Archivi autore: Luigi Casale

Informazioni su Luigi Casale

Collaboratore Classe 1943, è un insegnante di liceo in pensione, cura la rubrica "pillole di cultura" e partecipa volentieri alla produzione di "storie minime". Inoltre è presente sotto le voci: detti, motti e tradizioni locali.

Pescatori stabiesi sulla banchina 'e zi' Catiello

I pescatori della Banchina ‘e Zì Catiello

I pescatori della Banchina ‘e Zì Catiello

Aniello Lascialfari racconta

Si ringrazia il prof. Luigi Casale per la preziosissima revisione di bozza

Barche di pescatori alla Banchina 'e zi' Catiello (Cartolina d'epoca - coll. G. Zingone)

Barche di pescatori alla Banchina ‘e zi’ Catiello (Cartolina d’epoca – coll. G. Zingone)

Ed ecco che mi vengono in mente tutti i racconti di pescatori, i quali usavano questo poggio per avvistare i branchi di alici che trasevano ‘a fore. Venivano dal mare di Sorrento, molto più profondo della nostra costa; da Capri. Alici più affinate, più azzurre dello stesso mare limpido, entravano nel nostro seno e si portavano al di qua dello scoglio di Rovigliano, dove sfocia il fiume Sarno: acqua roce e pulita, acqua ‘e tantu tiempe fa. Là queste alici sciamavano e si nutrivano per ore, alla fine prendevano il largo riportandosi nel mare profondo della penisola sorrentina. Da questo muricciolo, che cinge il belvedere, i pescatori si sono appostati fino a pochi decenni fa. Venivano ad avvistare ‘a trasute r’e pisce, specialmente nel mese di settembre. “Quanne ‘o pesce azzurre – ‘a lice – è una mesure, mò ti ha salà”. E quando la nuvola azzurra accumpareva fore a carcara, r’a Calce e Cementi, subito arrivava la notizia: “Guagliù so’ trasute tonnellate ‘e pisce. Allestimmo ‘e barche”. E quando il mare diveniva scuro come il cielo (senza luna) partivano le barche, ognuna con cinque o sei uomini a bordo: “Senza fa’ rummure pe’ nun se fa scorgere a llate”. Continua a leggere

Mare e pescatori stabiesi

Aniello Lascialfari racconta

( si ringrazia il prof. Luigi Casale per la preziosissima revisione di bozza )

Aniello Lascialfari (costume di scena)

Aniello Lascialfari (Il pescatore: costume di scena)

Così la mia memoria spinta anche dalla fantasia riprende il volo saltando da ramo a ramo. Erano gl’inizi degli anni ’60, ed io ero molto giovane. Nel tempo libero dal lavoro – lavoravo a Napoli – era mia abitudine frequentare i pescatori della Banchina di “Zi’ Catiello”, specialmente nelle belle giornate d’estate quando il tramonto pareva che non finisse mai. Poi venne l’ora legale. Allora in questi pomeriggi allungati si discuteva di pesca, di attrezzatura, di barche, quando in città c’erano ancora i calafati. Qui a Castellammare i migliori – a sentire i pescatori – erano i fratelli Aprea di Sorrento. Le barche da essi costruite … “tènene ‘o mare ch’è ‘na bellezza. È ovère! Costano ‘na cusarella ‘e cchiù, ma nun songhe vutecarelle comm’a chelle che fanne a Torre ‘o Grieche. E pure ‘o lignamme è nata cosa. È chiù staggiunato, chiù tuosto”. Raffaele Aprea era una persona amata da tutti sulla banchina ‘e zi’ Catiello, ex operaio tracciatore dei Cantieri Navali, era ‘o cumpare ‘e tutte quante. Continua a leggere

La cantata dei pastori

ricordi e osservazioni del prof. Luigi Casale

La cantata dei pastori

“Cantata dei Pastori” anno 1934 (circa): si distinguono in scena Gaetano Cuomo (Razzullo), Vincenzo Cuomo (diavoletto) e Pasquale Esposito (diavolo) – foto gentilmente concessa dal compianto Beppe Cuomo.

Spesso si sente parlare di “tempi forti”. L’espressione si riferisce ai momenti della nostra vita particolarmente significativi, dove maggiori sono l’impegno personale e la consapevolezza. Generalmente se ne parla con spiccata allusione alla vita dello spirito e alla originalissima esperienza morale, individuale e personale. Oppure nei momenti delle grandi scelte. Chi conserva una visione trascendente della vita e della storia, dell’una e dell’altra si fa una rappresentazione ideale e al confronto di quella vorrebbe parametrare le proprie vicende umane, sia quelle personali che quelle collettive, familiari, sociali, storiche e politiche.

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Castellammare: vita, storia e cultura

Aniello Lascialfari racconta

Si ringrazia il prof. Luigi Casale per la preziosissima revisione di bozza

Pozzano di Castellammare (Antica stampa - coll. Gaetano Fontana)

Pozzano di Castellammare (Antica stampa – coll. Gaetano Fontana)

Un tempo, nella mia gioventù, scendevo da quella strada vecchia che mena sulla piazza davanti all’antica basilica di Pozzano. Per raggiungerla, partivo sul tardo pomeriggio – di questa stagione potevano essere le ore 17,00 – dalla piazza del Caporivo, ed a piedi, per salita S.Croce, raggiungevo la strada Panoramica fino al Castello. Poi prendevo a sinistra per la strada vecchia che porta al santuario della Madonna Della Libera, senza raggiungerlo. Preferivo proseguire per la strada antica che porta alla Basilica di Pozzano. La mia meta odierna, di questo viaggio della memoria, rimane ancora il largo dove sorge la Basilica. Tra me e me vado alla ricerca di tracce che m’indichino la presenza di personaggi illustri. La fantasia scioglie le briglie, si dà al galoppo, quasi prende il volo, e mi tocca assecondarla: Salvatore Di Giacomo, Roberto Bracco, Matilde Serao ed Eduardo Scarfoglio, Peppino Turco ed Olga Ossani. Questo è il luogo dove si racconta che alla fine dell’Ottocento essi erano soliti incontrarsi. Continua a leggere

Vita da Operai

Da: Carlo Bernari: Tre operai – Milano 1934 (capitolo XVI)

Si ringrazia il prof. Luigi Casale per la gentile segnalazione

tre_operai_1

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Il rione Cattori era formato da un gruppetto di palazzine e due palazzi grandi, costruiti quasi sulla spiaggia che si stendeva tra Torre Annunziata e Castellammare. Il vecchio Cattori, proprietario della fonderia che sorgeva poco più lontano, cominciò a costruire questo rione per farlo abitare dai suoi operai. Il progetto comprendeva la costruzione di un ospedale, di una infermeria, di uno spaccio cooperativo, e di un albergo che doveva fornire alloggio a tutti quelli che non avevano famiglia. Ma la morte di Cattori mise fine al progetto. Gli eredi erano gente votata a tutt’altri pensieri che non quello di assicurare agiatezza agli uomini abbrutiti dal duro lavoro e dalla vita isolata, e finirono per fittare queste casette per la villeggiatura dei signori che venivano nei mesi estivi.
La plaga stepposa e arida, chiusa fra Castellammare e Torre, divenne così una colonia di piccoli borghesi che nelle sere di luna e nelle domeniche lunghe si riunivano in grosse comitive a sorbire bibite ghiacciate, a organizzare gite in barca e in automobile. Gli operai, per i quali erano state costruite quelle case, passavano sull’imbrunire il più lontano possibile da quella gente quasi per non vedere la loro vita meravigliosa.
La domenica anche gli operai andavano al bagno, ma si riunivano tra loro e se ne stavano in disparte in qualche angolo della spiaggia, che non aveva fine; dove gli uomini e le cose, per la vista larga, si perdevano in una nebbiolina lucente che il caldo sollevava dalla rena. Le voci dei villeggianti si facevano eco di tenda in tenda e giungevano fino ai diseredati cariche di vapori, di colori e d’intatta felicità, e sembravano provenire da una terra ignota, dove tutto squilla di piacere e ogni cosa brilla, anche la spiaggia che, da quella parte, invece, appariva più sporca e triste. Il mare batteva quasi sempre su quel lato portandovi sbavature di alghe e di catrame, che seccandosi attiravano mosche, zanzare, nugoli di moscerini…