Archivi autore: Francesco Avallone

Informazioni su Francesco Avallone

Stabiese purosangue, nativo del centro antico, scrive e racconta la Castellammare della sua giovinezza dalla lontana Florida in cui vive.

La lavandaia - olio su tela di fine '800 (immagine tratta dal web)

Lucia ‘a lavannara

Lucia ‘a lavannara
di Frank Avallone

Nell’immediato dopoguerra, fare il bucato non era cosa semplice; ricordo che a Fondi, paese dei miei nonni materni, le donne lavavano la biancheria nei vari corsi d’acqua. Molte volte, andando ai terreni dei nonni, in locazione quarto di san Pietro, passando su ponte selce ( pont sevece ) le vedevo al lavoro; piedi nell’acqua, alcune calzavano stivali di gomma, nasi rossi, mani e ginocchia infreddolite, battevano e lavavano la biancheria su rocce affioranti; cantavano vecchie filastrocche, forse per farsi coraggio o per dire: il lavoro non mi spaventa, io non sono una “spassosa” [termine fondano che significa non sono una sfaticata o scansafatiche] lavorare duramente era per queste donne, un motivo d’orgoglio. Queste, naturalmente, erano le puriste che lavavano solo in acqua corrente, mentre altre donne lavavano la biancheria “alla mola della corte”, un vecchio mulino, dove l’acqua veniva incanalata in un lavatoio di forma rettangolare, che poteva accomodare 30-40 donne per volta. Naturalmente l’acqua non era limpida, come nei ruscelli, ma i piedi erano all’asciutto, non dovevano inginocchiarsi su terreni ruvidi, insomma era molto più conveniente. Alla fine del bucato, arrotolavano una tovaglia a forma di ciambella, la mettevano in testa, come ammortizzatore e vi ponevano sopra la bagnarola di panni lavati, il resto lo ponevano in due secchi, che trasportavano a mano e via!
Era uno spettacolo osservare la destrezza di queste donne, che oberate da un peso non indifferente e senza mano, si muovevano con grazia principesca, che oggi farebbe invidia a modelle di alta moda; per poi farsi una camminata di un chilometro o due.

La lavandaia - olio su tela di fine '800 (immagine tratta dal web)

La lavandaia – olio su tela di fine ‘800 (immagine tratta dal web)

A Castellammare di Stabia, nel rione Fontana Grande, fare il bucato era ancora più complicato; non avevamo acqua in casa, ruscelli d’acqua corrente non ne avevamo, trasportare l’acqua con secchi era faticoso e creava il problema di dove versare l’acqua insaponata.
Così le nostre donne lavavano la biancheria nei pressi della fontana pubblica, che per noi era situata sulla salita ponte, vicino al palazzo del serraglio. Continua a leggere

Piazza Orologio cartolina di Giuseppe Zingone

Tiempe belle ‘e ‘na vota

Tiempe belle ‘e ‘na vota

di Frank Avallone

In autunno, ci svegliavamo al suono della sirena del cantiere navale, con il rumore degli zoccoli dei cavalli sui “vasoli”, le voci dei masti r’‘o cantiere che andavano a lavorare, dai venditori di castagne lesse tra cui ‘a naso ‘e cane, di Mariagira r’‘a zuffritta, r’‘a fruttaiola che decantava la dolcezza dell’uva o delle noci fresche, da Carluccio e la sua caratteristica voce: “’E ricuttelle fresche, ‘e ricuttelle; signo’ acalate ‘o panare!!” Dai fischi e pernacchi indirizzati a lui che era il protagonista numero uno… l’attore principale del nostro teatrino rionale.
Ci svegliavamo anche all’odore dei meloni di Natale, appesi al soffitto, che incominciavano a maturare, all’odore delle castagne lesse, della soffritta o delle sfogliatelle o briosce, appena sfornate, da Don Vicienzo Guida, ‘o speziale ‘e miez’‘a Funtana, anche dall’odore dolce della salsedine, nell’umidità della mattinata autunnale.
Prima cosa da fare: controllare, prima dei nostri fratelli e sorelle, i mazzetti di sorbe, appese, fuori al balcone; che gioia quando ne trovavo qualcuna matura o quasi, subito ne facevo bottino!! Intanto, dal piano terra, saliva, alle mie narici, l’odore del caffè, fatto, naturalmente, con la caffettiera napoletana. Scendevo e mia madre diceva: “He sentute l’addore r’‘o café? Vieni siediti che ti scaldo un po’ di latte” e continuando a voce alta, diceva: “Ho comprato pure le briosce, cavere, cavere!!” Allora, dal piano superiore, si sentivano rumori di piedi, che si muovevano in fretta e furia; dopo qualche minuto eravamo tutti intorno al grosso tavolo di legno, seduti, ad aspettare il caffellatte e le briosce calde. Eravamo in cinque: Ginetta, Rocco, Rita, Attilia ed io. Qui cominciava il teatrino mattutino: “Mammà, Attilia mi ha dato un calcio! Mammà nun è overo! Pecché Franco si è seduto al posto di Papà? ‘A briosce soia è cchiù grossa r’‘a mia. Continuava così, fino a quando mia madre si armava di un mestolo di legno e ci guardava, con piglio che non prometteva niente di buono; per cui ci calmavamo e finivamo la colazione tranquillamente. Poco dopo veniva a chiamarmi il caro amico, Antonio Giglio e ce ne andavamo a scuola ‘ncopp’‘e Scole Medie. Passavamo per il rione Piazza, via Santa Caterina, giravamo a sinistra verso piazza Orologio, ma prima di spuntare in piazza, sulla destra c’era una rivendita di frutta e verdure (‘o puoste), qui trovavamo Tito, il figlio del proprietario, nostro caro compagno delle elementari, colui che Angelo Del Gaudio definisce un omone, lo salutavamo affettuosamente, forse consapevoli che solo grazie alla sua bontà, non ci aveva fatto un paliatone, ogni qualvolta gli facevamo qualche scherzetto. Tito aveva incominciato le elementari, credo all’età di nove anni, questo per colpa del periodo bellico. Spero che Tito oggi stia bene e che abbia avuto una vita felice: certamente se la meritava!!
Passando per questi vicoli, si sentivano: voci di venditori, passanti che facevano compere, signore che calavano ‘e panare dai balconi e compravano frutta, verdura, mozzarella fresca e ricuttelle. Si sentiva l’odore di pane, appena sfornato, l’odore del baccalà tenuto a mollo in vasche piene di acqua.
A piazza Orologio vi erano, quasi sempre, tre o quattro carrozzelle, appeso al collo dei cavalli, vi era un sacchetto pieno di biada o di carrube (‘e sciuscelle), al lato destro, all’altezza della torre, c’era un venditore di questi frutti, per cui ci fermavamo a comprarne un po’ per noi. Io le mangiavo con gusto e ricordo che erano dolci, saporite e certamente salubri.

Tiempe belle 'e 'na vota - Piazza Orologio cartolina di Giuseppe Zingone

Tiempe belle ‘e ‘na vota – Piazza Orologio cartolina di Giuseppe Zingone

A volte ci trovavamo sul molo, di fronte piazza “Orologio”, quando arrivava una paranza, che trasportava le sciuscelle, durante le operazioni di scarico delle grosse sacche, prestavamo molta attenzione, perché se ne cadeva qualcuna sul molo diventava di nostra proprietà. Continua a leggere

‘E guagliune r”a Funtana

‘E guagliune r”a Funtana
di Frank Avallone

L'acqua ferrata cartolina di Enzo Cesarano

L’acqua ferrata cartolina di Enzo Cesarano

Eravamo un gruppo unito ed esclusivo; abitavamo in una zona delimitata dal palazzo del Mulino, piazza Fontana, salita Ponte e vico Mascella; una quindicina in tutto. Qualche volta si univa a noi, uno “straniero” ‘e rint’‘a Chiazza o di Visanola. Questi li accettavamo con diffidenza!! Ogni domenica pomeriggio, tutti insieme, andavamo al cinema, a vedere film dei banditi (cowboys), Tarzan o dei pirati (insomma film di avventura). Per le sette di sera, eravamo in villa comunale, ove, spesso, eravamo costretti a confrontarci con altri gruppi di ragazzi (per noi stranieri), che ci volevano mandar via, da quello che consideravano il loro territorio; a volte, si finiva col fare a botte. Con le poche lire che ci erano rimaste, dopo l’acquisto del biglietto d’ingresso al cinema, compravamo semi di zucca, un gelato e altri prodotti di stagione. Naturalmente, si divideva tutto tra amici. Continua a leggere

Carluccio d”e ricuttelle

Carluccio d”e ricuttelle
di Frank Avallone

Carluccio (foto Maurizio Cuomo)

Carluccio (foto Maurizio Cuomo)

Ascolta la voce di Carluccio (gentilmente concessa da Edis Film)

Ogni mattina, intorno alle sette e mezza, lui passava per la Fontana Grande; alluccanno: “‘E ricuttelle fresche ‘e ricuttelle!” Immediatamente, qualche nobile rampollo del vicinato, gli rispondeva con un pernacchio; un altro: “Carlu’, tiene ‘e corne!” E lui: “Grazie, grazie, fra poco cresceranno pure a vuie!” “Se so’ scetate mappine, mappine! Carlu’, ‘e ricuttelle so’ bbone? Signo’ si erano bbone me mangiavo io! Carlu’ ‘e ricuttelle so’ cchiu’ peccerelle stammatina! Signò n’aggio fatte ascì cchiu’ assaie!” Aveva la risposta pronta per tutti, sempre calmo, tranquillo. Io non l’ho visto mai arrabbiato o scortese, neanche quando lo sfottevano; credo che lui capisse che gli volevano bene e che tutto avveniva senza malizia. Infatti, se qualche mattina nessuno lo sfotteva; lui urlava: “So’ muorte ‘e figlie ‘e ntrocchie!” Forse si sentiva trascurato in quelle circostanze, forse voleva far sentire la sua presenza, come a dire: “Io sono qui per voi, sfottete, pazziate, faciteme ‘e pernacchie, ma fatemi sentire che mi avete notato”. Era come un attore che si aspetta applausi o anche fischi, ma il silenzio no e no! Così con una frasca in testa, come la corona di alloro, che si dava in premio ai vincitori, lui sembrava dicesse: “Io sono un vincitore, non c’è nessun altro come me; perciò notatemi fino a che sarò con voi; io vi voglio bene, voletemi bene un po’ anche voi!” Così Carluccio continuava il suo cammino, verso ‘a Chiazza, ‘o Cognulo, Licerta, ‘a Caperrina e tanti altri vicoli, dove gente povera, ma onesta lo aspettava ogni mattina per ricevere le sue ricottelle e una buona dose di buon umore. Carluccio viveva per questi incontri, gli davano energia, gioia e una ragione di vivere.

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Mio padre

Mio padre
( di Frank Avallone )

Carissima Delfina, ogni volta che esprimi i tuoi “feelings”, circa tuo padre (rif.: “Emozioni” di Delfina Ruocco), apri un capitolo della mia vita, col quale non riesco ancora a venire a termine. Mio padre morì nel 1963 ed io ancora non riesco a scrivere la sua storia! Ora grazie a te e col cuore colmo di amore per mio padre e non mi vergogno di dirti, anche con le lacrime agli occhi, voglio parlare un po’ di lui: Mio padre, figlio di Francesco Avallone e Cira Cesino, classe 1909, era un uomo di grande talento e al di sopra di tutto generoso e premuroso. Nato in una famiglia di 7 figli e 3 figlie, lui, come primogenito, si era prefisso di aiutare la famiglia. Mi hanno raccontato che il momento più turbolente, del loro vivere quotidiano, era la cena, durante la quale alcuni componenti della famiglia litigavano per avere più riso e fagioli nei loro piatti. Mio nonno era responsabile, col suo lavoro a provvedere ai bisogni di 12 persone; mia nonna, Girella ‘a Caffettera, la chiamavano così, perchè vendeva tazzine di caffè, a passanti e vicini di casa. Nel 1928, mio padre imparò a fare i gelati, non so dove o come, comprò una macchina per farli, era una grossa macchina, con una grande ruota, al cui cento c’era un recipiente, come un catino usato per macinare l’uva. Intorno ci mettevano molto ghiaccio e a turno, giravano la manovella per fare in modo che il liquido diventasse gelato.

Gelati stabiesi - ditta Avallone

Gelati stabiesi – ditta Avallone

Avevano un carrettino, montato su un telaio di bicicletta e vendevano il gelato a Castellammare. Questa macchina io la ricordo, poiche’ nel 1948 era situata nella stanza di entrata di mia nonna. Così la ditta Avallone crebbe ed altri carrettini furono aggiunti. Continua a leggere