Archivi autore: Luigi Casale

Informazioni su Luigi Casale

Collaboratore Classe 1943, è un insegnante di liceo in pensione, cura la rubrica "pillole di cultura" e partecipa volentieri alla produzione di "storie minime". Inoltre è presente sotto le voci: detti, motti e tradizioni locali.

Mare e pescatori stabiesi

Aniello Lascialfari racconta

( si ringrazia il prof. Luigi Casale per la preziosissima revisione di bozza )

Aniello Lascialfari (costume di scena)

Aniello Lascialfari (Il pescatore: costume di scena)

Così la mia memoria spinta anche dalla fantasia riprende il volo saltando da ramo a ramo. Erano gl’inizi degli anni ’60, ed io ero molto giovane. Nel tempo libero dal lavoro – lavoravo a Napoli – era mia abitudine frequentare i pescatori della Banchina di “Zi’ Catiello”, specialmente nelle belle giornate d’estate quando il tramonto pareva che non finisse mai. Poi venne l’ora legale. Allora in questi pomeriggi allungati si discuteva di pesca, di attrezzatura, di barche, quando in città c’erano ancora i calafati. Qui a Castellammare i migliori – a sentire i pescatori – erano i fratelli Aprea di Sorrento. Le barche da essi costruite … “tènene ‘o mare ch’è ‘na bellezza. È ovère! Costano ‘na cusarella ‘e cchiù, ma nun songhe vutecarelle comm’a chelle che fanne a Torre ‘o Grieche. E pure ‘o lignamme è nata cosa. È chiù staggiunato, chiù tuosto”. Raffaele Aprea era una persona amata da tutti sulla banchina ‘e zi’ Catiello, ex operaio tracciatore dei Cantieri Navali, era ‘o cumpare ‘e tutte quante. Continua a leggere

La cantata dei pastori

ricordi e osservazioni del prof. Luigi Casale

La cantata dei pastori

“Cantata dei Pastori” anno 1934 (circa): si distinguono in scena Gaetano Cuomo (Razzullo), Vincenzo Cuomo (diavoletto) e Pasquale Esposito (diavolo) – foto gentilmente concessa dal compianto Beppe Cuomo.

Spesso si sente parlare di “tempi forti”. L’espressione si riferisce ai momenti della nostra vita particolarmente significativi, dove maggiori sono l’impegno personale e la consapevolezza. Generalmente se ne parla con spiccata allusione alla vita dello spirito e alla originalissima esperienza morale, individuale e personale. Oppure nei momenti delle grandi scelte. Chi conserva una visione trascendente della vita e della storia, dell’una e dell’altra si fa una rappresentazione ideale e al confronto di quella vorrebbe parametrare le proprie vicende umane, sia quelle personali che quelle collettive, familiari, sociali, storiche e politiche.

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Castellammare: vita, storia e cultura

Aniello Lascialfari racconta

Si ringrazia il prof. Luigi Casale per la preziosissima revisione di bozza

Pozzano di Castellammare (Antica stampa - coll. Gaetano Fontana)

Pozzano di Castellammare (Antica stampa – coll. Gaetano Fontana)

Un tempo, nella mia gioventù, scendevo da quella strada vecchia che mena sulla piazza davanti all’antica basilica di Pozzano. Per raggiungerla, partivo sul tardo pomeriggio – di questa stagione potevano essere le ore 17,00 – dalla piazza del Caporivo, ed a piedi, per salita S.Croce, raggiungevo la strada Panoramica fino al Castello. Poi prendevo a sinistra per la strada vecchia che porta al santuario della Madonna Della Libera, senza raggiungerlo. Preferivo proseguire per la strada antica che porta alla Basilica di Pozzano. La mia meta odierna, di questo viaggio della memoria, rimane ancora il largo dove sorge la Basilica. Tra me e me vado alla ricerca di tracce che m’indichino la presenza di personaggi illustri. La fantasia scioglie le briglie, si dà al galoppo, quasi prende il volo, e mi tocca assecondarla: Salvatore Di Giacomo, Roberto Bracco, Matilde Serao ed Eduardo Scarfoglio, Peppino Turco ed Olga Ossani. Questo è il luogo dove si racconta che alla fine dell’Ottocento essi erano soliti incontrarsi. Continua a leggere

Facezie d’altri tempi

Facezie d’altri tempi

Si narra di un’avventura ( Stabiesi: gioiosi e irriverenti ) – o disavventura? – che tre stabiesi, simpatici burloni, ebbero una domenica dell’anno 1935 o giù di lì. E come da una loro facezia si fosse originata l’ilarità dei paesani, occasionali festivi passeggeri del tram cittadino. La cosa – si narra – capitò una domenica mattina alla fermata della Villa Comunale, proprio davanti alla Cassa armonica. Così la raccontano. Dicono che uno dei tre fratelli, il più anziano, che era anche il più dinoccolato, il più genuinamente grossolano perché il meno acculturato, e, per lo stesso motivo, il più bonariamente sempliciotto, nell’atto di scendere dal tram, non potendosi trattenere oltre, emettesse una sonora flatulenza che invece di farlo arrossire, ne illuminò la mente – questa volta il gas naturale fece effetto – per cui, accortosi egli che sul predellino della porta d’uscita del tram, al mancorrente si reggeva un prete, così – dicono – lo abbia apostrofato: “Zi’ pre’, nun ve mettite scuorno ‘e fa’ sti ccose?” Da qui – si racconta – la sonora risata degli astanti.

zi' prete

zi’ prete

Si sa che la favolistica di origine popolare ha una rigidità di schemi narrativi che si ripetono identici in ogni tradizione letteraria, sotto ogni cielo e a tutte le latitudini. Quando, addirittura, la stessa storiella, se originata dal medesimo aneddoto, modificata nei particolari e adattata al nuovo ambiente socio-culturale, non si riproponga – pari pari – con rinnovata ed originale vis comica.
Probabilmente il prete non doveva essere del luogo; oppure, si dovrà supporre che il nostro personaggio, per consentirsi tanta gratuita libertà, non conoscesse i preti della sua città.
E – aggiunge il narratore – “certamente veniva da uno dei comuni dell’entroterra vesuviano”.
Ora, è risaputa la considerazione che, in ogni città sia essa piccolo centro, capoluogo o capitale, viene riservata alle persone che provengono dalle città confinanti: “da fuori”, dalla campagna, dal contado, dalla montagna, o, rispettivamente, dal piano.
Per rimanere nell’ambito regionale a noi familiare, tutti sanno che a Torre (Annunziata) per indicare “il baggiano” di manzoniana memoria, si dica: “Scénn’a Vuosco”. (Ho dovuto precisare di quale delle due Torri si tratta perché anche Torre del Greco ha il suo bel da fare. Visto che da Napoli a Castellammare è denominata “’A tin’e miezo”: la tinozza, cioè, che, del concime biologico utilizzato una volta per fertilizzare orti e giardini, conteneva le parti solide). I “torresi” poi – intendendo per torresi quelli di Torre del Greco, e cominciando ad indicare con l’appellativo di “oplontini” i cugini di Torre Annunziata – fanno ogni sforzo per trasferire il “titolo onorifico” ai confinanti “nunziatesi” (oplontini), come li chiamano loro.
A Pompei, poi, per dire la stessa cosa si dice: “Vèn’a Castellammare”; mentre a Castellammare dicono: “Chill’è ‘e Gragnano”. E così via. Solo in Basilicata ho trovato una certa ammirazione per chi viene da fuori, in particolare per chi viene dalla Campania. Ma anche questa ostentata simpatia è funzionale allo scopo: essa nasconde infatti la loro avversione per i pugliesi. Debolezze umane. E sempre bonarie occasioni di facezie. E chi più ne ha, più ne metta.

* * *

Così a Trecase si racconta un’identica storiella che a Castellammare. Se poi per combinazione dovesse risultare che essa è stata generata dallo stesso avvenimento che si racconta a Castellammare, allora si tratterebbe addirittura dello stesso aneddoto. E Trecase, manco a farla apposta, è uno dei “comuni dell’entroterra vesuviano”, il più vicino a Castellammare, la quale si gode la fama e la fortuna di essere protesa verso la punta della Campanella, mentre gli altri scendono dalla montagna. Vuoi vedere che quel prete quel giorno veniva proprio da Trecase?
Chi sa.
Tuttavia in qualche particolare il racconto è leggermente diverso.
Dopo aver sonoramente scoreggiato, il tipo gioioso e irriverente, credendo di fare una bravata da aggiungere al già fatto gran rumore, si rivolge – sì – al prete dicendogli: “Zi’ pre’, nun ve mettite scuorno ‘e fa’ sti ccose?”. Al che – ecco appunto la variante – questa fu la pronta risposta: “Nipo’, nun sapevo ca tenevo nu nipote accussì battilocchio”.
Fu a questa punto che scattò lo sghignazzare diffuso dei viaggiatori. Stando – naturalmente – alla parola di chi racconta la storiella a Trecase.

Luigi Casale

Vita da Operai

Da: Carlo Bernari: Tre operai – Milano 1934 (capitolo XVI)

Si ringrazia il prof. Luigi Casale per la gentile segnalazione

tre_operai_1

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Il rione Cattori era formato da un gruppetto di palazzine e due palazzi grandi, costruiti quasi sulla spiaggia che si stendeva tra Torre Annunziata e Castellammare. Il vecchio Cattori, proprietario della fonderia che sorgeva poco più lontano, cominciò a costruire questo rione per farlo abitare dai suoi operai. Il progetto comprendeva la costruzione di un ospedale, di una infermeria, di uno spaccio cooperativo, e di un albergo che doveva fornire alloggio a tutti quelli che non avevano famiglia. Ma la morte di Cattori mise fine al progetto. Gli eredi erano gente votata a tutt’altri pensieri che non quello di assicurare agiatezza agli uomini abbrutiti dal duro lavoro e dalla vita isolata, e finirono per fittare queste casette per la villeggiatura dei signori che venivano nei mesi estivi.
La plaga stepposa e arida, chiusa fra Castellammare e Torre, divenne così una colonia di piccoli borghesi che nelle sere di luna e nelle domeniche lunghe si riunivano in grosse comitive a sorbire bibite ghiacciate, a organizzare gite in barca e in automobile. Gli operai, per i quali erano state costruite quelle case, passavano sull’imbrunire il più lontano possibile da quella gente quasi per non vedere la loro vita meravigliosa.
La domenica anche gli operai andavano al bagno, ma si riunivano tra loro e se ne stavano in disparte in qualche angolo della spiaggia, che non aveva fine; dove gli uomini e le cose, per la vista larga, si perdevano in una nebbiolina lucente che il caldo sollevava dalla rena. Le voci dei villeggianti si facevano eco di tenda in tenda e giungevano fino ai diseredati cariche di vapori, di colori e d’intatta felicità, e sembravano provenire da una terra ignota, dove tutto squilla di piacere e ogni cosa brilla, anche la spiaggia che, da quella parte, invece, appariva più sporca e triste. Il mare batteva quasi sempre su quel lato portandovi sbavature di alghe e di catrame, che seccandosi attiravano mosche, zanzare, nugoli di moscerini…