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Collaboratore di Redazione Insegna a Roma, vive a Ladispoli, nutre molti interessi, come: la storia religiosa, l'arte, la fotografia e l'amore per la sua Castellammare di Stabia.

Primavera

Primavera

Primavera

di Giuseppe Zingone

Ladispoli, lì 19 marzo 2012

Primavera

Primavera

È Primavera nelle antiche strade tra la montagna e il mare e se non fosse per il Faito e le sue piante non ce ne saremmo accorti, abbiamo un cielo sicuramente azzurro, rigato da una oblunga nuvola dorata, in molti stanno già pregustando e godendo il sole tardivamente sfuggito alle fauci della montagna.
Caro Corrado stasera abbiamo una Stella in più, (sfuggita alle arsure della vita, di cui era piena) ha deciso di andarsi ad allogare in questo quartino di cielo senza stanze, fittato “ad libitum”, dove nuovi scugnizzi rincorrono treni e carrozze moderne o giocano a sottomuro e immancabilmente si tuffano in mare, da improbabili banchine per farsi salare come acciughe in un vasetto.
Già intravedo la tua bici che corre verso il blu, inseguita da un folto sciame di pensieri ed idee che ti ammantano trasfigurandoti; la tua bici in realtà non ha mai indossato il vestito della polvere, ma adesso c’è un motivo in più per pedalare è Primavera, qualcuno ci osserva, ci parla, ci consiglia e ci GUIDA.
Caro amico mi scuso, per averti abbandonato al mese di Agosto e per farmi perdonare scrivo per Te un’intera stagione, pensieri come frammenti di vetro rotto e non senza dei brevi accenni per la perdita del caro Padre comune il quale scivola nelle mie lacrime salate fino al mare, come le nostre silenziose e parsimoniose acque; è un percorso faticoso e sotterraneo che concedimi: “Ognuno deve fare da solo”.
Per molti la Primavera è una pausa musicale, un piccolo quadro ad olio su una parete, un andirivieni tra l’inverno e l’estate, ma chi afferma questo non conosce Castellammare, noi qui dentro, in questo lasso di tempo ci stiamo integri, fieri, statuari, voluttuosi.
Una passeggiata sul 12, rosso o nero che importa… e per settantacinque minuti ognuno sarà proprietario del proprio sediolino solo con i propri pensieri, dal giro panoramico contemplerà il mare e la montagna come se li avesse visti per la prima volta; riabbraccerà i ricordi di quando era bambino o le passeggiate del primo amore. Piovono buffe e grasse risate, un colpo di tosse lacera il veicolo come un tuono che squarcia il cielo, e la signora seduta a fianco a noi ci confida come in confessione, l’ultima tragedia che l’ha vista protagonista, questa è la nostra realtà, siamo esseri transitori, questo luogo non ci appartiene.
Primavera ci ritrovi scossi e col cuore infreddolito, persi in un lutto che mai avremmo desiderato, pur sempre pronti a gustare questa magica luce, di zucchero filato e franfellicchi, già colgo diverse figure che timidamente iniziano a spostare la seggiole, quelle impagliate, verso chiazze di sole nomadi che scivolano veloci nei vicoli semibui.
Ed è qui che l’amico Corrado viene investito da una febbrile ispirazione, idee prima molli e inconsistenti diventano concrete e materiali, creative, l’unica salvezza per esse è un taccuino nei cui solchi, si ninneranno le figlie della Ragione e le dolci parole della Fantasia.
Ecco una storia “minima”, sboccia poi un ameno pensiero per una commedia, lo sguardo spazia verso una inconsueta immagine per uno scatto fotografico, serpeggia senza preavviso l’idea di una nuova rubrica. Finalmente la calma, il sottofondo della risacca gravida di ciottoli che rotolano rammenda le ferite, ora l’animo inquieto riposa dondola una barca all’orizzonte.
Salve stabiesi prendete esempio da chi è saggio e leale, scherzoso e gioviale, vi guiderà ovunque Voi vogliate. È Primavera e infatti s’appresta la Pasqua, caro amico è un tempo felice questo, è gioia della terra che si apre di nuovo agli uomini, è una storia ciclica profondamente primordiale.
Ecco rivedo per le strade un “Giovane Scugnizzo” annusa e porge un’orchidea che ha tra le mani, gentilmente la offre alla sua gente e alla sua Città.
Marzo la nuvola dorata si è sfilacciata adesso è rosa, s’abbatte come un abbordaggio di pirati sugli edifici di via Mazzini affrontiamo con gioia e speranza i giorni che ancora ci attendono, fino al paterno incontro.
Primavera è un momento di passaggio ed una scusa per scrivere di due amici.

La Duchessa d’Aosta Elena d’Orleans

 La Duchessa d’Aosta Elena d’Orleans

di Giuseppe  Zingone

La Duchessa d’Aosta Elena d’Orleans (ricolorata)

Elena d’Orleans duchessa d’Aosta si spense nel suo verde romitaggio di Castellammare di Stabia.
“Erano passate da poco le dieci di quel Mercoledì 24 Gennaio, quando la bara, che conteneva le spoglie mortali, della duchessa d’Aosta, usciva dal portone dell’Albergo Reale Quisisana. Il feretro portato a spalla da quattro gentiluomini, era seguito dal piccolo duca Amedeo, dalla mamma Irene di Grecia e dalla zia Anna di Borbone Orleans con le figlie Margherita e Maria Cristina. Seguivano un piccolo gruppo di dame e di gentiluomini che, nei tempi passati, avevano fatto parte della corte ducale. Erano anche presenti alcune suore. Intorno una folla discreta assisteva, reverente e commossa. Il feretro prima che venisse posto nel carro funebre, fu di nuovo benedetto dal parroco della chiesa della Maddalena, don Salvatore Esposito e da Padre Pasquale del convento di Pozzano. Quindi si formò il corteo funebre che mosse lentamente verso Napoli”. Continua a leggere

Don William Rabolini

Don William Rabolini salesiano

a cura di Giuseppe Zingone 

Padre William Rabolini

Padre William Rabolini

Eravamo giovani davvero giovani nell’autunno del 1989 quando conobbi questo religioso, un salesiano del Nord Italia, allora le distanze contavano ancora, ma lui aveva fatto un percorso opposto a quello dell’epoca, si era calato nel Meridione d’Italia, nella provincia di Napoli a Castellammare di Stabia, dove conobbe la morte. Don William Rabolini dimorava nella casa dei salesiani che oggi non è più. Grazie alle suore Stimmatine ed alle mie amiche della Parrocchia della Pace potei incontrarlo per parlare di fede, una sconosciuta che sfuggiva alla mia realtà quotidiana fatta di piccole cose concrete come il pane, la scuola, gli amici. Ciononostante mi suscitava una serie di domande alle quali non trovavo risposta. Ed è chiaro che le risposte poteva darmele solo chi quell’argomento cioè la fede lo conosceva a menadito. Una volta una suora Stimmatina suor Elisabetta ci disse: “Due vuoti messi insieme generano un grande vuoto” e del resto visto che ero io a chiedere aiuto, un po’ di umiltà non mi faceva male. Continua a leggere

Serale

Agosto, un anno a Castellammare

Agosto, un anno a Castellammare

di Giuseppe Zingone

Serale

Serale afoso a Castellammare

Ladispoli, lì 30 luglio 2011

E’ strano agosto, è un mese diluito dall’afa, il mese che ci riaccompagna (non senza qualche lacrima) tomo, tomo, al funerale del fosco rientro dalle vacanze, si! Proprio la vacanza dei sogni, quella che poi non realizziamo mai.
Per me agosto iniziava il 26 Luglio, lo sfasavo appositamente di qualche giorno a mio favore, in questo giorno a piazza Licerta, nella ricorrenza della festa di Sant’Anna, il rito sacro della chiesetta a Lei dedicata, si avvicendava al rito neomelodico della canzone napoletana. Saranno passati tutti proprio tutti, anche qualche defunta ugola partenopea, in questa solennità rionale. In tempi non troppo lontani tutti i cantanti della metropoli a noi vicina, che dai rioni e dai borghi volevano liberarsi dalla canicola, venivano a godersi l’aria briosa del Faito, che serpeggia nei nostri vicoli, proprio la sera del 26 Luglio. Bastava l’invito, da parte di un “caro amico” a cui non si poteva dire di no, un buon gruzzoletto raccolto porta a porta, e perché no, anche un buon Gragnano andava bene quale rimborso spese e via alle danze.
Una interminabile serata, in un quadrangolo serrato da edifici, dove rimbombavano le poco convincenti voci soffocate dal calore delle intrepide scale musicali napoletane.
Ma ad agosto, quello vero si stava tutti felicemente in spiaggia a Pozzano, oggi ci si allunga fino in Calabria per uno stressante bagno ristoratore (‘e surore), ma da ragazzo era divertente vedere i bagnanti contorcersi sulla sabbia bollente solo per cercare una scorciatoia, nell’unico tappeto di ridenti teli da mare per raggiungere la battigia, era una vera caccia al tesoro. Oltre all’eventuale scottatura della pianta dei piedi, bisognava evitare anche i raggi di uno delle decine di ombrelloni, piantati a caso nella sabbia, un incidente che poteva costare un occhio.
Agosto era il mese in cui gli operai dell’allora ITALCANTIERI potevano godere delle due settimane di ferie da dedicare alla famiglia ed ai figli, lasciate le lamiere di ferro in fabbrica, si immolavano volentieri, nel tentativo di raggiungere il mare; questi uomini consumati dal lavoro, portavano i propri congiunti al mare, così al ritorno dalle ferie potevano raccontare dell’autobus, dell’impossibile parcheggio, il salvagente, i braccioli, le palette e i secchielli, la colazioni, il gelato e alla fine l’immancabile esaurimento nervoso, con il quale si constatava che era sempre meglio morire arrostiti sulle graticole delle lamiere cocenti.
Osservando bene i giochi dei bambini sulla spiaggia, oggi come allora, si può facilmente comprendere come nasce la vita sociale. Si organizzano in un attimo e da piccoli ingegneri quali sono, fanno emergere fortezze, castelli, gallerie, pozzi. Li vedi come mazzi di anguille, avvinghiarsi, contorcersi, insozzarsi; i più feroci distruggono tutto, quelli onesti ricostruiscono, ed hanno tutti la stessa consapevolezza della precarietà della vita che gli adulti subiscono, ma loro senza nulla ferire, si rituffano in acqua, dimenticandosi di ogni guaio, di ogni assillo quotidiano.
Lo attendono ancora i bagnanti di Pozzano il passaggio delle motobarche?
Ho visto persone che all’arrivo dei cavalloni si sono arenate come balene, altri rimbalzare come Supersantos sui vicini scogli, ah povero me nella sabbia vulcanica di Ladispoli…
Ci sono ancora i “personaggi”, l’uomo che col suo megafono gridava dall’alto della spiaggia: “La colpa è tua, i tuoi figli hanno troppi soldi in tasca!!!”. E pensare che non ho mai chiesto niente a mio padre.
Vengono riesumati qui, alla Calce e Cementi, dalle foto di amici, i fossili della pavimentazione di Portocarello, ed esibiti quali ultimi avanzi di un illustre passato di fortificazioni.
E dove sono finite le carrozzelle? E le “giarre” di acqua della Madonna dove affogare i biscotti di Castellammare?
Ah… dimenticavo ci hanno liberato anche dal peso inutile delle Terme e dell’acqua “r”a Maronna!”
A zonzo sul porto, per rilassare i nervi, vedo navi dirette chissà dove, che caricano la nostra preziosa acqua e poi ripartono, (magari l’imbottigliano e la rivendono) tutti i giorni per 365 giorni all’anno.
Chissà chi ‘a pava ‘st’acqua?

P.S. Dimenticavo, buon Ferragosto a tutti, godetevi almeno la festa dell’Assunta, magari qualche stella cadente Le porterà i vostri desideri.

Ladispoli, lì 30 luglio 2011

Resurrezione

Aprile, un anno a Castellammare

Aprile, un anno a Castellammare

di Giuseppe Zingone

Resurrezione

Resurrezione

Aprile dolce e indaffarato, quando le nuvole sporgono come colombe sul davanzale della finestra che è il golfo di Castellammare.
Distrutta da Silla e sepolta dal Vesuvio, risorta con il Cristianesimo.
Aprile è resurrezione quella dovuta alla primavera, ma resta il mese che va gustato con i sensi, in questi giorni anticipatori della Pasqua di Nostro Signore il naso diventa un’antenna capace di cogliere sfumature, ingredienti, declinazioni di ogni singolo piatto cucinato e riconoscere gli aromi, le individualità, la bravura o la mistificazione della massaia che lo cucina.
Potreste dire senza esitazione come giudici in un’aula di tribunale al momento del verdetto: “‘A cummare è fatto ‘o raù!”, “Teresella ‘a parmigiana”, “‘A Signora rò piano ‘e coppa sta priparanno ‘a pastiera!” ed anche “S’è abbruciato l’agnello che patane…”, o consigliare la vostra amata “Cuncè lieve ‘e vruoccole e ‘e sasicce a coppa ‘o fuoco!”.
Vedete la cultura e la cucina sono essenzialmente una cosa sola, guai a dissociarle, anche “Gesù Cristo” con rispetto parlando non disdegnava mettersi a tavola con amici e peccatori (per gioire con i primi e per riconciliare a Sé i corrotti), a tavola si discute e si dialoga, si litiga persino, ma poi si fa festa è un convivio, “banchetto di sapienza”. Immaginiamo adesso la nostra vita, senza l’orgoglio della nostra terra ossia, la cucina; sarebbe a bene esprimersi una vita senza sale, sciapa, che triste l’uso delle parole “Fast food”; è vero che lo stesso Vangelo afferma: “non si vive di solo pane… ma senza pane neanche si campa! Ed aggiungiamo che se cucinato bene è un pizzico di paradiso”.
In quest’occasione Pasqua per l’appunto, Castellammare è una fucina di odori. Puoi passare, come al ristorante, da un portata all’altra semplicemente salendo o scendendo le scale di un palazzo, dietro ogni porta un odore, dietro ogni odore una ricetta antica. Ho già parlato altrove del rito della preparazione del “Casatiello” che poi veniva lasciato crescere nel tepore della casa, accompagnato per mano come un figlio dal fornaio, il quale avrebbe potuto usare i “casatielli” come pavimento se non come arredo della rivendita, una tappezzeria fatta di fragranti pani dolci e salati, adornati come re da uova (simbolo di vita) ma in questo caso sode.
Che maestria! Che collaborazione! Si trattava di una partecipazione dell’intera comunità ad un rito, un prodotto tipico preparato in casa scendeva in “processione” per le strade e diventava anche solo per la cottura un bene comune, patrimonio e augurio di una vita più prospera. Oggi non è più così, tutti vanno di fretta e preferiamo comprare i ricordi anziché realizzarli, fra qualche decennio vedremo nascere i “Musei degli odori”, dove all’avventore che si aggira per le sale deserte, faranno annusare prodotti chimici da laboratorio, essenze approssimative, snaturate dalla realtà, che richiamano solo vagamente gli aromi dei nostri ricordi.
Pensate solo quante “fetenzie” soggiogheranno la nostra arte culinaria, quante alterazioni; le ricette di un popolo scompariranno e con esse anche il popolo che le ha prodotte; non si riuscirà più a distinguere “nù piatto ‘e spaghette e vongole, da una parmigiana ‘e mulignane…”.
Anche il fumo dei carciofi arrostiti, oggi tediosissimo perché sempre presente, (che tristezza tutte, proprio tutte le Domeniche) era invece un tangibile segno dell’apprestarsi della Pasqua, oggi è “sempe Pasca” e aggiungo anche Natale. Un’amica di famiglia la signora Dolores, stabiese residente da decenni a Viareggio nei pressi del Lago di Puccini, mi raccontava orgogliosissima che quando “arrusteva ‘e carcioffole” nel giardino della sua stupenda casa, accorrevano lì tutti i napoletani (emigrati) che l’atavico effluvio aveva schiaffeggiato nella mente e nei ricordi, ognuno si apprestava pronto ad assaporare la sua parte di essenza azzurrina, a imbrigliarne l’odore nei propri vestiti, per portarlo a casa, per coccolarsi un po’.

Anche il Cristo nella Domenica di Resurrezione, non può mancare ad un giro nell’azzurrina e pesante emanazione dei carciofi nostrani arrostiti, quelli di Schito, i quali ci vogliono raccontare la storia di una tenera e fragile amicizia nata tra la natura e l’uomo. Una passeggiata per le vie annebbiate, lo porta a detergere le ferite della Passione nelle salubri acque delle Antiche Terme, lì dove l’odore sulfureo ricorda le origini, la Creazione, percorre le nostre vie causa la forzata sepoltura di tre giorni. Cristo anticipa il pranzo pasquale semplicemente annusando, ricordo di profumi quando ancora figlio in casa di Maria, si preparava alla festa. Dove se non qui, terra amata e maledetta, sacra e perversa, provvida e rovinosa può poggiare il proprio piede sulla testa della morte, sul buio del sepolcro e spezzarne il pungiglione?

Ladispoli, lì 1 aprile 2011