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Informazioni su Ferdinando Fontanella

Collaboratore di Redazione Naturalista e giornalista pubblicista, è laureato in Scienze della Natura, con specializzazione in Divulgazione naturalistica e Museologia scientifica, presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. E' responsabile della pagina Twitter di LR.

Magnate ‘o limone

articolo di Ferdinando Fontanella

Magnate 'o limone

Magnate ‘o limone

Magnate ‘o limone è una comune locuzione dialettale partenopea che, tradotta letterale, significa “Mangia il limone”. Il significato testuale, tuttavia, non sempre corrisponde con quello figurato.

Chi ascolta questo modo di dire deve attentamente valutare il contesto. Magnete ‘o limone può assumere, ad esempio, significato di sfottò dopo una sconfitta. Hai perso, pensi di aver subìto un torto, non ti sta bene e non puoi farci niente? Magnate ‘o limone!!! Continua a leggere

‘O buccaccio ‘e tunno

(ricetta di Rosato Raffaela)

Barattoli di tonno (preparazione)

Barattoli di tonno (preparazione)

Vi sentite figli del mare o della pubblicità? Questa domanda che all’apparenza può sembrare assai bizzarra è fondamentale per introdurvi a questo scritto.

Se vi sentite figli del mare andate avanti nella lettura; altrimenti lasciate perdere perché la vostra meta non è questa. Siete destinati ai supermercati, ai luoghi in cui fa bella mostra sugli scaffali il tonno “pescato a canna”, che si “taglia con un grissino”, che se non ha la “pinna gialla” non è buono, che è pescato in “mare aperto” e ha solo “olio d’oliva”. Luoghi in cui il consumismo sfrenato e il disprezzo delle risorse naturali hanno portato quasi all’estinzione le principali specie di tonno dei nostri mari: quello rosso (Thunnus thynnus) e il pinna gialla (Thunnus albacares).

I figli del mare conoscono benissimo questa realtà e sanno, altrettanto bene, che una buona conserva di tonno può essere fatta sfruttando altre specie affini al genere Thunnus. Pesci saporitissimi che spesso restano tristemente invenduti nelle pescherie perché noi tutti, malamente indottrinati dal mezzo mediatico,  abbiamo perduto la memoria di come bisogna cucinarli o conservarli.

Qui di seguito recuperiamo una parte di questo antico sapere,  con la speranza che ogni stabiese voglia rimetterlo nel proprio bagaglio culturale. Vi mostreremo, passo passo, come preparare i barattoli di tonno sottolio (‘o buccaccio ‘e tunno). Continua a leggere

La cucina stabiese: ‘E talli d”e cucuzzielli

di Rosato Raffaela

Paniere colmo di talli di cucuzzielli (foto Ferdinando Fontanella)

Paniere colmo di talli di cucuzzielli (foto Ferdinando Fontanella)

Gli zucchini (Cucurbita pepo) localmente noti come cucuzzielli, insieme alle zucche, ai meloni, alle angurie e ai cetrioli appartengono alla famiglia delle Cucurbitacee1. La specie natia del Sud America è arrivata nel vecchio continente nel XVI secolo dove si è lentamente affermata diventando particolarmente cara agli orticultori. Il sapiente e paziente lavoro dei contadini ha determinato la nascita di numerose e saporite varietà, tra tutte ricordiamo quella detta di “San Pasquale” diffusissima negli orti campani.

Chi fu il primo stabiese ad assaggiare questo ortaggio non è dato saperlo, è presumibile però che l’esito di questa prova sia stato assai favorevole. La pianta è, infatti, da lungo tempo ampiamente coltivata e sapientemente cucinata a Castellammare di Stabia, come del resto avviene in tutta la prosperosa Campania. Continua a leggere

  1. Piante erbacee annuali, caratterizzate da fusti robusti striscianti o rampicanti, foglie ispide e rugose portate da peduncoli cavi, fiori campanulati dalla corolla gialla, femminili e maschili (nel napoletano detti sciurilli) portati dalla stessa pianta, i frutti lisci e cilindrici, talvolta globosi, commestibili e consumati maturi o immaturi.

Lardiche a tavola

ricetta di Raffaela Rosato 

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     Le ortiche (famiglia Urticaceae, genere Urtica), o meglio ‘e lardiche come direbbero i nostri contadini, sono piante comuni nel comprensorio stabiano1. Crescono soventemente come infestanti nei terreni ben concimati lasciati a riposo o incolti, nei frutteti e negli orti arborati, si ritrovano spesso anche lungo i viottoli e presso le case di campagna, i vecchi ruderi, tra le fessure dei muri a secco, o anche nelle schiarite tra i boschi (Pignatti, 1982). Raccogliere e cucinare le lardiche oggi, che siamo abituati agli scaffali dei centri commerciali ricolmi di cibi precotti, appare pura pazzia e, ormai, i più ricordano queste piante solo come entità da evitare perché ricoperte di peli urticanti distribuiti sulla superficie delle foglie e dello stelo2. Se si esclude quest’unico aspetto negativo3, che può essere agevolmente superato indossando abiti lunghi e un paio di guanti, e si approfondisce un po’ la conoscenza delle lardiche si (ri)scopre una pianta utilissima, con innumerevoli proprietà4 e dal gusto saporito e delicato che può essere felicemente consumata al pari delle verdure più rinomate (ad esempio spinaci e broccoli). La raccolta delle lardiche può essere fatta in tutti i mesi (generalmente abbondano nei campi tra gennaio e maggio), ricordando di evitare il prelievo di piante troppo fiorite o in seme, perché vecchie e quindi dure. Il raccolto, prima di essere impiegato in numerose ricette, va mondato (spuzzuliato) e lessato secondo il metodo seguente: Continua a leggere

‘A zuffrìtta

 

di Raffaela Rosato & Ferdinando Fontanella

‘A zuffrìtta in cottura (foto Ferdinando Fontanella)

Per la povera gente di Castellammare la stagione invernale è sempre stata dura da sopportare. Una sofferenza causata non solo dall’umidità e dal freddo, in cui piomba naturalmente il centro antico, ma anche e soprattutto dalla carenza di cibo e, come testimonia un antico adagio popolare, in città «Passato ‘o Natale sulo friddo e famma». Pochi erano, infatti, i prodotti a buon mercato ricavabili dal mare, con la pesca, e dalla terra, con l’agricoltura, destinati a riempire gli stomaci famelici degli stabiesi.

Ottenere un piatto saporito, caldo, nutriente e in abbondanza che facesse da companatico al pane che mai, per fortuna o grazia di Dio, mancava era un sogno che tormentava le notti di tutti i “vasciaiuoli”, gli abitanti dei bassi.

Questa cronica miseria si attenuava solo con l’avvicinarsi della primavera e precisamente con l’entrare del mese di febbraio, ovvero il tempo in cui, per tradizione, si ammazzano i maiali.

Ovviamente le carni pregiate: costate, capicolli, filetti, prosciutti, pancette, salami e salsicce erano ad uso e consumo di chi poteva permettersele. Al popolino restavano “gli scarti”, ma come tutti sanno: del maiale non si butta niente, e anche il rimasuglio nelle mani delle massaie diventava piatto prelibato.

Sangue, frattaglie, cotiche, coda, muso, orecchie, zampe, ossa… insomma tutto era buono e saporito una volta salato, speziato e arrostito, fritto o bollito.

La ricetta che meglio soddisfaceva i requisiti desiderati dagli affamati: saporita, calda, nutriente e abbondante, era una minestra piccante a base di pomodoro con pezzi di polmone, trachea, lingua, cuore e milza di maiale, detta ‘a zuffrìtta.

Preparata questa zuppa forte il modo migliore per consumarla era prendere un buon pezzo di pane, l’ideale è quello che in dialetto chiamano ‘o cazzotto, tagliarne l’apice, svuotarlo della mollica, riempirlo con alcuni mestoli della pietanza e richiuderlo con la stessa mollica poc’anzi asportata e precedentemente intinta nel sugo della zuffrìtta.

La capa ‘e pane cu’ ‘a zuffrìtta così servita era spesso venduta, a poco prezzo, anche nelle locande e in strada, da ambulanti che cucinavano la zuppa in enormi calderoni sostenuti da cucine montate su carretti mobili e traballanti.

Questo piatto sostanzioso era spesso l’unico pasto della giornata e, in base all’ora in cui veniva consumato, diventava: colazione, pranzo, cena e persino spuntino.

Nella consapevolezza che oggigiorno sono in pochi a cucinare con coscienza la zuffrìtta e che molti giovani non l’hanno mai assaggiata, riportiamo la ricetta e la preparazione per farla.


‘A zuffrìtta: la ricetta

Ingredienti:

  • Un polmone, una lingua, una trachea, un cuore e una milza di maiale
  • Una lattina di concentrato di pomodoro
  • 750 ml di passata di pomodoro
  • 750 ml di acqua
  • 150 ml di vino bianco
  • 150 ml di olio extravergine d’oliva
  • 1 spicchio grande d’aglio
  • 2-3 foglie d’alloro
  • 1 o 2 peperoncini piccantissimi
  • Sale quanto basta

Preparazione:
Tagliate a pezzetti il polmone, la lingua, la trachea, il cuore, la milza e poi sciacquateli bene. In un tegame capiente mettete l’olio, l’aglio e il peperoncino. Quando l’olio sarà caldo aggiungete il “trito di maiale” e le foglie di alloro. Lasciate soffriggere bene gli ingredienti e, solo quando tutta l’acqua sarà evaporata, fate sfumare col vino bianco. Evaporato il vino aggiungete il concentrato di pomodoro, la bottiglia di sugo e l’acqua. Quindi salate e mescolate accuratamente. Portate a ebollizione su fiamma vivace, poi riducete l’intensità del fuoco e fate bollire per lungo tempo. Lasciate “pippiare” la zuppa finché apparirà bella corposa e solo a questo punto spegnetela. Servite ‘a zuffrìtta caldissima, riempendo un pezzo di pane “cazzotto” svuotato della mollica.

Ascolta: ‘A zuffrìtta  (versione audio per i non vedenti)