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Informazioni su Gigi Nocera

Autore Nato a Castellammare il 18 febbraio 1923, è stato ideatore ed autore della rubrica gli anni '30 a Castellammare, Alla sua morte avvenuta a Torino il 17 marzo 2012, ha lasciato in tutti noi un vuoto incolmabile.

La Villa Comunale

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Caro Maurizio, quando una persona invecchia, e per ragioni diciamo… naturali non ha più gli amici di un tempo, si rifugia in famiglia e nei ricordi. Ogni fatto, ogni cosa attuale lo riportano al tempo che fu. Capita naturalmente anche a me. Questa volta è successo mentre rileggevo “‘A Villa Comunale”, una bellissima poesia del grande Eduardo.

'A Villa Comunale (poesia di Eduardo)

‘A Villa Comunale (poesia di Eduardo)

L’incanto di questi versi mi hanno riportato indietro negli anni, quando ero ragazzino. Quando, se c’era una festa, nei viali della nostra bella villa si schieravano numerose bancarelle, addobbate con lampadine colorate e festoni multicolori anch’essi. Il frastuono di trombette e trombettelle, il vocio e i richiami dei genitori che raccomandavano ai loro scugnizzielli di non allontanarsi troppo per non perdersi tra la folla. Continua a leggere

Operette e sceneggiate alle Terme

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Le Terme stabiane (anni '30)

Le Terme stabiane (anni ’30)

Negli anni 30 d’estate, molti spettacoli teatrali si svolgevano alle Terme Stabiane (le vecchie Terme, quelle “fora ‘o cantiere”). Il palcoscenico e la platea venivano allestiti nello spazio che normalmente era frequentato da chi di giorno faceva la cura delle acque, bighellonando in attesa delle conseguenze delle bevute… Di sera, quando iniziavano gli spettacoli, dalla montagna scendeva una frescura che induceva molte signore a tirare fuori “lo scialletiello” e coprire le loro spalle o i pargoli che tenevano in braccio. Oh! come ricordo bene quel fresco. E quanta nostalgia e quanti ricordi mi suscita! Molte famiglie assistevano regolarmente agli allestimenti di “Operette” e “sceneggiate”. Di queste ultime una delle Compagnie più apprezzata era quella denominata “Cafiero e Fumo”, che erano i capocomici. Una superstite di questa dinastia di attori dialettali ha partecipato una quindicina di anni fa ad un noto film di Luciano De Crescenzo. Continua a leggere

Guardando una fotografia di Piazza “Orologio”

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Piazza "Orologio" (fotografia d'epoca - coll. Giuseppe Plaitano)

Piazza “Orologio” (fotografia d’epoca – coll. Giuseppe Plaitano)

Quasi 90 anni fa, la prima cosa che i miei occhi appena dischiusi videro fu la torre dell’orologio nella piazza omonima. Quell’orologio a sua volta ha visto tutte le mie scugnizzesche marachelle che ho combinato fino al 1937, anno in cui la maturità mi ha messo davanti alla crudezza della vita.

Conoscendo questi precedenti, gli amici Maurizio Cuomo e Giuseppe Plaitano mi hanno dato da esaminare una vecchia fotografia di quel posto magico (per me!). E la domanda postami era molto semplice: “Quando frequentavi quel luogo c’era ancora la fontanella che si vede alla base della torre?” Continua a leggere

Tragicommedia in un atto con balletto finale

Tragicommedia in un atto con balletto finale

gigi nocera

gigi nocera

Protagonisti:
Una madre di 78 anni (mia nonna);
Quattro figli maschi;
Tre figlie femmine;
Un messaggero spettatore: io.

La madre si chiamava Genoveffa ed era molto religiosa; la prima messa della Chiesa della Pace era la sua. Donna tosta e di carattere.
I figli, per ordine d’età: Salvatore (Tore tempesta); Luigi (Ciente mosse); Francesco (‘o Ferroviere); Espedito (‘o Signurino).
Costoro, nei giorni di festa, si ritrovavano puntualmente in Villa (‘o viale e miezo), spettegolando e sfruculianno il prossimo. Questo breve ritratto fa capire che razza di buontemponi erano, pur essendo ognuno carico di figli e con problemi economici tutt’altro che lievi. Difatti uno era ferroviere due erano operai del Cantiere, l’altro impiegato alla Corderia.
La madre di costoro rimase vedova di un brav’uomo, operaio anch’egli del Cantiere, nel 1923.
Rimasta sola fu gioco forza accasarsi a turno presso le tre figlie (Catella, Teresina e ‘Gnesina).
Sobillata dalle stesse però pretese dai figli maschi un aiuto economico. Dato che anche a loro mancavano sempre 19 soldi per fare una lira, e considerando anche il fatto che lei godeva di una pensione propria, naturalmente loro rifiutarono. Ma non ci fu ragione sufficiente per portarla a miti consigli. Quindi si rivolse alla magistratura la quale dette torto ai figli imponendo ad ognuno di essi di versare alla madre, tutti i mesi, una sovvenzione di 10 lire. La sentenza fu chiaramente accolta con grande giubilo dalle tre figlie! E grande preoccupazione per i 4 maschi. Che masticarono amaro sia perchè l’esborso (tutti i mesi) di quella cifra li metteva ancora più in difficoltà sul piano economico, sia perchè erano consapevoli che in realtà la vittoria non era della loro madre, ma delle sorelle (perché alla fine erano loro che beneficiavano di quel sacrificio).
Questa mia nonna ogni tanto si recava a Napoli e soggiornava per qualche settimana presso una cugina.
Una bella (!) domenica del mese di giugno del 1933 una delle figlie fu informata che la madre era morta a Napoli. Zia Teresina lo disse a mia madre che mi spedì di corsa in Villa ad informare mio padre del luttuoso evento. Rintracciato lui ed i fratelli fra la folla che si accalcava, tutto d’un fiato riferii la notizia. A questo punto accadde una cosa che sorprese tutti i presenti. Difatti, come dei burattini ai quali avevano tagliati i fili, inscenarono un saltellante balletto, facendo schioccare le dita cantando “’e tarallalì e tarallallà e tarallalì e tallarallà”, saltando alternativamente prima sull’una e poi sull’altra gamba.
Lo stupore indagatore dei presenti rimase senza risposta, perchè sempre ridendo e scherzando i quattro fratelli rientrarono alle loro abitazioni che si trovavano nella zona di S. Caterina.

Gigi Nocera

Educazione… stradale

Educazione… stradale

Educazione stradale

Educazione stradale

Dietro questo titolo amaramente scherzoso si nasconde una realtà ben conosciuta da quei bambini appartenenti a famiglie di ceto medio-basso, vissuti come me negli anni del 1930.

Allora ogni famiglia era gravata da una “chiorma” di figli, almeno 3 o 4. Inoltre si viveva in alloggi abbastanza piccoli, ed i ragazzi, dall’età di 7/8 anni, venivano spinti a giocare per le strade del rione: per me Via S. Caterina – Piazza dell’Orologio – ‘a banchina ‘e zì Catiello.
Il pericolo di essere arrotato da una automobile non esisteva; al massimo potevi cadere dal predellino dei vagoni ferroviari che “assaltavi” per farti portare all’Acqua della Madonna; oppure cadere dal traino sul quale abusivamente balzavi affrontando l’ira del cocchiere che cercava di allontanarti brandendo una schioccante frusta.
Quindi più che la scuola, l’educazione e l’esperienza ce le davano la strada, il contatto con la sua cruda realtà, con le sue cose belle e brutte. Ascoltando furtivamente, con finta noncuranza, i discorsi dei grandi.
Se eri sveglio, furbo e intelligente diventavi quello che si chiama figli ‘e ‘ntrocchia. Cioè riuscivi a sfuggire, e a risolvere, certe situazioni pericolose in cui potevi incappare. Una di queste situazione mi vide protagonista e dalla quale ne uscii con prontezza e senza danni proprio grazie a quelle esperienze. Ecco i fatti:
Mio nonno era un grande importatore di carrube (‘e sciuscelle). Quando i velieri provenienti dalla Sicilia arrivavano con il carico, i sacchi pieni di questa leguminosa venivano depositati in un magazzino che si trovava in Piazza Orologio. Incaricato proprio da mio nonno, il custode e il factotum di questo locale era un omino di piccola statura, untuoso, viscido, cioè una figura poco gradevole. In quel locale io ci giocavo salendo e scendendo da quel cumulo di sacchi, dai quali ogni tanto estraevo un frutto dolce e saporoso e lo mangiavo. Ma a lui dava fastidio questo mio divertimento e con modi sgarbati cercava di impedirmelo. Allora avrò avuto 11/12 anni e portavo naturalmente i pantaloncini corti. Un giorno con un inganno mi attirò a se e lestamente infilò una mano nei calzoncini cercando di toccarmi “là” davanti. Io, sgusciandogli come una vipera, arretrai di un passo e con destrezza e violenza gli sferrai un calcio nel basso ventre, proprio “là”. E mai indirizzo fu più preciso. Scappando fuori dal locale mi voltai per vedere se mi inseguiva, ma lui era piegato in due e con le mani a cucchiaio cercava di trovare sollievo dal dolore che certamente gli aveva procurato quella mia improvvisa e inaspettata reazione.
Questo episodio che ho raccontato ha una morale? Non lo so.
Certo è che oggi è un bene che ai giovani, in grado di capire certi concetti, si parli apertamente di tutto, anche di argomenti scabrosi, trattati però con delicatezza e parole acconce. Oggi i mezzi di comunicazione ci portano a conoscenza di numerosi fatti analoghi che avvengono in tutti il mondo e quindi anche i bambini sanno di cose sgradevoli delle quali possono essere vittime. Ma noi, bimbi di allora, ignari di queste brutture, ai quali certi argomenti erano proibiti, come potevamo difenderci? Io, come avrei potuto fronteggiare una così scabrosa situazione se l’acume, l’intelligenza, la malizia e la prontezza di spirito affinati nel frequentare la “strada” non mi avessero soccorso? Se non ci fosse stata “l’educazione… stradale”?

Gigi Nocera.