattolini e lattine, bottiglie dal muso largo e panierini, insomma prendemmo tutto ciò che poteva contenere le ambìte prede, che andavamo a scovare tra i fili d’erba e gli anfratti dei muri a secco.

Partimmo dal basso, dalla via Vecchia Pozzano, e procedendo a zig-zag lungo gli immensi scaloni dei terrazzamenti agricoli, arrivammo al culmine dell’immenso “Chiazzone delle Camarelle”. Lungo questo faticoso tragitto tra orti arborati, vigne e uliveti profumati di erba e terra bagnata, praticammo la nostra fruttuosa raccolta.

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